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La pianta dell’Ospedale Maggiore di Milano

Il progetto originale dell’antico ospedale milanese, che per le sue dimensioni acquisirà il nome di
Ca’ Granda, è di Antonio Averlino detto il Filarete, architetto fiorentino chiamato a Milano da
Francesco Sforza per creare un ospedale per i poveri, segno della grandezza e della riconquistata
pace del ducato.
Il Filarete compose a Milano il suo Trattato di architettura in cui delineò anche il progetto di
massima per l’ospedale, a pianta rettangolare, suddivisa in tre parti: le due laterali, quadrate, erano
destinate all’attività sanitaria ed erano collegate dalla parte centrale, rettangolare, al cui centro era
progettata la costruzione della chiesa.
L’architetto toscano lasciò i lavori nel 1465 dopo aver impostato il grande quadrilatero con i portici
su via dell’Ospedale (l’odierna via Festa del perdono) e sul lato verso la basilica di S. Nazaro,
adattandosi all’impiego della terracotta, il tipico materiale lombardo. Lasciava l’impianto dell’edificio
e le soluzioni di funzionamento e di igiene dell’Ospedale che saranno rispettate nel corso dei
quattro secoli seguenti di sviluppo della costruzione.
Gli successe Guiniforte Solari che soprintendeva già alle più importanti costruzioni che si stavano
realizzando a Milano e a Pavia: pur mantenendo l’impianto filaretiano, il Solari introdusse l’arco
ogivale gotico ed impostò il grandioso attico che conclude l’edificio.
Il fratello Francesco, scultore, intervenne nelle finestre a bifora, racchiuse in un ampio arco ogivale
inscritto in una cornice rettangolare con piccoli clipei: una soluzione che unisce elementi della
cultura decorativa lombarda all’impostazione classica proposta dal Filarete.
È stato ipotizzato l’intervento del plasticatore Rainaldo De Stauri, attivo alla Certosa di Pavia, per
le fasce decorative in cotto.
A Francesco Solari successe Pietro Antonio, figlio di Guiniforte e, dal 1495, Francesco Solari che,
nel 1493 aveva già scolpito in pietra d’Angera due figure, S. Ambrogio e Giuseppe l’ebreo, per il
nuovo porticato. Gli è attribuita l’ideazione del portico del grande cortile centrale: è riconoscibile la
sua mano sul lato destro del cortile d’onore, dal piano d’imposta degli archi fino al primo fregio
dove le sculture in pietra d’Angera sono caratterizzate da un raffinato modellato e dalla presenza di
lacerti di bolo per la doratura e da inserti in piombo, ora perduti, nelle cornici dei clipei.
Nel 1624 Giovanni Pietro Carcano lasciò il reddito di metà delle sue sostanze e 500 scudi, che gli
eredi dovevano versare annualmente, per l’ampliamento della fabbrica dell’ospedale.
Il lavoro di progettazione che, in accordo con le volontà testamentarie doveva riprendere il modello
antico, fu svolto dall’ingegnere dell’Ospedale Giovanni Battista Pessina, affiancato dagli architetti
Francesco Maria Richini, Fabio Mangone e dal pittore Giovanni Battista Crespi detto il Cerano.
L’architetto Richini trasformò la corte rettangolare prevista dal Filarete in un grandioso spazio
tendente al quadrato, circondato da un porticato che dall’ingresso porta alle due crociere ed alla
chiesa, eretta sul quarto lato. Il lato dell’Amadeo non venne demolito, se non parzialmente e servì
da modulo per tracciare il nuovo impianto: le colonne del piano terra, in granito rosa, fortemente
rastremate, reggono capitelli in pietra di Viggiù su cui sono impostati archi con ghiere decorate a
ovuli e fusaiole e sottarchi con rosoni. Nei clipei sono inserite figure che, pur riprendendo lo
schema rinascimentale, se ne differenziano per il modellato ad alto rilievo portato fino al tutto
tondo. Il fregio, più semplice, ha un maggior effetto plastico.

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