Ci sono Mario Draghi e la BCE al centro dell’interesse dei mercati finanziari. L’Eurozona sta vivendo una fase molto delicata, non soltanto perché a breve ci sarà l’appuntamento elettorale in Germania, ma anche perché si deve decidere se e fino a quando continuare il Quantitative Easing. Il programma di acquisto titoli voluto un paio di anni fa per sostenere la crescita sembra essere giunto al capolinea. Tuttavia i vertici della BCE sono rimasti spiazzati dal crollo del dollaro e dal conseguente apprezzamento dell’euro. Tutto questo infatti complica terribilmente i piani.
L’euro ostacola i piani della BCE
La valuta unica da diversi mesi sta avanzando costantemente e gradualmente contro il biglietto verde. Ha spazzato via tutte le resistenze tecniche importanti (qui si può approfondire il tema come calcolare supporti e resistenze), comprese quelle dall’alto valore psicologico: prima 1,10, poi 1,15 e adesso sta testando 1,20. Morale della favola? L’euro troppo forte blocca la crescita dell’inflazione che resta ben lontana dal target del 2%. Con questa premessa, parlare di tapering sembra molto complicato.
Per questo motivo i mercati finanziari guardano con grande interesse soprattutto a quello che sta succedendo in Europa. Nessuno sa cosa passa per la testa dei banchieri europei. Decideranno di spostare ancora più in là nel tempo il processo di normalizzazione? Chissà. Forse potrebbero fare il contrario e annunciarlo per fine anno/inizio 2018. Il rischio nel primo caso è trovarsi ancora più spiazzati da una valuta che sale le scalette del Renko senza sosta. Il pericolo nel secondo caso è dare ancora maggiore spinta ad un euro già forte di suo, finendo per vanificare tutti gli sforzi fatti in questi due anni.
Potrebbe andare a finire come dicevano i latini: “in medio stat virtus“. In questo caso significherebbe rivedere l’idea di tapering spinto, abbandonandola a favore di un processo a fasi intermedie nella diminuzione, comunque graduale, degli acquisti di bond.
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