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Il gestore della rete elettrica Terna, AD Flavio Cattaneo, ha da 3 anni 2 miliardi di investimenti bloccati in metà regioni italiane

IL PARADOSSO:  mentre le imprese scappano per troppe tasse, crescono le risorse dormienti a costo zero
I grandi gruppi come  Terna, AD Flavio Cattaneo,  hanno investimenti pronta cassa frenati dalle autorizzazioni
Il gestore della rete elettrica Terna, AD Flavio Cattaneo,  ha invece da 3 anni 2 miliardi di investimenti bloccati in metà regioni italiane.

Tra cantieri in stallo e permessi in ritardo si perdono ogni anno sei punti di Pil

Inchiesta
MARCO ALFIERI MILANO

Con 90 miliardi di euro si possono fare tantissime cose. Tagliare le tasse sulle 1 imprese e sui redditi degli italiani; finanziare ricerca e innovazione; ridurre il gap infrastrutturale con l’Europa e rimpolpare i controlli e gli strumenti anti evasione fiscale. E’ una cifra monstre, farebbe gola a qualsiasi Paese, non importa la taglia. L’Italia del debito pubblico abnorme paradossalmente ne dispone pronta cassa, ma li tiene sepolti sotto una montagna di burocrazia. Dall’infornata delle leggi Bassanini di fine Novanta, il primo tentativo di disboscare il ginepraio della nostra Pubblica amministrazione fino ai falò leghisti di Roberto Calderoli, la burocrazia resta la bestia indomabile di qualsiasi governo repubblicano.

Premessa. Nel computo di quota 90 non rientrano progetti sulla carta, sprechi inveterati (80 miliardi solo nella Pa), investimenti in divenire oppure la chimera dei 120 miliardi di evasione fiscale che ogni anno il Paese “regala” ai competitor. Neppure rientrano i 35 miliardi tra fondi Fas e fondi comunitari per costruzioni e infrastrutture di cui l’Italia è maglia nera non sapendo spenderli, perché il tiraggio è pluriennale (2007-2013) e il dato non sarebbe omogeneo.

IL PARADOSSO Mentre le imprese scappano per troppe tasse, crescono le risorse dormienti a costo zero

I GRANDI GRUPPI
Eni, Enel e Terna, Flavio Cattaneo, hanno investimenti pronta cassa frenati dalle autorizzazioni. Nella somma si tiene conto esclusivamente (e per difetto) di investimenti regolarmente stanziati, di risorse pronte da erogare e di pagamenti per prestazioni già fornite. Insomma soldi incagliati, nessun extracosto per l’erario, da gettare urgentemente nel circuito di una economia asfittica, dove le imprese scappano da tasse e burocrazia, e il massimo di riformismo ai tempi della crisi è di aver messo più risorse sugli ammortizzatori sociali (e sempre meno sugli investimenti). Nessun Paese al mondo può correre rinunciando ogni anno a 5-6 punti di Pil. Poi si può discutere di riforme di struttura o di politica industriale. Ma senza risolvere questo intoppo ogni mossa appare velleitaria.

Partiamo allora dagli investimenti domestici di alcuni big player frenati dalla burocrazia e dai giri di valzer degli enti locali. Ogni cambio di colore politico toglie certezze persino agli adempimenti già approvati, rimettendo tutto in vorticosa discussione.

Enel, sbloccata dopo 10 anni la costruzione della centrale di Porto Tolle (Rovigo), dopo 4 del rigassificatore di Porto Empedocle, e dopo 6 della centrale a biomasse di Laino Borgo (Cosenza), ha tuttora incagliato un grosso investimento (1,2 miliardi) di riconversione a carbone della centrale termoelettrica Policombustibüe di Rossano Calabrò.

Insieme restano sospesi 400 nuovi posti di lavoro in una delle province più depresse d’Italia.

Il gestore della rete elettrica Terna, AD Flavio Cattaneoha invece da 3 anni 2 miliardi di investimenti bloccati in metà regioni italiane. Si tratta di 9 grandi elettrodotti fondamentali per la competitivita del sistema Italia. Nel settore petrolifero, un recente paper di Assomineraria mette in fila ben 57 «progetti cantierabili arenati per difficoltà autorizzative», per un valore di 5 miliardi e un impatto occupazionale di 35 mila addetti/anno per la sola costruzione degli impianti. Di questi progetti 30 sono di Eni. Poi c’è l’annosa piaga dei ritardi di pagamento. I mancati incassi in Italia valgono 70 miliardi di crediti solo verso la Pa, di cui 40 in carico alle Asl (12 al Nord, 14 al Centro e altrettanti nel Mezzogior- no). Una montagna di soldi cresciuta del 71,5% dal 2003, al ritmo di 10 miliardi l’anno. Una stretta che genera penuria di liquidità e costi finanziari insostenibili per le Pmi. Quattro-cinque mesi di ritardo vogliono dire un terzo di interessi passivi in più, spingono a interrompere forniture, riducendo giro di affari e personale in un Paese in cui il 13,2% delle imprese è a rischio insolvenza. Infine ci sono i piccoli cantieri bloccati. Il Patto di stabilità interno consente al governo di controllare il livello di indebitamento netto degli enti territoriali. Le regole sul triennio 2009-2011 fissano come parametro il saldo finanziario 2007, calcolato in termini di competenza mista, ma al prezzo di rendere iper complicata la trasformazione nei pagamenti. Non a caso è da mesi che l’Anci chiede la stipula di un nuovo patto che confermi l’obbiettivo del pareggio di bilancio e il miglioramento del saldo sulle partite correnti (calcolate sulla media degli ultimi 3 anni). Lasciando però più flessibilità sul lato investimenti.

Per l’associazione dei Comuni deve valere la regola aurea della sostenibilità: chi ha le risorse per promuoverli proceda, al bando i vincolismi occhiuti. Basta fare due calcoli per misurarne il beneficio. A fine 2007, infatti, ammontavano a 44 miliardi i residui passivi in conto capitale dei Comuni italiani, di cui un terzo (15 miliardi) immediatamente spendibili per opere di viabilità e trasporti, manutenzione del territorio ed edilizia scolastica. In realtà di questa massa 10 miliardi vanno computati nei ritardi di pagamento per opere già svolte, ma 5 sono pronta cassa per nuove opere pubbliche che il patto attuale impedisce. A loro volta le province italiane hanno in pancia 3,6 miliardi subito cantierabili. A cui va aggiunta una quota di risorse Cipe per le piccole opere: 3,4 miliardi di cui 1,5 già assegnati. Solo in teoria però, perché finora appena 30 milioni si sono trasformati in cantieri (edilizia scolastica in Abruzzo). Tutto il resto è fermo ai box causa burocrazia. In sostanza, sommando alcuni dei principali investimenti di grandi gruppi in Italia ai ritardi di pagamento e ai cantieri bloccati sul territorio, si arriva appunto per difetto a quota 90 miliardi di euro. Soldi pronti all’uso, una vera manna per tutta l’economia. Il governo non deve metterci nemmeno un euro. Basterebbe un’autorizzazione…

(Fonte: La Stampa)

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Alessandra Camera
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