di Benedetta Andreoli
Parlare di “Responsabilità” o di “Irresponsabilità” sociale d’impresa rinvia al tema delle
scelte, in presenza di conflitti tra valori, di dilemmi circa la scelta dei valori da applicare in
specifici contesti, dove urge optare tra valori confliggenti o addirittura escludenti. Rinvia
dunque a scelte etiche, che si pongono come contemperamento di valori.
Utile per comprendere le dimensioni di un’azienda etica è riprendere la distinzione
hegeliana tra le tre sfere della normatività: moralità, diritto ed eticità.
– La moralità riguarda i valori personali dettati dalla coscienza individuale: nel caso
dell’azienda, ciò che l’imprenditore, i manager e tutti quanti operano in azienda, reputano
giusto o sbagliato.
– Il diritto rinvia alle norme dettate dallo Stato, regole dirette a diminuire le tensioni, che lo
stesso sanziona con i tribunali e con la forza esecutiva. Si pensi, a titolo di esempio, ai
doveri di natura strettamente giuridica cui un’impresa è tenuta. Tra tutti, i reati di
bancarotta, di falso nelle comunicazioni sociali, gli illeciti commessi dagli amministratori.
– L’eticità riguarda quei diritti/doveri che sono condivisi in una relazione duratura e
relativamente stabile tra più soggetti.
Con riferimento specifico al contesto aziendale, non si può così parlare di “etica” in
presenza di comportamenti prescritti dal diritto, né di comportamenti riconducibili alla
“coscienza” dell’imprenditore o del vertice. L’etica riguarda invece quelle scelte e quei
comportamenti che sono l’esito di un incontro tra l’azienda e i suoi “stakeholder”, termine
riferito a quanti hanno interessi specifici nei confronti dei comportamenti aziendali,
proprio in quanto ne possono essere influenzati. Qualifica così in modo diretto la “mission”
della organizzazione, riferendola a una forma di “governance” fondata su un profondo
rispetto di tutti gli “stakeholder”, in base a un modello di valori condivisi. Questo implica
che si vada oltre la mera prospettiva degli interessi degli azionisti – che limita la
responsabilità aziendale all’obbligo morale del miglioramento del profitto degli investitori
– abbracciando la visione della stakeholder theory, aperta a un ampio rispetto dei diritti di
tutti i portatori di interessi.
Perché si possa parlare dunque di impresa “etica” occorre che la stessa:
1. definisca i propri valori chiave;
2. prenda in considerazione gli effetti del suo agire sugli stakeholder;
3. presti attenzione a beni intangibili quali la reputazione, il dialogo o la trasparenza;
4. ottimizzi le esternalità positive come l’occupazione e lo sviluppo socio-economico;
5. faccia il possibile per ridurre le esternalità negative come l’inquinamento e in generale
gli squilibri sociali e ambientali.
Sono questi i temi che costituiscono il cuore dei cosiddetti “Comportamenti Socialmente
Responsabili”, si parla pertanto di Corporate Social Responsibility (CSR).
Sul rapporto tra performance sociale e performance economica, da anni gli studiosi si sono
confrontati senza giungere a conclusioni univoche. Le posizioni dominanti sono le due
seguenti:
A) Non sussiste conflitto tra ruolo economico e ruolo sociale dell’impresa. Già Drucker
aveva rilevato il legame esistente tra “responsabilità sociale” e “performance economica”,
sostenendo che la responsabilità sociale di un’impresa consiste nel trasformare un
interesse pubblico in un’opportunità di guadagno per l’azienda, in modo tale che interesse
pubblico e interesse aziendale vengano a coincidere.
B) La contrapposizione tra finalità economiche e finalità sociali esiste semmai nel breve
termine, in quanto nel lungo periodo è l’integrazione tra equilibrio economico ed equilibrio
sociale a garantire la sopravvivenza e lo sviluppo aziendale. Se in specifici momenti
decisionali la ricerca di opportunità economiche può essere in contrasto con considerazioni
di natura sociale, in una prospettiva di lungo periodo i comportamenti socialmente
responsabili risultano “complementari” rispetto all’obiettivo del profitto, contribuendo ad
innalzare la redditività dell’impresa. Tale relazione di complementarietà può spiegarsi nei
termini seguenti.
1. L’assunzione e l’adempimento di obblighi sociali contribuisce in misura significativa alla
reputazione e alla creazione di un’immagine positiva dell’impresa nelle percezioni degli
stakeholder (interni ed esterni); ciò ha le due seguenti implicazioni:
– favorisce la formazione del “consenso sociale”, che è alla base della “legittimazione
sociale” dell’impresa, indispensabile per continuare ad operare proficuamente
nell’ambiente in cui essa è inserita e dal quale trae le risorse necessarie per l’attuazione
delle proprie strategie di sviluppo.
– consolida la fiducia che gli stakeholder possiedono nei confronti dell’impresa,
contribuendo così a facilitare gli scambi e a ridurre i “costi transazionali”, impliciti in ogni
relazione. Viene in proposito elaborato il concetto di “catena dell’affidabilità”, che si
sviluppa a partire dai comportamenti socialmente responsabili, guidati da principi
realmente etici, che consentirebbero all’impresa di guadagnare la fiducia e quindi la
fidelizzazione dei propri stakeholders.
La reputazione, l’immagine aziendale, la cultura organizzativa, la fiducia, ecc. sono tutte
risorse intangibili che, in quanto difficilmente imitabili da parte delle imprese concorrenti,
possono costituire una fonte rilevante del vantaggio competitivo aziendale, fondato sulla
“differenziazione” rispetto ai concorrenti.
2. L’implementazione di programmi volti a migliorare il benessere del personale determina
una serie di benefici, quali: l’aumento della produttività del lavoro, la riduzione del tasso di
assenteismo, la maggiore capacità di attrarre e di mantenere i “talenti” migliori, ecc. In
proposito, emblematico risulta il caso della Luxottica – azienda italiana leader nella
produzione e vendita di occhiali – la quale nel 2009, in accordo con le organizzazioni
sindacali, ha attivato un programma finalizzato a supportare il potere di acquisto reale dei
dipendenti, fornendo una serie di benefit non monetari, complementari alla retribuzione
monetaria. La motivazione alla base di tale iniziativa è stata proprio la considerazione che
una migliore qualità della vita dei dipendenti costituisce una premessa indispensabile per
una maggiore produttività ed efficacia del lavoro.
3. L’impegno sociale e ambientale può stimolare l’identificazione di nuove opportunità di
business, le quali possono essere fonti di innovazione di prodotto e di processo. Si pensi, ad
esempio, ai nuovi prodotti che incorporano tecnologie per ridurre l’impatto ambientale
derivante dal loro uso nel settore degli elettrodomestici bianchi o delle automobili. Inoltre,
le iniziative volte a migliorare l’ambiente di lavoro all’interno dell’organizzazione aziendale
possono contribuire a creare un ambiente, che stimoli la creatività e la generazione di
nuove idee da parte del personale. Le azioni socialmente responsabili possono contribuire
alla capacità innovativa dell’impresa anche sotto un altro punto di vista: nel contesto
attuale, l’innovazione è sempre più il frutto della collaborazione tra la singola azienda e i
soggetti esterni; se la prima ha sviluppato una “buona” rete di relazioni con gli
stakeholders, avrà maggiori possibilità di realizzare innovazioni di successo, grazie alla
loro disponibilità a collaborare.
Tra performance economica e performance sociale esiste un rapporto di trade-off, poiché
tenere comportamenti socialmente responsabili comporta il sostenimento di costi, che
possono impattare sui prezzi e quindi sulla competitività aziendale o comunque ridurre il
margine di profitto.
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