Il mistero della Stanza di Eliodoro presentato al Festival del libro di Civitavecchia
Potreste mai pensare che a Civitavecchia un’opera di Raffaello possa affiorare nella camera da letto di uno strabiliato carabiniere? Eppure proprio questo è successo.
La Stanza di Eliodoro, dipinta da Raffaello in Vaticano dal 1511 al 1514, o meglio una sua replica fedele, è rimasta per cinque secoli sepolta sotto strati di antiche tinteggiature nella parte più antica di Civitavecchia, allora piazzaforte marittima dello Stato Pontificio. Sarebbe rimasta ancora nascosta se un giorno l’appuntato dell’Arma Tarcisio De Paolis non fosse andato a ripulire le pareti di quella camera nell’appartamento appena acquistato, portando alla luce quella che sembrava la punta di una spada.
Dei dipinti raffaelleschi di Civitavecchia Alvaro Ranzoni, con l’aiuto di una serie di diapositive, parlerà domenica 7 ottobre alle ore 20, nel Mastio del Forte Michelangelo, a conclusione dell’edizione 2012 del Festival “Un Mare di Lettere” organizzato dalla Prospettiva Editrice di Andrea Giannasi.
Ranzoni racconterà la storia delle opere e con alcune diapositive farà gli incredibili confronti tra i dipinti di Civitavecchia e gli originali in Vaticano.
Il racconto diventa favola, come nel caso del contadino che trova nel campo una pignatta di monete d’oro o del pescatore subacqueo che recupera i bronzi di Riace. De Paolis segue con la spatola quella punta di spada, arriva alla mano che la impugna, poi al braccio e quindi alle figure di due “angeli” in volo. Non gli ci vuole molto per scoprire che tutte e quattro le pareti della camera contengono scene dipinte a colori intensi. Gruppi di personaggi a grandezza naturale, guerrieri a piedi e a cavallo, prelati e un ritratto di quello che, a giudicare dalla tiara, deve essere un papa. Basta poco per capire che si tratta di una replica prodigiosamente esatta di una delle quattro Stanze che Raffaello dipinse in Vaticano su commissione di papa Giulio II Della Rovere. I due “angeli” in volo sono in realtà i santi Pietro e Paolo che, insieme a un corteo di cardinali guidato dal papa, accorrono a salvare Roma dall’aggressore, Attila re degli Unni. Nella parete a fianco, un gruppo di oranti segue la Messa di Bolsena e assiste al celebre miracolo. Tutto come nell’originale in Vaticano.
E se fosse solo una copia recente, magari ottocentesca? No, affermano alcuni esperti: si tratta di una replica “contemporanea all’originale”. Secondo Nicole Dacos, grande studiosa di Raffaello, la Stanza di Civitavecchia rivela la mano di Ugo da Carpi, celebre incisore, che lavorò nella celebre bottega di Raffaello, di cui riprodusse in litografia molti capolavori. “Non esistono copie antiche delle Stanze, per cui questo ritrovamento è di straordinaria importanza” afferma Nicole Dacos.
Resta da capire perché sia stata fatta questa replica (a tempera e non in affresco, come l’originale), chi la ordinò e a quale scopo. E qui viene il difficile, perché agli inizi del ‘500 quel luogo non era né un convento, né una chiesa e neppure una residenza gentilizia, che giustificherebbero una tale impresa. Secondo alcune ricostruzioni grafiche dell’antica cittadella, lì si trovava una vecchia torre, forse adibita a deposito di granaglie. Solo nel 1750 la torre fu inglobata nell’attuale edificio e l’antico ambiente fu integrato nel nuovo palazzo mediante l’apertura di due porte e una finestra: in questi spazi la pittura risulta, appunto, perduta.
“In mancanza, finora, di tracce documentali che si stanno attivamente cercando, una prima risposta può venire dal contesto storico-geografico” osserva il giornalista Alvaro Ranzoni, civitavecchiese, già redattore della Bbc e inviato speciale di Panorama, che segue dall’inizio le vicende di questa scoperta. “A 200 metri verso ovest da piazza Leandra, luogo dei dipinti, c’era l’antica Rocca, residenza dei papi durante i loro soggiorni a Civitavecchia. A 100 metri verso est, c’è il Forte Michelangelo, la cui prima pietra fu posta nel 1508 da Giulio II, il committente delle Stanze. Ogni anno il papa tornava per riposare e per seguire i lavori della fortezza che il Bramante, parente di Raffaello, gli stava costruendo” spiega Ranzoni. E aggiunge: ”Mi pare difficile non collegare la presenza ricorrente di Giulio II a Civitavecchia (nel 1510 per esempio sono documentati ben tre soggiorni) a questo duplicato della Stanza di Eliodoro. E’ proprio la Stanza che Raffaello stava finendo di affrescare in Vaticano quando il pontefice morì, nel febbraio del 1513”. E poi, questa è davvero una strana copia. Osserva Ranzoni: “Se è evidente l’assoluta identità con l’originale, colpiscono alcune inspiegabili differenze”, aggiunge. Per esempio, a Civitavecchia la scena di Attila si trova nel posto occupato in Vaticano da quella di Eliodoro cacciato dal Tempio e viceversa. “Chi, nel fare una copia di un’opera così importante, si azzarderebbe a scambiare di posto le due scene maggiori?” si chiede Ranzoni. Inoltre: i colori delle vesti di alcuni personaggi sono diversi dall’originale in Vaticano, mentre nel resto delle figure sono identici. Perché?
C’è un solo modo per saperlo: attendere i risultati della campagna di rilievi e restauro in corso da alcuni mesi da parte del Laboratorio Materiali dell’Università La Tuscia di Viterbo sotto la direzione del prof. Ulderico Santamaria. I risultati finora hanno confermato una sostanziale compatibilità con i materiali usati al tempo dell’originale in Vaticano.
Un mare di lettere 5/6/7 ottobre 2012
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