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Banche, si infiamma lo scontro sull’asse Italia-Germania

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  • 1 Novembre 2024

Torna a crescere l’attenzione riguardo alle fusioni e acquisizioni tra le banche europee. Negli ultimi giorni al fulcro di tutto c’è entrata l’italiana Unicredit, che sta provando a farsi largo in Germania, acquistando Commerzbank.

Nuovo capitolo del Risiko tra banche

commerzbankLo scorso 11 settembre c’è stato un annuncio a sorpresa da parte di Unicredit, che ha acquistato una quota del 9% di Commerzbank, una delle due banche più importanti della Germania. Circa metà è stata rilevata nel contesto di un’offerta Accelerated Book Building, mentre il resto è stato acquistato con operazioni sul mercato aperto.

È chiaro che quello è stato il primo passo per qualcosa di più importante. I rumors si sono fatti sempre più insistenti riguardo l’imminente richiesta di via libera alla BCE per incrementare ulteriormente la partecipazione alla banca tedesca fino al 30%, ossia la soglia per un’opa.

Mosse e contromosse

Era inevitabile però che il tentativo di scalata da parte di Unicredit avrebbe trovato delle forti resistenze in Germania (lo stesso cancelliere Olaf Scholz non ha gradito la mossa dell’ad di Unicredit). Del resto, come abbiamo detto, Commerzbank – quotata sull’indice DAX Ger40 – è una delle due banche più importanti del paese. L’altra, Deutsche Bank, si è subito attivata per provare ad ostacolare l’istituto italiano. Secondo un’indiscrezione rilanciata da Bloomberg, l’istituto tedesco sta studiando modi e i tempi per reagire ad un potenziale accordo tra UniCredit e Commerzbank, che finirebbe per creare un concorrente importante in casa.

Le possibili reazioni di Deutsche Bank

Tra le voci che si rincorrono c’è quella secondo la quale Deutsche Bank studia la possibilità di acquistare in tutto o in parte la quota dei 12% di Commerzbank che è ancora nelle mani del governo tedesco (dopo il salvataggio di qualche anno fa). Ma altre soluzioni sarebbero al vaglio del management riunito attorno all’amministratore delegato Cristian Sewing, per reagire alla mossa di Unicredit.

Il mercato

Nel frattempo, questo scenario che si è aperto all’improvviso negli ultimi giorni sta chiaramente muovendo le acque attorno ai titoli in Borsa di queste banche. Il più coinvolto è stato Commerzbank, che ha guadagnato il 20% dopo il blitz di Unicredit, sollevandosi da un periodo a dir poco piatto, durante il quale la sua media mobile di convergenza era precipitata. Il prezzo è arrivato oltre la soglia dei 15 euro, tornando su livelli che non si vedevano da circa 6 mesi.

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Economia globale verso un atterraggio morbido, nonostante i timori dei mercati

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  • 6 Settembre 2024

Da alcune settimane sono tornate ad affacciarsi le preoccupazioni riguardo il futuro dell’economia globale. Si teme un’importante flessione, dopo il biennio caratterizzato dagli altri tassi di interesse per combattere l’inflazione (cosa che penalizza la crescita economica). Ma quanto è concreto questo pericolo?

Cosa succede all’economia globale

economia globaleIn realtà, anche se la paura di tanto in tanto serpeggia (soprattutto sui mercati finanziari), i timori per un’imminente flessione dell’economia globale sembrano esagerati.

Per spiegarlo dobbiamo fare un passo indietro. A inizio agosto c’è stata una burrasca improvvisa sui mercati, dopo la pubblicazione di un report molto deludente sul mercato del lavoro USA. Lo shock è cominciato dal Giappone (il Nikkei perse il 12% in una sola seduta) per poi propagarsi a tutti gli altri listini globali. L’indice S&P 500 nei primi giorni di agosto perse il 6,10% (fonte Pocket Option Italia).

I fatti raccontano altro…

Tuttavia l’aumento della disoccupazione è più che altro un effetto fisiologico della corsa dei mesi precedenti. Insomma il mercato del lavoro si è raffreddato, piuttosto che crollato. Gli indicatori che anticipano il trend non preannunciano alcuna inversione di rotta, semmai si sta piano piano tornando a valori più usuali. E con il processo di disinflazione che andrà ancora avanti, il miglioramento della disponibilità del credito (per via dei tagli dei tassi), dovrebbe fornire un sostegno per i consumi delle famiglie e, di conseguenza, per l’attività economica in generale.
Anche nelle altre economie sviluppate lo scenario non deve preoccupare, nonostante ci siano dei fattori di debolezza evidenti.

Lo scenario

E’ più plausibile quindi parlare di un rallentamento nel percorso che conduce alla normalità. Ad esempio il calo dell’inflazione, che finora è stato graduale e rapido, dovrebbe diventare più blando. I traguardi più semplici sono stati raggiunti, per gli ultimi passi però servirà più tempo.
Questo spiega anche perché le banche centrali potrebbero essere molto più caute di quanto si pensa nell’abbassare i tassi di interesse. Dopo tanto lavoro, i policy maker sono pronti ad agire con cautela, per non rischiare una seconda ondata d’inflazione.

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Mercato del caffè, ormai la differenza di prezzo tra robusta e arabica è minima

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  • 3 Settembre 2024

Negli ultimi tempi si parla moltissimo dell’aumento del prezzo del caffé, che potrebbe giungere a 2 euro al bar. L’aumento deriva dallo scenario che sta avvenendo sul mercato del caffè, le cui quotazioni sono arrivate a livelli molto elevati, fino a toccare i massimi di 13 anni.
La cosa insolita però è che l’aumento dei prezzi ha avvicinato le quotazioni della varietà “arabica“, la più pregiata, a quella “robusta“, considerata meno nobile.

Cosa succede sul mercato del caffé

cafféBisogna premettere che la qualità arabica viene coltivata ad altitudini superiori, che rendono quindi la produzione più difficile. Inoltre è anche meno resistente alle malattie e più delicata sotto il profilo della composizione chimica. In una parola, qualità.
Normalmente questo spiega perché la varietà arabica vale molto di più di quella robusta, oltre ad essere maggiormente apprezzata dai consumatori in termini aromatici (contiene minore caffeina rispetto alla variante robusta).

E allora perché negli ultimi mesi c’è stato l’avvicinamento dei prezzi di queste due varianti, e perché gli indicatori che anticipano il trend rivelano che questa tendenza continuerà?

L’avvicinamento tra i prezzi

Il mercato del caffè prevede una quotazione alla borsa finanziaria ICE di entrambe le varianti. Alla fine di agosto l’arabica era quotata sopra i 5500 dollari per tonnellata mentre la variante robusta era giunta a 5.100 dollari per tonnellata. Certo, difficilmente arriveremo a una situazione di zero spread, ma comunque questo scarto di 400 dollari è assolutamente irrisorio. Soprattutto se lo confrontiamo con i prezzi del passato, quando la varietà arabica costava addirittura circa il doppio.
Nel 2020, ad esempio, l’arabica con consegna a un mese costava 2450 dollari, mentre la robusta costava 1.287 dollari.

Che cosa è cambiato?

La svolta è avvenuta nel 2023, quando i prezzi delle due varianti sul mercato del caffè hanno cominciato ad avvicinarsi. Questo scenario si è concretizzato per una serie di fattori che si sono verificati simultaneamente.

In primo luogo le condizioni climatiche sfavorevoli che hanno inciso sulla produzione di caffè robusta, specialmente nelle regioni del Vietnam, Costa d’Avorio e Uganda. Le tensioni in Medio Oriente hanno poi reso difficili le spedizioni di robusta dall’Asia orientale all’Europa. Incide poi l’aumento di domanda di robusta per il suo utilizzo nelle miscele di caffè, sempre più richieste rispetto alle “monorigine”.

Oltre a tutto questo c’è un miglioramento della qualità di caffè robusta, che per lungo tempo è stata trascurata dai produttori. Negli ultimi anni invece gli agricoltori sono stati incentivati effettuare investimenti per migliorare, proprio grazie all’aumento nell’utilizzo delle miscele.

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Economia USA, quanto è concreto il rischio recessione?

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  • 25 Agosto 2024

Negli ultimi giorni sul mercato ha tenuto banco l’ipotesi che gli Stati Uniti possono finire in recessione nel prossimo anno. In realtà questo scenario riguardante l’economia a stelle e strisce non è affatto concreto, sebbene la maggior parte degli analisti veda il rischio leggermente in aumento.

L’ipotesi di Goldman Sachs sull’economia USA

economia usaGli analisti di Goldman Sachs ritengono che ci sia il 25% di probabilità che l’economia americana possa vedere la crescita fermarsi il prossimo anno. Sebbene tale percentuale sia decisamente in aumento rispetto alla precedente previsione (15%, dati Quotex Italia), parliamo comunque di una ipotesi considerata marginale. Secondo gli esperti infatti, l’economia a stelle e strisce continua a sembrare buona nel complesso e non ci sono grandi squilibri finanziari.

Il ruolo della Federal Reserve

Gran parte dei timori del mercato finanziario negli ultimi giorni è legato alle mosse che la Federal Reserve dovrà fare per evitare il rischio di ingolfare l’economia USA. Dato per scontato un taglio dei tassi a settembre, il dubbio sorge sia sulla ammontare di questa sforbiciata, sia sul numero di altri tagli che verrà fatto nei prossimi mesi.

Secondo Goldman Sachs ce ne saranno tre da 25 punti base entro fine anno. Jp Morgan e citi Group invece prevedono una riduzione di mezzo punto percentuale a settembre. C’è anche chi ritiene che in caso di lunga instabilità dei mercati, la Fed possa decidere di anticipare il meeting in programma a metà settembre per effettuare un taglio dei tassi.

Il rapporto sul mercato del lavoro

Se l’ultimo report sul mercato del lavoro (Non Farm Payrolls) più debole del previsto aveva innescato una vera e propria fuga dal mercato dei capitali, con le borse in declino e il dollaro in discesa, è chiaro che il prossimo report a fine agosto avrà un impatto analogo, se non dovesse essere soddisfacente.
Gli economisti sono comunque scettici riguardo al rischio deterioramento del mercato del lavoro. Non solo non c’è nessun indicatore inversione trend che fa immaginare un deterioramento forte, ma inoltre le offerte indicano che la domanda rimane solida e non ci sono shock evidenti. Il pericolo di una hard landing resta quindi limitato.

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Mercato dei diamanti, svolta storica per il gigante De Beers

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  • 30 Maggio 2024

C’era un famoso slogan secondo il quale “un diamante è per sempre“. Adesso chi ha coniato quel motto, la celebre società De Beers, finisce vittima di un destino contrario. La Anglo American, società proprietaria del re del mercato dei diamanti, ha deciso infatti di abbandonare le pietre per dedicarsi maggiormente al rame, che a quanto pare è diventato più prezioso.

La dura legge del mercato

diamantiSia chiaro, non vedremo mai un anello con una pietra di rame incastonata sopra, ma il fatto che la celebre società sudafricana che produce diamanti sia trattata quasi come un fardello, è il chiaro segnale dei tempi che stanno cambiando ogni mercato.

La Anglo American – un colosso che nel 2023 ha registrato un fatturato di 32 miliardi di dollari – ha intenzione di disinvestire nella società sudafricana nata nel 1888, o al massimo creare uno spin off della divisione diamanti.
L’annuncio ha provocato uno scossone in borsa del titolo britannico, che è crollato del 4% subito dopo.

Riorganizzazione societaria

Oltre a scorporare il marchio di diamanti, con la motivazione di “migliorare la propria flessibilità strategica“, Anglo American vuole separare le divisioni nichel, platino e carbone metallurgico, così da concentrarsi soprattutto sul mercato del rame e dei minerali ferrosi di prima qualità, dove gli indicatori di volume indicano un costante aumento della richiesta.
Va peraltro ricordato che la stessa società britannica già possiede tre miniere di rame in Cile e un grande progetto in Perù. La Anglo American ci crede così tanto da aver rifiutato una proposta di acquisto da 47 miliardi di dollari da parte della maggiore società mineraria al mondo, Bhp.

Perché tanto interesse verso il rame

Il motivo dietro il forte interesse verso il mercato del rame è abbastanza chiaro. Il metallo rosso è uno dei più importanti per il percorso di transizione energetica. Alla crescita della domanda si contrappone una carenza di offerta che ha spinto le quotazioni al nuovo record storico oltre i cinque dollari per libbra a New York (fonte Pocket Option Italia).
Secondo l’International Copper Association, la domanda globale di rame dovrebbe crescere di 12,6 milioni di tonnellate dal 2020 al 2040. Secondo Goldman Sachs, i prezzi del rame potrebbero toccare i 12.000 dollari a tonnellata nel 2024.

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Economia green, per l’Europa uno dei metalli critici è il cobalto

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  • 28 Maggio 2024

Si alza l’attenzione su alcuni metalli, per via della transizione energetica in corso. L’Unione Europea, nel Raw materials Act pubblicato nel 2023, ha individuato alcune vulnerabilità che la nostra economia deve risolvere riguardo a materie prime definite critiche. Tra queste c’è il cobalto.

Il calcolo della criticità per un’economia green

economia greenVa anzitutto fatta una precisazione. La criticità di un metallo per l’economia europea è stata valutata in base a due parametri.
Il primo è l’importanza economica che ha quel metallo, il secondo parametro è il rischio di approvvigionamento relativo a quella materia prima (anche in relazione alla disponibilità di sostituti efficaci a prezzi contenuti). Ebbene il cobalto risulta essere uno dei metalli a maggiore criticità.

Il ruolo del cobalto

L’utilizzo del cobalto si lega in special modo nella produzione delle batterie agli ioni di litio, che dal 2013 al 2020 ha provocato un incremento dal 44% al 57% nel consumo di cobalto (fonte Pocket Option link). Ma nell’economia contemporanea questo metallo viene utilizzato anche nelle superleghe, per i pigmenti, per i materiali duri, per i magneti e per gli essiccatori per vernici ed adesivi per pneumatici.

L’Europa ne produce solo una minima parte

Il problema per l’Europa è che questa commodity è caratterizzata da un alto rischio di fornitura, dal momento che dipendiamo in misura enorme dai Paesi esteri, in particolar modo dalla Repubblica Democratica del Congo. Nel nostro continente invece l’unica produzione interna è quella finlandese, che rappresenta appena l’1% della produzione mondiale di cobalto.
Ad aggravare la situazione e il fatto che cobalto è un metallo difficilmente sostituibile per via delle sue proprietà chimiche e fisiche uniche (ad esempio, l’elevata resistenza alla corrosione alla temperatura e all’usura).

Il fattore prezzo

Un altro fattore critico è il prezzo di questo metallo. Storicamente ci sono state due fiammate, la prima tra il 2016 e il 2018 e la seconda tra il 2021 e il 2022, seguite poi da un rapido rientro (tecnicamente l’andamento è stato tipico delle gravestone doji candlestick). Dopo quest’ultimo ciclo di rialzi i prezzi del cobalto si sono attestati a circa 28.000 dollari per tonnellata.

La grande preoccupazione dell’Unione Europea è che i prossimi anni potrebbero vedere una nuova crescita per via della transizione energetica che sta attraversando la nostra economia. Tuttavia la ricerca di trovare un sostituto e una sfida complicata, ed è per questo l’Unione Europea ha posto il cobalto nella lista delle criticità maggiori.

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Economia del futuro, la battaglia strategica riguarderà soprattutto i minerali

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  • 16 Aprile 2024

Gli sforzi globali per cercare di ridurre le emissioni di carbonio e giungere così ad una economia più sostenibile, finiranno inevitabilmente per acuire la battaglia per approvvigionarsi di minerali strategici.

I minerali al centro dell’economia

materie primeCi sono due fattori chiari che stanno caratterizzando lo scenario attuale e saranno ancora più evidenti nell’economia del futuro. Il primo è la limitata offerta di minerali strategici, il secondo è la crescente domanda di queste materie prime, evidenziata da tutti gli indicatori di trend following quali sono, dal momento che sono essenziali per la transizione energetica.
La combinazione di questi due fattori renderà sempre più aspra la battaglia per l’approvvigionamento futuro di questi asset.

Lo scenario dal lato dell’offerta

Nell’ultimo secolo la produzione mondiale di metalli è cresciuta in modo significativo. Tuttavia, i giacimenti di quei minerali che sono necessari alla transizione energetica si trovano concentrati in pochi paesi.
Ad esempio, il Cile è il maggiore produttore di rame al mondo, e rappresenta circa un quarto della produzione totale di questo metallo. Uno scenario analogo riguarda il platino e il cobalto, dove la parte del leone la recitano il Sudafrica e la Repubblica Democratica del Congo.
Alla Cina invece spetta il predominio riguardo la produzione globale di terre rare, con oltre il 70%. La stessa percentuale che Australia e Cile hanno riguardo all’estrazione globale di litio.

La raffinazione dei metalli

Se l’offerta è limitata e soprattutto concentrata a pochi paesi, un livello di concentrazione maggiore riguarda la raffinazione e lavorazione degli stessi. In questo ambito infatti la Cina ha acquisito una posizione dominante riguardo a nichel, litio, cobalto e terre rare. Pechino si è così costruita un grande vantaggio competitivo, grazie a una pianificazione che affonda le radici nel decennio scorso.
Anche se Stati Uniti e Europa hanno intrapreso delle misure per cercare di recuperare questo ritardo, Pechino rimarrà a lungo con un discreto margine di vantaggio.

Impatto geopolitico

E’ fuor di dubbio che la crescente domanda di metalli e la loro offerta limitata finiranno per influenzare gli eventi geopolitici nel futuro. I paesi che hanno molti minerali diventeranno sempre più importanti sulla scena dell’economia globale, e arricchiranno le loro cassa statati visto che lo stocastico lento dell’andamento dei prezzi segnerà spesso l’ipercomprato. Al tempo stesso c’è il rischio che un divario troppo grave possa alimentare le rivalità geopolitiche.

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Economia Argentina, i primi 100 giorni di Milei presentano luci e ombre

Sono passati alcuni mesi da quando Javier Milei è diventato presidente dell'Argentina. Personaggio deciso e controverso, Milei aveva promesso di risollevare l'economia argentina con ricette severe. Qual è il bilancio dei suoi primi 100 giorni di lavoro?

I primi segnali del nuovo corso sull'economia

argentina economiaNon si può negare che il "Trump argentino" abbia adottato una terapia d'urto. Il suo decretazo, nonostante il ridimensionamento voluto da una parte dello schieramento politico, ha prodotto un taglio feroce alla spesa pubblica. Tanto che a gennaio, per la prima volta dal 2012, l'Argentina un avanzo finanziario di quasi mezzo miliardo di euro.

Sicuramente i mercati hanno apprezzato questo primo segnale di ripresa dell'economia argentina, anche se la strada da percorrere è ancora molto lunga. Inoltre il costo sociale di questa misura è stato pesantissimo (tagli ai sussidi statali e più in generale per le sforbiciate alla spesa pubblica). Se prima il tasto di povertà era superiore al 40%, adesso questa quota è salita al 57%.

Il problema inflazione

Uno dei drammi dell'economia Argentina è l'enorme peso dell'inflazione, che nel 2023 ha chiuso al 211%. La maxi-svalutazione del Peso argentino (in un anno il cambio ufficiale USDARS è cresciuto di oltre il 300%, ma ormai gli istituti di cambio fanno scattare gli stop buy order sulla valuta statunitense) ha finito per spingerla addirittura al 276%, e questo ha acuito le difficoltà della popolazione.
Tuttavia si possono trovare degli spiragli di luce, visto che a febbraio c'è stato un rallentamento della corsa dei prezzi.

Popolazione e mercati

E fuori di dubbio che la terapia di Milei per risollevare l'economia Argentina qualche frutto lo sta dando. Anche per questo la luna di miele della borsa Argentina prosegue. L'indice Merval di Buenos Aires da metà dicembre ha guadagnato il 40% e le figure di continuazione tecniche confermano che i mercati sembrano nutrire fiducia nel nuovo presidente.
Discorso diverso però riguarda la popolazione, sulle spalle della quale ricadono quasi tutti i sacrifici, o quantomeno quelli maggiori.

Prospettive

I prossimi mesi ci diranno qualcosa di più riguardo all'efficacia della terapia di Miley sull'economia Argentina. Il nuovo presidente, oltre alla fiducia dei mercati, verrà agevolato anche da un pizzico di fortuna legato alla forte ripresa della raccolto agricolo, che consentirà di ridare slancio all'export del Paese e quindi di recuperare le riserve monetarie. Inoltre alcune multinazionali hanno fatto marcia indietro sull'ipotesi di cedere le loro attività nel paese. Anche questo è un segnale molto positivo.

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Materie prime, le grandi aziende continuano la corsa al rame

Da un po’ di tempo a questa parte, sul mercato delle materie prime è scoppiata una frenesia per quanto riguarda il rame. Diversi giganti aziendali stanno infatti portando avanti operazioni di acquisizione di miniere di metallo rosso, spendendo montagne di milioni.

La corsa alle materie prime

rameHa fatto notizia, ad esempio, l’acquisto della miniera di Khoemacau, in Africa, da parte della China Minmetals, il potente gruppo statale cinese. L’acquisto è costato circa 1,88 miliardi di dollari, e fa parte di un piano strategico che la Cina sta portando avanti da tempo per insediarsi in Africa e Sud America.

Pochi mesi prima, era stato il gigante anglo-australiano BHP ad acquisire la rivale OZ Minerals, ricca di rame, per 6,38 miliardi di dollari. Un altro colosso delle materie prime, l’americana Newmont, poco prima aveva pagato 19 miliardi per acquistare Newcrest.

Perché così tanto interesse?

Tra tutte le materie prime, il rame è al centro della competizione internazionale per il suo ruolo fondamentale nel processo di transizione energetica, al pari (se non di più) del Litio o delle Terre rare, altri due minerali molto richiesti sulla borsa Xetra.
Il metallo rosso è una materia prima ampiamente utilizzata nell’edilizia, nelle reti elettriche e nei beni di consumo a basse emissioni di carbonio. Ma soprattutto ha un ruolo fondamentale per l’industria solare e quella automobilistica.

Qualche numero…

Si stima che ogni auto in futuro richiederà non meno di 80-100 chili di rame, rispetto ai circa 20 chili di un veicolo convenzionale. Nel settore solare, il fabbisogno di questa materia prima dovrebbe quintuplicare rispetto a quello di una centrale elettrica a gas. E non dimentichiamo le turbine eoliche offshore, che richiedono un numero considerevolmente maggiore di cavi per essere collegate alla costa. Questo basta a spiegare perché il prezzo del rame è salito a circa 4 dollari per libbra, con il Parabolic Sar che si è spostato sotto la linea della quotazione.

La corsa al rame

Diventa chiaro adesso perché c’è questa corsa ad accaparrarsi le forniture per il futuro. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), la domanda globale di rame dovrebbe crescere del 40% entro il 2040, il che potrebbe portare a una carenza globale, e quindi a una esplosione di prezzo.

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Economia globale, la Cina resta il vero ago della bilancia

Per il 2024, il governo della Cina ha fissato come obiettivo di crescita dell’economia il 5%. Come lo scorso anno. Rispetto ai target europei sembrerebbe un dato entusiasmante, ma in realtà si tratta di uno degli obiettivi meno ambiziosi degli ultimi 30 anni.

Gli ultimi dati sull’economia

economia cineseLo scorso anno la Cina è riuscita a superare leggermente l’obiettivo, arrivando al 5,2%. Ma una crescita così blanda dell’economia non si vedeva dagli anni Novanta, ad eccezione del periodo del Covid che però fa poco testo. Addirittura, secondo alcuni esperti Il dato è stato sovrastimato.

Quello che conta davvero però è che le difficoltà che ha vissuto l’economia cinese sono ancora tutte là, e minacciano il futuro della seconda economia globale.

Il problema del settore immobiliare

Il vero punto debole degli ultimi anni è stato il settore immobiliare, che nei precedenti due decenni aveva trainato la crescita, arrivando a rappresentare oltre un quarto del PIL del paese. La crisi che ha colpito il settore (mandando molti sviluppatori sull’orlo della bancarotta) ha creato una forte pressione che alimenta la frenata dell’economia. La Banca Popolare Cinese ha provato a risollevare il settore attraverso il taglio dei tassi sui prestiti immobiliari, mentre il governo ha proposto degli incentivi a titolo di garanzia per i costruttori. Finora però il settore immobiliare non ha mostrato segni di ripresa.

Il calo dei consumi

Un altro grosso nodo da sciogliere riguarda i consumi privati. A causa dell’alto tasso di disoccupazione giovanile (15%) e delle incertezze riguardo alla situazione economica, il Demarker dei consumi privati si è indebolito. Non a caso la Cina è andata in deflazione per ben quattro mesi. Il calo della domanda spinge le aziende a ridurre la produzione e praticare degli sconti per evitare l’accumulo delle scorte. Tutto ciò agisce al ribasso sui loro profitti aumentando le difficoltà.

Lo scenario geopolitico

La situazione complessiva a livello geopolitico non aiuta la Cina, che ha sempre avuto nelle esportazioni un importante leva per la crescita. Nel 2023 l’export ha riconosciuto la prima contrazione dal 2016, anche per via delle tensioni con gli Stati Uniti che hanno ridotto il commercio tra le due maggiori economie mondiali.
Se è vero che contemporaneamente gli indicatori di volume degli scambi tra Cina e Russia si sono irrobustiti, è altrettanto vero che questo non basta a compensare il calo dei rapporti con gli Stati Uniti. Peraltro il calo si è registrato anche nei confronti dell’Unione Europea, cosa che aggrava ulteriormente la situazione.

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Bilancio della Russia ancora in piedi… grazie soprattutto all’India

Siamo arrivati a due anni dall’invasione della Russia in Ucraina. A questa guerra l’Occidente aveva deciso di rispondere con sanzioni economiche contro Mosca. Eppure dopo 24 mesi il bilancio della Russia rimane ancora in piedi.

Il ruolo di gas e petrolio per il bilancio

bilancioBisogna fare una distinzione importante tra due voci di cassa tradizionalmente preziose per Mosca. La prima è quella del gas. Quello russo ha rifornito l’intera Europa per decenni, ma il vecchio continente con tanta fatica, e dopo molti mesi di sacrifici, è riuscito a sostituire il fornitore russo con altri fornitori. Se prima il 40% del gas che arrivava in Unione Europea proveniva dalla Russia, adesso questa quota è scesa ad appena l’8%.

L’aumento dell’export verso Cina e Turchia è riuscita a compensare questo calo soltanto per il 5/10 per cento. Secondo l’istituto statale russo “Accademia delle Scienze“, il colosso del gas Gazprom entro il 2025 potrebbe cominciare a registrare delle perdite ingenti a causa di questo nuovo scenario.

L’India ancora di salvezza

Quello che ha consentito al bilancio della Russia di rimanere a galla è stato soprattutto il rapporto privilegiato commerciale con l’India. Le vendite record di petrolio agli indiani hanno consentito alle casse del Cremlino di avere 37 miliardi di dollari. Si tratta di una cifra record.

L’India è anche diventata il fulcro delle triangolazioni petrolifere che hanno permesso a Mosca, in via indiretta, di esportare anche negli Stati Uniti il suo greggio per oltre un miliardo di dollari. In questo modo Mosca riesce anche ad aggirare il Price Cap di 60 dollari al barile imposto dall’occidente (per rendere un’idea, al momento la quotazione del petrolio è più o meno sugli 80 dollari al barile, e sta facendo pressione sulle Bollinger bands).

Qualche scricchiolio con Nuova Delhi

L’importante ruolo dell’India per il petrolio russo spiega anche perché Mosca sia stata più accomodante, quando l’India si è rifiutata di pagare il petrolio importato in Yuan cinesi e non in dollari (il rapporto dollaro- Yuan si trova a 7,3), sfruttando una strategia di spread trading. Dopo che per un periodo le raffinerie indiane avevano sospeso gli acquisti di greggio, a dicembre questo commercio è ripreso.

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Mercato dei metalli industriali, il palladio è quello più penalizzato

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  • 23 Febbraio 2024

Lo scoppio della guerra in Ucraina ha creato delle situazioni nervose sul mercato dei metalli industriali, che nell’ultimo anno e mezzo si sono mossi in ordine sparso. Uno di quelli maggiormente in difficoltà è stato il Palladio.

Il ruolo del palladio sul mercato dei metalli

palladioBisogna anzitutto circoscrivere il ruolo che il Palladio ha in ambito industriale. Principalmente viene utilizzato per la produzione in ambito automobilistico dei convertitori catalitici. Tuttavia il suo ruolo sul mercato dei metalli è ancora più ampio, perché serve a creare celle a combustibile per produrre energia, viene utilizzato anche nella gioielleria, nell’odontoiatria e nella produzione di componenti elettronici.

Chi rifornisce il mondo di palladio

I due paesi maggiori produttori di Palladio al mondo sono Russia e Sud Africa, che da soli rappresentano l’80% della produzione totale di palladio sul mercato dei metalli. Questo aspetto è rilevante per comprendere il motivo per cui il prezzo del Palladio è in fase calante da diversi mesi. Contrariamente a quello che si pensava, non è stata vietata l’importazione di Palladio dalla Russia, e quindi l’offerta sul mercato è rimasta tonica. Più l’offerta è alta, meno tensione c’è sul prezzo .
Ma non è solo questo il motivo per cui i prezzi del palladio sono scesi ai minimi di 5 anni, sotto i 1000 dollari l’oncia e al di sotto delle principali medie mobili trading.

Il ruolo dell’automotive

La ragione principale del calo del prezzo è legata alla transizione energetica, che spinge l’industria automobilistica a ridurre le emissioni virando verso i veicoli elettrici. Proprio l’aspettativa di questo scenario ha spinto le case automobilistiche a preferire il platino, che è più economico rispetto al Palladio per produrre i catalizzatori.

Questo scenario ha fatto sì che sul mercato dei metalli il Palladio ha registrato un surplus produttivo di 300.000 once, quando appena un anno prima c’era stato un deficit di 200.000 once (dati Xetra). Questo ha alimentato anche le scorte detenute dei produttori, che sono ben oltre i dodici milioni di once.

Lo scenario

Per quanto riguarda il prossimo futuro, non si può prescindere dalla situazione relativa alla Russia. La situazione geopolitica potrebbe infatti cambiare, i livelli produttivi di Mosca e di conseguenza andare a incidere sul prezzo. Discorso analogo vale per il Sudafrica, che da tempo soffre di blackout elettrici e si trova in una situazione economica complicata. Anche questi sono fattori che potrebbero incidere sulla formazione del prezzo del Palladio in futuro.

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Economia argentina in crisi, ecco la ricetta del neopresidente Milei

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  • 11 Febbraio 2024

Quando ha vinto le elezioni presidenziali in Argentina, Javier Milei sapeva benissimo di aver ereditato una situazione assai pesante. L’economia argentina è in stagnazione, fortemente indebitata e senza possibilità di accesso al credito. Occorrono riforme strutturali importanti, anche se la priorità è evitare che l’inflazione vada totalmente fuori controllo.

Il quadro drammatico dell’economia Argentina

economia argentinaSecondo il Fondo Monetario Internazionale, l’economia argentina negli ultimi 12 anni non è cresciuta per niente. Per di più il prodotto interno pro capite è crollato, per via dell’incremento della popolazione e del tasso di cambio ufficiale fortemente sopravvalutato rispetto al dollaro americano.

Basta pensare che per convertire i propri pesos in dollari, gli argentini devono ricorrere al mercato parallelo, dove il tasso di cambio è il triplo di quello ufficiale e nessun broker affidabile ormai include il cambio USDARS tra quelli negoziabili.

La corsa dell’inflazione

Negli ultimi quattro anni il tasso di inflazione annuale è stato all’incirca del 60%. Quando verranno calcolati i dati finali del 2023, risulterà un indice dei prezzi al consumo superiore al 200% annuale.
Una discreta fetta della popolazione è al di sotto della soglia della povertà, mentre per via della gestione scriteriata delle precedenti amministrazioni, il Paese si è indebitato ad un livello che non è più sostenibile. Il vero problema tuttavia non è il deficit bensì come finanziarlo, anche perché gli investitori ormai non si fidano più.

Brutta gatta da pelare per Milei

Il primo passo che dovrà compiere Milei sarà quello di arginare la corsa dell’inflazione. La sua proposta per arrivare al deficit zero in un solo anno, è aumentare le tasse del 2% del Pil e ridurre le spese del 3% del Pil, tagliando i sussidi economici, gli investimenti in opere pubbliche, i trasferimenti discrezionali alle province, le spese operative, la spesa per pensioni e benefici pensionistici.

Nel frattempo il governo sta liberalizzando l’economia argentina, rimuovendo i controlli sulle importazioni ed eliminando gli inefficaci controlli sui prezzi. Ha poi svalutato il peso, portando il tasso di cambio ufficiale da 365 a 800 pesos per dollaro, in tal modo riducendo il divario tra il tasso ufficiale e quello parallelo.
A prescindere dal funzionamento di queste ricette, non sarà possibile rilanciare l’economia argentina con strategie a breve termine, serviranno ricette strutturali e questo richiederà molto tempo.

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Mercati finanziari, quanti driver guideranno la corsa del 2024

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  • 20 Gennaio 2024

Le decisioni di politica monetaria da parte delle banche centrali saranno l’elemento cardine per i mercati finanziari. Ma diversi altri fattori in calendario contribuiranno – in misura più o meno forte – a dare un indirizzo tanto al comparto azionario che a quello obbligazionario e valutario.

L’evento clou per i mercati finanziari

mercati finanziariIl driver più importante è senza dubbio l’andamento della politica monetaria. Gli investitori danno per scontato che nei prossimi mesi cominceranno le sforbiciate al costo del denaro, e forse la FED comincerà a farlo tra marzo e aprile. Saranno proprio tempistiche e ed entità dei tagli a imprimere la direzione ai mercati finanziari.

La convinzione che negli USA i primi ritocchi avverranno in primavera, ha spinto l’indice US 500 verso nuovi massimi storici, grazie all’entusiasmo degli operatori su una Federal Reserve che possa tornare accomodante.

Le elezioni negli USA

Sul finire dell’anno, poi, ci sarà l’importante appuntamento elettorale negli USA, con le presidenziali che si terranno il 5 novembre. Ma prima ci sarà la lunga corsa delle primarie democratiche e repubblicane, che si terranno nel corso del primo semestre. Tra i democratici il favorito è l’attuale presidente Joe Biden, che può contare su una preferenza attorno al 65%.

Probabilmente il suo sfidante repubblicano sarà Donald Trump, che negli ultimi mesi ha accresciuto i suoi consensi. Si preannuncia comunque uno scontro infuocato, che verso fine anno genererà molta turbolenza sui mercati, e non è difficile immaginare che i prezzi di tutti gli asset oscilleranno in modo forte attorno alle medie mobili più usate.

La situazione geopolitica

Da tenere sotto controllo ci saranno anche gli sviluppi sulle tensioni geopolitiche: conflitto Ucraina-Russia, crisi in Medio-Oriente, rapporti Stati Uniti / Cina.
Questi fronti cali hanno nel corso dell’anno favorito alcuni asset considerati “rifugio sicuro”. Basta pensare all’oro, che negli ultimi mesi ha guadagnato molto terreno arrivando di nuovo oltre la soglia dei 2000 dollari l’oncia. Ma gli effetti si sentono anche sulle coppie di valute più volatili, che sono più sensibili agli umori generali.

Gli asset virtuali

Una nota a parte meritano gli asset digitali, le criptovalute. Il 2023 è stato ricco di volatilità che si è chiuso con i prezzi che hanno toccato massimi degli ultimi 18 mesi. Il fattore chiave sarà la prossima approvazione da parte della SEC statunitense dei primi ETF su bitcoin spot, che amplieranno la platea di potenziali investitori di questo asset.

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Economia Argentina, ecco cosa può succedere con Milei presidente

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  • 28 Novembre 2023

L’Argentina ha scelto Javier Milei come nuovo presidente, indirizzando così il paese verso una svolta non solo politica ma anche della propria economia. L’esponente di estrema destra è infatti favorevole ad una dollarizzazione del paese.

L’elezione di Milei e le conseguenze per l’economia

economia argentinaMilei ha vinto col 56% il ballottaggio contro il progressista Massa (44,04%), candidato ben visto dall’elite internazionale e soprattutto dal Fondo Monetario Internazionale che ha finanziato l’Argentina con un prestito di oltre 50 miliardi di dollari.
Si tratta di una notte storica, ha detto il nuovo presidente.  E non c’è dubbio che lo sarà davvero, anzitutto per l’economia Argentina.

Il ruolo del dollaro

La posizione di Milei rispetto al dollaro statunitense ha un ruolo cruciale nel suo programma politico. Il nuovo presidente ha infatti apertamente dichiarato ce vuole una dollarizzazione dell’economia argentina. Compiere un passo del genere significherebbe dire addio al peso, che ha perso enorme valore nell’ultimo anno e mezzo tanto che le piattaforme online gratis non lo negoziano neanche più.

Il rapporto di cambio rispetto al dollaro è ai massimi storici, e non è difficile immaginare visto il tasso di povertà al 40% nel paese che solo una piccolissima fetta della popolazione si possa permettere di comprare dollari al giorno d’oggi. Il rischio della dollarizzazione quindi è di innescare grosse tensioni sociali.

Nuovo scenario geopolitico

Riflessi importanti sull’economia Argentina si avranno però soprattutto a livello geopolitico. Chiaramente dollarizzare l’economia Argentina significa avvicinare sensibilmente le proprie posizioni a quelle statunitensi, abbandonando quindi sempre di più quelle dei BRICS (principalmente Brasile e Cina). Una vera e propria rivoluzione geopolitica.

La preoccupazione del mondo finanziario

Per questo motivo il mondo della finanza è preoccupato per la vittoria di Milei. Il peso argentino garantito attraverso i mercati paralleli è crollato di oltre il 10% a 1.000 per dollaro (fonte dati XTB group), innescando una nuova svalutazione del tasso di cambio ufficiale. Anche perché Milei promette anche di chiudere la banca centrale.

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Mercato del Litio sempre più al centro della strategia economica globale

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  • 17 Novembre 2023

La corsa all’elettrificazione degli autoveicoli sta continuando in maniera impetuosa. Tutto questo pone un problema di reperibilità delle materie prime necessarie al percorso di transizione dal fossile al “green”. Il fulcro della questione diventa così il mercato del Litio, che è diventato anche argomento di scontro commerciale tra la Cina da una parte e gli Stati Uniti con i suoi alleati occidentali dall’altra.

L’importanza del mercato del Litio

litioAlla base di questa tensione di mercato c’è l’essenzialità del litio nella sua forma di carbonato, quale elemento per la produzione degli accumulatori. Questi ultimi sono al momento la miglior soluzione possibile per le batterie dei veicoli elettrici. Ecco perché il mercato del Litio è così importante. Non a caso l’Unione Europea ha inserito il Litio nell’elenco delle materie prime strategiche.

Comanda la Cina

La Cina si è mossa con grande anticipo e lungimiranza in questo ambito, sviluppando così una leadership nel mercato del Litio grazie al controllo dell’intera catena del valore. Oltre a detenere riserve importanti, Pechino ha anche sviluppato le sue capacità di estrazione e raffinazione. Infine la Cina si è anche specializzata nella produzione degli accumulatori agli ioni di litio.
Secondo i dati EV Volumes, la Cina è riuscita a incrementare la sua quota di produzione mondiale di autoveicoli elettrici passando dal 19% nel 2021, al 32% nel 2022 (fonte dati XTB group).

Questione di prezzo

E’ chiaro che tutti questi movimenti sul mercato del Litio hanno un effetto sui prezzi. Dopo una fase di crescita avuta qualche anno fa, a cui è seguita una stabilizzazione, nel 2023 c’è stato un forte rallentamento, pari addirittura al 70%, scivolando a 165.000 CNY tonnellata. Questo impatto tuttavia non si è ancora trasferito in misura integrale in Europa, dove la riduzione è stata solo del 50%. L’annullamento di questo divario, il punto di zero spread tra i due prezzi, potremmo però non vederlo affatto.

Pressione sull’Europa

La crescente richiesta di veicoli elettrici nei prossimi anni, porterà ad un incremento inevitabile anche della richiesta di litio, A meno che non cambi la tecnologia di base per la produzione delle batterie. Significa che se l’Europa non riuscirà a raggiungere i propri obiettivi di produzione mineraria ed industriale entro il 2030, il prezzo del litio potrebbe tornare a crescere in maniera vigorosa. Ricordiamo che tra gli obiettivi del “European Critical Raw Materials Act” (CRM) c’è quello di limitare a non oltre il 65% la fornitura massima da un singolo paese terzo.

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Mercati dei Paesi più fragili a rischio con la politica “higher for longer”

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  • 4 Novembre 2023

A partire dall’estate il contesto economico globale ha cominciato a fare i conti con una nuova retorica da parte delle banche centrali. La FED in primis ha abbracciato l’idea dell’higher for longer, ossia mantenere i tassi elevati più a lungo del previsto. Uno scenario che potrebbe creare problemi ai mercati dei Paesi più fragili. Ma non tutti.

I tassi di interesse elevati e i mercati

mercatiE’ abbastanza evidente che, nonostante gli sforzi fatti dalle banche centrali nell’ultimo anno e mezzo, la battaglia contro l’inflazione galoppante sia tutt’altro che vinta.
Le ripetute strette monetarie soltanto negli ultimi mesi hanno fatto invertire la rotta all’inflazione, che però scende troppo piano. Ecco perché la Federal Reserve statunitense ha confermato che manterrà i tassi alti più a lungo.

Le pressioni a causa dei prezzi energetici

Il guaio è che dopo i tagli di Arabia e Russia alla produzione di petrolio, e dopo il più recente scoppio delle tensioni in Medio Oriente, i prezzi dell’energia sono tornati ad aumentare significativamente. Dopo un periodo di “tregua”, sono ricomparse le candele di inversione nelle tendenze di Brent e il WTI, che ora si ritrovano di nuovo sui 90 dollari al barile. Questo significa nuove pressioni inflazionistiche in arrivo.
Inoltre la politica dell’higher for longer ha fatto salire i rendimenti del titoli di Stato, innescando una corsa agli strumenti difensivi sui mercati.

I mercati più esposti

In generale uno scenario simile non è mai di aiuto ai mercati dei Paesi più fragili. Lo dimostra la storia. Negli anni Novanta la Federal Reserve ha mantenuto i tassi di interesse alti per un lungo periodo, e le principali economie dei mercati emergenti hanno sperimentato una crisi della bilancia dei pagamenti a causa del forte deflusso di capitali.

Sebbene oggi quelle stesse economie sono meno vulnerabili di allora, perché si indebitano di più all’interno e non dipendono completamente dai prestiti esteri, sono soprattutto quei Paesi di frontiera a soffrire in questo contesto, per via della correlazione tra valute rispetto ai paesi circostanti. Ma anche alcune economie asiatiche, perché sono per lo più importatrici di petrolio con bassi tassi di interesse.

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Economia, ecco perché quella Europea è meno resiliente degli Stati Uniti

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  • 20 Ottobre 2023

Dallo scoppio della pandemia in avanti, l’economia globale ha dovuto convivere sempre con il rischio di una recessione imminente. Quello che è parso più chiaro in particolar modo, è l’andamento a velocità differenti della ripresa statunitense e di quella dell’eurozona.
L’economia Europea infatti manifesta una crescita più blanda. Soltanto per poco ha evitato la recessione tecnica (che scatta dopo due trimestri consecutivi di PIL negativo).

Le fragilità della nostra economia

economia globaleSia chiaro che il rischio recessione in Europa è ancora ben presente, e alcuni ritengono che tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo si concretizzerà. È importante esaminare perché l’area dell’Euro è meno resiliente rispetto agli Stati Uniti.

Imprese e debiti

La prima ragione è che le imprese del vecchio continente hanno un debito maggiormente legato ai finanziamenti bancari che rappresentano il 70% del totale. Negli Stati Uniti invece questa percentuale è appena del 27%.

Si tratta di un dato molto importante, se pensiamo che la Fed e la BCE hanno dovuto alzare ripetutamente i tassi di interesse per combattere l’inflazione. Tutto questo ha avuto un impatto sia sull’andamento delle relative valute, come dimostrano chiaramente gli indicatori di volatilità dell’euro e del Dollaro, ma soprattutto spiega perché l’inasprimento della politica monetaria abbia avuto conseguenze più serie per le imprese europee che non per quella americane.

Deficit e apertura commerciale

In secondo luogo, gli Stati Uniti hanno potuto aumentare il deficit di bilancio per compensare in parte l’inasprimento della politica monetaria. Un vantaggio non di poco conto.
Infine bisogna considerare che gli Stati Uniti sono molto meno legati al rallentamento della crescita globale, visto che la loro apertura commerciale è la metà di quella dell’area Euro, dove il rapporto tra Import + Export rispetto al PIL è al 50% (dati Pocket Option), rispetto al 25% degli USA.

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Acquisizioni e fusioni aziendali il Brasile attira investimenti stranieri

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  • 9 Ottobre 2023

Dopo il lungo periodo di isolazionismo vissuto durante la presidenza Bolsonaro, il Brasile è tornato ad essere un centro di interesse per la finanza internazionale.
In particolare, i capitali stranieri sono tornati ad affluire nel paese sudamericano per finanziare operazioni di acquisizione e fusione aziendale. Al punto tale che il 41% degli investimenti esteri nell’intero Sudamerica è appannaggio del Brasile.

I numeri dei primi nove mesi delle acquisizioni e fusioni aziendali

brasile acquisizioni e fusioniDa gennaio a settembre di quest’anno, il numero di operazioni di fusione e acquisizione aziendale cross-border, ossia che coinvolgono investitori stranieri, è raddoppiato rispetto al totale. Se nello stesso periodo del 2022 la percentuale era al 31%, quest’anno è schizzata al 61%.

Anche in termini di controvalore la sostanza non cambia. Nei primi nove mesi di quest’anno siamo già a 26 miliardi di dollari di valore complessivo delle operazioni di fusione e acquisizione aziendale (fonte Pocket Option), dei quali 16 provengono dall’estero.

Perché è cresciuto l’interesse verso il Brasile

La ragione dietro alla quale si cela questo maggiore interesse straniero verso il settore aziendale brasiliano non è unica.
Da una parte incide sicuramente la crescita del prodotto interno lordo oltre le aspettative, visto che secondo i dati Ocse quest’anno il Brasile arriverà al 3%.

Dall’altra parte incide anche il particolare momento storico a livello geopolitico, perché oltre ai disastri della guerra in Ucraina ci sono anche i pessimi rapporti tra Stati Uniti e Cina. Questo ha spostato l’asse globale del commercio verso altre zone. In special modo Pechino ha deciso di indirizzarsi verso Africa e America Latina con maggiore convinzione. Non è un caso che da un paio d’anni Pechino sia il principale partner commerciale del Brasile, e non ci sono segnali di inversione del trend all’orizzonte.

Le operazioni al top

Tra le operazioni di acquisizione e fusione aziendale più importanti spicca sicuramente quella effettuata dal colosso Nestlé. Dopo due decenni di assenza dal Paese sudamericano, l’azienda dolciaria ha acquistato la catena di cioccolatini Copenaghen per circa un miliardo di dollari.

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Mercato immobiliare la crisi unisce Italia Europa e Stati Uniti

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  • 30 Settembre 2023

Il mattone non se la passa affatto bene. Questo è il messaggio che giunge esaminando i listini tanto europei quanto americani. Il mercato immobiliare soffre l’epoca dei tassi di interesse elevati ed è ormai rassegnato ad aspettare che le banche centrali concludano la loro battaglia contro l’inflazione, per tornare a vedere uno spiraglio di luce in fondo al tunnel.

I problemi del mercato immobiliare

mercato immobiliareNel vecchio continente e negli Stati Uniti la brusca frenata del mercato immobiliare si lega alla feroce stretta al costo del denaro, effettuata dagli istituti centrali per combattere l’ascesa dell’inflazione. E’ stato il ciclo di strette monetarie più pesante degli ultimi 40 anni. L’indicatore chaikin money flow evidenzia il drenaggio di denaro dal sistema economico più forte degli ultimi decenni.
Il mal dei tassi minaccia la salute del settore immobiliare perché sta frenando il mercato.

Tutta colpa dei mutui

Il problema è rappresentato dal costo dei mutui, che generalmente vengono accesi per l’acquisto di un’abitazione. La crescita dei tassi di interesse da parte delle banche centrali si è tradotta in un aumento che può aggiungere fino al 75% delle rate dei vecchi muti negoziati a tasso variabile. I vecchi mutui a tasso fisso si salvano, ma i nuovi comportano una rata anche superiore al 6%.
Questo spiega la brusca discesa delle compravendite, che sta proseguendo trimestre dopo trimestre. E con essa anche la price action è in discesa, perché la domanda langue..

La BCE allarga le braccia e va avanti

Siamo consapevoli di questa situazione di forte disagio – ha detto in proposito Christine Lagardema il nostro compito è di abbassare l’inflazione, non sostenere i singoli comparti dell’economia”. È sicuramente vero, ma è altrettanto vero il fatto che una quota crescente di persone sta vivendo il disagio sociale di non potersi fare una casa perché non può permettersi.

Preoccupazioni negli USA

Negli Stati Uniti il fenomeno è analogo (le case in vendita sono circa 1,1 milioni, il  dato più basso dal 1999) e rischia anche di avere ripercussioni sulle banche regionali, che sono il cuore del sistema economico a stelle e strisce. Gli istituti vantano infatti una esposizione per circa 3,600 miliardi di dollari.
Discorso a parte merita la Cina, dove la crisi dell’edilizia sta fortemente condizionando l’economia nazionale. Ma la crisi cinese nasce dalle radici stesse nel modello di sviluppo del capitalismo nel paese del Dragone.

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Industria del lusso, arriva la frenata dopo anni di forti performance

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  • 20 Settembre 2023

Dopo anni di grande fulgore, l’industria del lusso comincia ad avvertire i segni di un appannamento. I tassi di crescita in doppia cifra (così come la sovraperformance dell’intero settore) potrebbero presto diventare un ricordo. C’è da chiedersi quanto forti siano i segnali di allarme, e soprattutto se le imprese del settore sono preparate a un cambiamento forte.

Industria del lusso

lussoLa corsa delle vendite non poteva continuare in eterno, e adesso le previsioni sono per una certa normalizzazione. Il lusso, che finora aveva sempre battuto la crisi, questa volta non sembra più così tanto inossidabile. Insomma non brilla più e gli indicatori di inversione trend cominciano ad essere tanti.

Ad incidere è soprattutto l’andamento dell’economa cinese, che rappresenta il primo grande sbocco di mercato, visto che nel Paese c’è un numero maggiore di consumatori a medio e alto reddito. Ma nel 2022, per la prima volta in cinque anni, il mercato luxury cinese ha registrato una flessione. Si sperava però che dopo la pandemia ci sarebbe stata una vigorosa ripresa, ma lo scenario è stato completamente diverso.

La seconda maggiore forza economica mondiale è in grande difficoltà, non centrerà gli obiettivi annuale del PIL e questo è un grosso fardello per il settore del lusso.
Ad inizio anno un rapporto della banca Barclays prevedeva che le entrate del settore del lusso in Cina sarebbero cresciute del 15% nel 2023, più velocemente rispetto alla media globale del 9%. Ma queste previsioni sono state drasticamente riviste al ribasso.

Altri fattori frenanti

Assieme alla frenata delle vendite, bisogna anche evidenziare che il tasso di cambio è diventato meno favorevole. Infatti lo yuan cinese ha perso valore rispetto a dollaro ed euro, frenando gli acquisti dei turisti cinesi in Europa e zavorrando quelli in Yuan nel Paese orientale. Questo potrebbe comprimere fortemente i margini dei grandi player del settore fashion & luxury, già alle prese con trading con volumi minori.

La corsa degli utili dell’industria del lusso dovrebbe quindi rallentare, se non nel terzo trimestre del 2023 in quelli successivi. Quello che rispetto al passato rimane uguale è che il mercato cinese resta straordinariamente importante, per chi lo capisce e lo sa affrontare.

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Crescita e tassi, la BCE è attesa da una partita difficile (e pericolosa)

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  • 9 Settembre 2023

Tra Europa e Stati Uniti non c’è dubbio che il blocco economico messo peggio sia il vecchio continente. In Europa la crescita è debole mentre negli USA marcia resiliente, e intanto da noi l’inflazione sta scendendo con maggiore fatica e un ritmo più lento. Per questo la situazione in cui si trova la BCE è delicata.

BCE tra due fuochi: inflazione e crescita

crescita eurozonaA metà settembre le due più grandi banche centrali (FED e BCE) si riuniranno in meeting per decidere cosa fare dei tassi di interesse. L’istituto americano sembra indirizzato verso una conferma del livello attuale, mentre quello europeo vive un compito più difficile. Perché la crescita economica verrebbe ulteriormente messa sotto pressione, e il rischio recessione fa molta paura.

All’attesa di un ‘soft landing‘ negli Usa si contrappone sempre di più il timore di un ‘hard landing‘ in Europa. Per questo bisognerà agire con estrema cautela da qui in poi. L’istituto di Washington sembra essere riuscito a ottenere la discesa dell’inflazione (su base annua è al 3,2%) senza portare l’economia in recessione. La Bce deve invece ancora uscire dal tunnel (l’inflazione è al 6,1% su base annua, quasi il doppio di quella americana, dati Pocket Option Italia).

Incertezza sul prossimo meeting

Sul piatto della bilancia europea comincia però a pesare di più il quadro di una crescita sofferente, rispetto alla necessità di abbassare l’inflazione. Ma siccome la priorità istituzionale della BCE riguarda i prezzi, non la tenuta dell’economia, la partita rimane molto aperta.
Tuttavia a Francoforte sanno benissimo che gli oneri finanziari sono a un livello prossimo alla insostenibilità, e in questo momento i finanziamenti per le imprese (anche le migliori) sono costosissimi. Il relative volatility index RVI è cresciuto tantissimo nell’ultimo anno, mettendo sotto pressione la stabilità finanziaria delle imprese. Alzare ancora i tassi potrebbe dare il colpo di grazia all’economia, innescando la recessione.

Se la BCE guardasse al fatto che l’inflazione sta calando, potrebbe decidere di fermarsi un attimo e stare a guardare i dati del prossimo mese. Se invece dovesse focalizzarsi sul ritmo con cui sta scendendo (molto più lento del previsto) allora i falchi potrebbero prevalere nella decisione finale.

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Industria del turismo, altro che boom estivo. Meno male che ci sono gli americani

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  • 21 Agosto 2023

I dati confortanti sulle presenze nel nostro paese nei mesi pre-estivi avevano illuso che sarebbe stata una stagione boom per l’industria del turismo italiano. Invece il tanto agognato tutto esaurito non c’è, soprattutto per colpa degli italiani.

I dati dell’industria del turismo

turismoLe aspettative per questa stagione estiva erano molto elevate, anche perché ci si aspettava un forte rimbalzo dopo il biennio delle restrizioni pandemiche. Invece le proiezioni (i dati completi arriveranno a fine agosto) riguardanti l’industria del turismo parlano di un calo che oscilla tra il 15% ed il 20% rispetto al 2022.

Se le due settimane a cavallo di Ferragosto hanno resistito, la prima e l’ultima del mese invece sono state deludenti, perché ci si aspettava un tutto esaurito dal quale invece si è molto lontani.
Per rendere l’idea, basta pensare che in Sardegna e in Versilia l’occupazione turistica è stata al 70% e i ritracciamenti rispetto allo scorso anno sono evidenti, visto che eravamo all’87%.

Stranieri su, italiani giù

A tenere a galla l’industria del turismo sono soprattutto gli stranieri, ed in special modo gli americani, che sono tornati in massa andando a compensare un forte calo da parte dei turisti italiani. Il ritorno degli americani ha premiato soprattutto le città d’arte e le località di mare.

I problemi degli italiani

L’inflazione in generale, ed in particolare la lievitazione dei costi connessi alla vacanza (tra carburanti, lettini, alimenti, servizi e intrattenimento) ha spinto gli italiani a preferire le mete low cost straniere per le proprie vacanze (per uelli che hanno potuto farlo).
Ma del resto tra la scelta della rata crescente del mutuo da pagare e quella della vacanza non c’è dubbio che vince la prima necessità.

L’industria del turismo si trova così a ringraziare gli stranieri (specialmente gli americani, che assieme ai cinesi sono i veri market maker dell’industria), per i quali c’è stata una inversione di tendenza rispetto al biennio della pandemia. Del resto chi viene da lontano si ferma di più e spende di più, salvando così i conti del settore.

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Economia cinese, la frenata è evidente ma fa nascere anche opportunità

All’inizio dell’anno, quando vennero rimosse le rigide misure anti-Covid, si pensò che l’economia cinese avrebbe vissuto un vero boom della crescita. Tuttavia la tanto agognata ripresa si è arenata a partire dal mese di aprile.

La corsa già finita dell’economia cinese

economia cineseGli ultimi dati sul Pil del Dragone evidenziano che la Cina ha segnato +0,8% nel secondo trimestre, numero che impallidisce rispetto al 2,2% del periodo gennaio-marzo. Su base annua, la crescita del Pil è stata invece del 6,3%, che sembra incoraggiante, ma in realtà è così alto solo perché messo a confronto col periodo asfissiante delle restrizioni zero Covid.

Gli ultimi dati sulle vendite al dettaglio, sugli investimenti e sulle vendite immobiliari sono stati inferiori alle aspettative. Hanno deluso pure le esportazioni, mentre la debolezza della domanda interna e l’alto tasso di disoccupazione giovanile alimentano ulteriormente le preoccupazioni sullo stato di salute dell’economia cinese.

Anche lo yuan continua a scivolare rispetto al dollaro, con il cambio USDCNY a 7,15 secondo i dati Pocket Option Italia (peraltro in discesa dopo che il Governo si è impegnato a rafforzare il sostegno politico per la sua economia in crisi).

Il cauto ottimismo

Chiaramente questo scenario fa sorgere dei dubbi anche tra gli investitori, che si chiedono se abbia senso puntare sulla Cina oppure sia meglio aspettare tempi migliori. E infatti l’Indicatore OBV (on balance volume) evidenza un progressivo disimpegno dal paese del Dragone.
In realtà alcuni aspetti interessanti ci sono, delle opportunità si possono intravedere.

C’è settore e settore

La morsa meno stretta della politica sul settore immobiliare, tecnologico e farmaceutico. Questo dovrebbe favorire il mercato azionario cinese prossimamente. Sulla base dei fondamentali, esiste inoltre un significativo potenziale di rialzo, che suggerisce di iniziare a costruire un’esposizione accurata.

Ad esempio, nell’ambito delle rinnovabili, e specialmente nella crescita dell’energia solare e nei veicoli elettrici, esistono buone opportunità. Anche perché si tratta di due segmenti del mercato che hanno una scarsa dipendenza dagli Stati Uniti in termini di input. Al contrario, sono fortemente dipendenti da altri Paesi.

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Mercato dei minerali: litio, cobalto e nichel sono trascinati dalla transizione energetica

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  • 26 Luglio 2023

Stiamo attraversando un periodo estremamente importante per il mercato dei minerali, sul quale incide in modo determinante la rivoluzione innescata dalla transizione energetica.
In questo contesto sono specialmente tre i minerali oggetto di una domanda di mercato senza precedenti: Litio, Cobalto e Nichel.

La nuova situazione del mercato dei minerali

mineraliUna fotografia della situazione è stata fornita di recente dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE). Nel rapporto riguardante il periodo compreso tra il 2017 e il 2022, viene evidenziato l’incremento esponenziale della domanda dei tre minerali fondamentali, per sostenere la transizione verso un’economia a bassa o zero emissioni.

Secondo l’ente internazionale, la domanda di litio è triplicata negli ultimi cinque anni. Il suo prezzo nel 2015 si attestava intorno ai 5 euro/kg, mentre in seguito è arrivato a 35 euro/kg (+140%). Per lungo tempo l’indicatore supertrend ha puntato solo al rialzo.
La richiesta di cobalto ha registrato un incremento del 70%, quella di nichel è invece cresciuta del 40%.
Questo trittico domina la richiesta sul mercato dei minerali a livello mondiale, grazie alla spinta dell’industria energetica.

Il rally della domanda

La corsa delle rinnovabili viaggia a forti tassi di crescita, tanto che le previsioni indicano che le rinnovabili supereranno il carbone a metà di questo decennio, come principale fonte di generazione di elettricità. Ma per riuscire in questa transizione occorrono quantità sempre maggiori di materie prime, ed è qui che il mercato dei minerali finisce per essere stravolto.

Investimenti, domanda e offerta

Per riuscire a sostenere una domanda sempre crescente, sono aumentati in maniera significativa gli investimenti ed i progetti nel mercato dei minerali.
Nel 2022 l’incremento degli investimenti è stato pari al 30%, mentre l’anno precedente la crescita fu del 20% (dati Pocket Option Italia).

Nonostante questa corsa agli investimenti, l’equilibrio tra domanda e offerta ancora non è raggiunto. Tutto questo potrebbe influire sui prezzi del mercato dei minerali a livello mondiale, spingendoli al rialzo.
Proprio per questo motivo l’AIE sottolinea quanto sia importante arrivare ad un equilibrio stabile tra la domanda e l’offerta, ma proprio questa sarà la sfida più difficile dei prossimi anni.

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Economia Argentina, la soluzione ai problemi si chiama Brics?

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  • 27 Giugno 2023

Viste le vicissitudini ormai note, l’Argentina è un paese tecnicamente ormai fallito. La crisi costante nella quale si trova avvolta l’economia del paese non conosce fine. Dal Brasile però arriva una sponda importante da parte del neopresidente Lula che potrebbe cambiare gli scenari.

La corte dei BRICS all’economia Argentina

economia argentinaOccorre fare un passo indietro come premessa. Nel 2001 un gruppo di paesi che All’epoca erano considerati emergenti – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – si sono riuniti per cercare delle sinergie che consentissero una crescita più vigorosa alle rispettive economie. E’ nato così il BRICS.
Adesso proprio i vicini di casa brasiliani stanno spingendo affinché anche l’Argentina ne entri a fare parte.

Fuga dalla crisi

Al di là dell’eventuale beneficio di questa prospettiva (sul quale nutriamo forti dubbi), il fatto vero è che l’Argentina ha bisogno di una svolta per rialzare la sua economia. L’inflazione è ai massimi storici, la liquidità piange e il peso argentino è ai minimi storici rispetto al dollaro (dati Pocket Option Italia).

Lula tira i fili

Il grande promotore di questo allargamento all’economia Argentina è il nuovo presidente del Brasile Ignacio Lula da Silva. Che in realtà non lo fa in modo disinteressato.
Infatti l’Argentina è il terzo partner commerciale brasiliano (dopo Cina e Usa), e importa dal Brasile soprattutto prodotti industriali. Questo significa che se la crisi dell’economia argentina sfociasse in una ondata di insolvenze delle imprese e dello Stato argentini, il Brasile ne subirebbe pesanti conseguenze.
Ecco perchè Lula spinge per portarla nei BRICS, con la promessa di un maxi prestito da parte della New Development Bank, conosciuta appunto come banca dei BRICS, a capo della quale c’è Dilma Rousseff, ex presidente del Brasile e dello stesso partito di Lula (ma pure della stessa famiglia politica del presidente argentino Alberto Fernandez).

La deoccidentalizzazione dell’Argentina

In questo modo l’Argentina verrebbe sottratta anche al controllo del Fondo Monetario Internazionale, al quale è vincolata per un maxi prestito da 45 miliardi di dollari concesso poco più di un anno fa, al quale si sono aggiunti questa primavera altri 5,4 miliardi.
Anche per questo, la sua economia è ormai “dollarizzata”. Entrare nel giro dei BRICS romperebbe questa correlazione tra valute, spingendo l’Argentina sotto la sfera di influenza di Paesi come Cina e Russia. Non sarebbe una novità da poco, se la seconda economia del Sudamerica sposterebbe il suo asse verso oriente.

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Moneta digitale promossa dalla BCE: “L’euro virtuale può funzionare”

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  • 31 Maggio 2023

Secondo la Banca Centrale Europea l’immissione nel sistema dei pagamenti di un euro digitale potrebbe funzionare. Questa è la conclusione alla quale la Eurotower è giunta dopo i test condotti sulla moneta digitale tra luglio 2022 e febbraio 2023.

I risultati della moneta digitale

moneta digitaleL’istituto centrale di Francoforte ha sperimentato l’utilizzo della moneta digitale, che potrebbe essere sviluppata da un pool sufficientemente ampio di fornitori europei. Inoltre la BCE sottolinea che ci sono diverse opzioni di progettazione per individuare la soluzione tecnica migliore per un euro virtuale.

Il sistema dei pagamenti

Nel corso dei propri test, la BCE ha verificato l’utilizzo della moneta digitale in diverse situazioni per effettuare i pagamenti. NEXI è stata una delle aziende scelte per la sperimentazione dei pagamenti virtuali presso dei punti vendita. La BCE ha condotto anche dei test riguardanti la regolamentazione dei pagamenti back-end.

Alla fine si è giunti alla conclusione che l’introduzione di una moneta digitale possa essere condotta agevolmente, senza andare a incidere sull’utilizzo di altre forme innovative di regolamentazione delle transazioni.

I tempi tecnici

L’approvazione da parte della BCE di una moneta digitale non vuol dire che ci troveremo un euro virtuale di cui a breve nei nostri portafogli elettronici. La Eurotower solleva infatti un problema, ossia arrivare ad “una soluzione offline che soddisfi i requisiti dell’Eurosistema e raggiunga la scala necessaria possa essere fornita a breve e medio termine con la tecnologia esistente“. Sotto questo punto di vista bisognerà aspettare almeno il prossimo autunno per un ulteriore step di verifica, con la precisazione che questo non significa automaticamente che la BCE emetterà un giorno un euro digitale, e che si potrà scambiare su XTB o sui mercati OTC.

Non è una criptovaluta

Bisogna precisare un ulteriore aspetto. Un euro digitale non avrebbe nulla in comune con le famose criptovalute, le quali più che essere uno strumento di pagamento sono ormai uno strumento speculativo.
L’euro digitale potrebbe magari essere negoziato sulle piattaforme trading gratuite, ma non avrebbe mai la volatilità che caratterizza Bitcoin e compagnia. Rimarrebbe essenzialmente un sostituto dell’euro, riprendendone il valore.

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Economia, la transizione energetica spingerà anche lo stagno

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  • 16 Maggio 2023

Nei prossimi anni la domanda di materie prime sarà indirizzata principalmente dal processo di transizione energetica che sta riguardando l’economia globale.
Questo processo riguarderà principalmente i metalli non ferrosi, dal momento che si tratta di materie prime che vengono impiegate in molteplici tecnologie a basso impatto ambientale, se non zero. Tra questi rientra anche lo stagno.

Il ruolo dello stagno nella transizione dell’economia

economia stagnoLo stagno avrà un ruolo importante nella transizione digitale ed energetica grazie ad alcune sue qualità caratteristiche.
In primo luogo la sua forte resistenza agli agenti corrosivi ed in secondo luogo la sua grande conducibilità elettrica. Viene utilizzato come rivestimento nella lavorazione dell’acciaio e delle saldature delle componenti elettroniche. Quest’ultimo utilizzo rappresenta la metà dell’impiego totale dello stagno.

Chiaramente l’incremento della richiesta di componenti elettronici, tipica dell’economia di questo periodo, aumenterà anche il valore dello stagno.

L’ultimo biennio

La crescita della domanda di componenti elettronici proprio nell’ultimo biennio ha fatto da driver per l’aumento del prezzo dello stagno.
Se andiamo a vedere la crescita delle quotazioni di questo metallo nella banca dati XTB, nei due anni che hanno fatto seguito alla crisi pandemica si può notare che la crescita non ha avuto pari nella storia del secolo in corso, a causa di uno squilibrio tra domanda e offerta.

Mercato non in equilibrio

Il profondo deficit di offerta ha provocato uno squilibrio enorme. Le interruzioni della produzione dei principali paesi leader (Cina, Indonesia e Myanmar) hanno fatto crollare la disponibilità di stagno, mentre la domanda continuava a crescere.
Al London Metal Exchange una tonnellata di stagno all’inizio del mese di marzo 2022 ha superato i 50.000 dollari. Quello è stato il picco, visto che nei mesi successivi la price action ha segnato un calo sui 20.000 dollari, prima di una successiva nuova ripresa nel range tra 20000 e i 32000 dollari per tonnellata.

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Economia, la corsa del petrolio è una miccia per aggravare la crisi globale

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  • 23 Aprile 2023

Negli ultimi mesi le banche centrali di tutto il mondo hanno spinto sull’acceleratore dei tassi di interesse per riuscire a domare l’inflazione, spendo bene che questo avrebbe depresso l’economia. Ma sono andate avanti, anche a rischio di innescare una recessione.
Adesso che all’orizzonte si prospettano delle manovre più accomodanti e un ritorno dell’inflazione e dei tassi di interesse verso valori più normali, ecco però che il petrolio aleggia come una minaccia che rischia di vanificare tutti gli sforzi.

L’OPEC+, il petrolio e l’economia

economia e petrolioLa vera miccia che rischia di innescare una crisi economica globale, ancora più feroce di quella attuale, è la recente mossa dell’OPEC+. Il cartello dei produttori ha infatti deciso di tagliare la produzione di greggio di un milione di barili in un giorno.

Una mossa del genere ha immediatamente innescato una dinamica rialzista delle quotazioni del barile di greggio, che ha superato di slancio quota 80 dollari al barile, superando la media mobile del prezzo degli ultimi 10 mesi. Alcuni analisti hanno rispolverato le previsioni di $100 al fusto prima della fine di quest’anno.

Il problema è che la pressione rialzo dei prezzi del petrolio innescherà aumenti a cascata su tutti i settori dell’economia, rendendo così ancora più complicati gli sforzi delle banche centrali per raffreddare l’inflazione. In primo luogo la FED, che per prima ha cominciato ad alzare i tassi in modo vigoroso.

Equilibri geopolitici

La mossa dell’OPEC+ e la crisi dell’economia solo però un riflesso soprattutto di questioni di carattere geopolitico. Il taglio alla produzione è voluto principalmente dall’Arabia Saudita, uno dei due grandi stati del petrolio assieme alla Russia. Chi andrà più in difficoltà per via di questa mossa sarà la Federal Reserve americana.

Da una parte ci sono Riyad e Mosca, con una partnership sempre più forte, dall’altra c’è Washington con cui è in atto una rottura. Le conseguenze di questa crisi nei rapporti potrebbero essere però fatali per inflazione e sostenibilità dell’economia, come evidenziano gli analisti di XTB. Potrebbe quindi stagliarsi all’orizzonte una crisi peggiore di quella già in arrivo.

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Investimenti, alle donne italiane piace farlo (soprattutto via mobile)

È sempre più grande il numero di donne che si affaccia sui mercati finanziari, anche grazie alla crescita (in termini di popolarità) durante il periodo della pandemia, quando le persone erano costrette a stare a casa per giorni senza mai uscire o socializzare. E’ ciò che emerge da una recente indagine, che evidenzia anche come il gentil sesso preferisca fare investimenti soprattutto tramite mobile.

Le donne e gli investimenti

investimentiNel 2020 e 2021 il contesto è stato caratterizzato da tassi di interesse molto bassi, un aumento della digitalizzazione all’interno delle famiglie e misure restrittive legate alla crisi sanitaria.
Proprio la costrizione di stare a casa ha spinto le persone a familiarizzare con il mondo degli investimenti e dei mercati finanziari. Una spinta alimentata anche dal fatto che la crescita dell’inflazione e le incertezze economiche globali, hanno spinto gran parte delle persone a cercare metodi per proteggere il proprio capitale e i propri risparmi.

Un 2022 da record

Quello che è cambiato rispetto al recente passato è l’atteggiamento delle donne nel contesto moderno. Sono professionalmente attive, molto creative e agiscono anche in settori che prima erano considerati appannaggio dei soli uomini.

Questo scenario ha propiziato numeri da record per quanto riguarda le quote di donne che si sono affacciate al mondo degli investimenti. La piattaforma XTB ha registrato in particolare un numero di clienti nuovi di sesso femminile pari a 16%. Fino a un paio d’anni fa non riuscivano ad arrivare neanche in doppia cifra.
Nonostante le donne rimangano in fortissima minoranza, va detto che sono sempre più attive in questo settore. Un segnale positivo per il mondo degli investimenti.

Altri dati interessanti

È interessante notare come la quota di donne partecipanti ai mercati finanziari vede in testa la Romania (26%), seguita dalla Gran Bretagna (14%). Le percentuali più basse si trovano in Repubblica Ceca, Francia e Germania, unici mercati in cui attualmente sono inferiori al 10%.
Negli anni 2020-2022, le donne hanno scelto più spesso i CFD sugli indici azionari mondiali, scegliendo soprattutto gli investimenti nelle Big Tech. Inoltre sono poco agressive, perché preferiscono una strategia trend following ad una controtendenza. Va segnalato che le donne italiane, insieme a quelle spagnole, si distinguono per la loro preferenza verso l’uso degli smartphone, per la loro praticità e facilità d’uso (con il 53% di transazioni via mobile).

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