Si classifica al 4° posto nella sezione Poesia Edita la Silloge E mo’ currite di Mario Eboli
La lingua napoletana è una lingua di popolo che è stata sulla bocca di re, nobili e signori. Queste poesie sono per prima cosa un atto d’amore verso questa lingua, amata soprattutto
perché è la lingua di una vita. Le strade, le persone, la famiglia, gli amici, i maestri non si potrebbero raccontare se non con questo registro. Queste sono poesie familiari, non solo per gli argomenti ma per il tono e per i luoghi impliciti della fruizione, per la capacità di usare l’ironia per esprimere l’affetto. Però, quando si tratta di una vita che non è vissuta esclusivamente dentro le pareti domestiche, la poesia familiare diventa necessariamente anche poesia civile. Gli amici di una vita sono anche quelli con i quali sono stati condivisi la prigionia, il lager, il ritorno, la scoperta degli inganni del fascismo. Grazie a questa memoria, di essere stati ingannati e di essersi per un certo tempo lasciati ingannare, i versi ci mettono in guardia su nuovi seduttori di folle e nuove illusioni. Però: niente prediche. Scrivere poesie è sempre un atto ambizioso, ma qui l’ambizione è temperata dal napoletano senso
delle proporzioni e dell’autoironia. Alla fine, come sempre in poesia, la cosa principale restano le parole, il gusto di farsele rotolare sulla lingua e di giocarci. Ma se queste poesie sono un gioco, lo sono come è un gioco una partita a tressette: un gioco serio, che tiene dentro dei saperi, delle regole, dei codici, dei rapporti. Una partita a tressette, giocando, fa vivere un mondo. Giocando seriamente, fanno lo stesso anche queste poesie.
Mario Eboli è nato a Sapri (SA) il 23 febbraio del 1917. Perso in tenera età il padre, ha studiato a Salerno e a Bari. Dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza e svolto il servizio militare, ha partecipato ad alcune operazioni di guerra in Francia. L’8 settembre 1943 è stato catturato a Bologna dalle forze occupanti naziste e deportato in Polonia come ufficiale non collaborazionista. È tornato in Italia l’8 settembre 1945, e nel 1946 ha sposato la sua fidanzata di sempre, dalla quale ha avuto due figlie. A Roma, dove la coppia si è trasferita, ha iniziato una brillante carriera nella pubblica amministrazione, che è culminata con l’inserimento nella magistratura amministrativa. È
morto, sempre a Roma, il 15 dicembre del 2007.
Gruppo Albatros Il Filo
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Valeria Bergamaschi
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