Comunicati

Michele Mirabella One Man Show

Viterbo. Si è aperta il 10 maggio con Michele Mirabella la XIII edizione del “Salotto delle 6”,
la kermesse letteraria ideata e condotta dal giornalista Pasquale Bottone.

Caldo insolito, qualche minuto d’attesa: dopo l’introduzione di Bottone, Mirabella entra in scena e trasforma la gremitissima Sala Conferenze della Biblioteca di Viterbo in un palcoscenico, il suo palcoscenico. Bisticcia col microfono, scherza coi presenti in sala, non riesce a rimanere seduto. Improvvisa, è un fiume in piena, fa saltare persino la scaletta al conduttore: il “professore” della televisione italiana, autore, critico, ma soprattutto attore e comunicatore, inizia la sua insolita lezione e in veste di aedo narra del suo ultimo libro “Cantami, o Mouse. L’Italia spiegata dagli antichi”, edito da Mondadori. Strabiliante e ipnotica la sua capacità di far dimenticare al pubblico il suo lieve saggio e la scrittura, donando al racconto e all’oralità il ruolo di indiscutibili protagonisti.

Domi habuit unde disceret, scrive Terenzio negli “Adelphoe”.
“A casa egli ebbe dove imparare”: la famiglia, l’ombelico, il centro, gli amici, il sangue sono il passato, l’origine, la nostra memoria. In una parola: l’appartenenza, sacra in quel genitivo locativo “domi”, che ne racchiude potentemente l’essenza.
Mirabella non nasconde la sua di appartenenza: una famiglia coltissima, padrona delle lingue classiche, che sin da bambino gli ha fatto assaporare il piacere del simposio con gli antichi, i cui racconti consistono nell’umana storia.
Da dove veniamo e con chi ci confrontiamo? Con Alessandro Magno, tanto per iniziare, che con la spada del logos possedette l’Asia tagliando il nodo di Gordio, e il pensiero non può che correre ai nostri comunicatori politici.
Alla domanda di Bottone “Cosa farebbero gli antichi di fronte all’attuale quadro italiano?”, Mirabella risponde che si disinteresserebbero, perché sì, Catilina era la corruzione del sistema, la cosiddetta antipolitica, ma che si trovò davanti il grande Cicerone, non uno degli attuali interlocutori.
Demostene era un avvocato per passione, che andava ad esercitarsi di fronte al mare agitato per riuscire a controllare la voce, un aristocratico forse odierno riformatore di sinistra, ma corretto politicamente.
E ancora Dante e le sue memorabili invettive.
A noi cittadini del ventunesimo secolo non rimangono che le diatribe tra Hollande e Sarkozy, constata Mirabella, drammatico dibattito elettorale da provinciali. Gli antichi si meraviglierebbero.

“Esisteva allora il voto di scambio?” gli chiede il conduttore. Certo, chi meglio di Paride, uno dei numerosissimi figli di Priamo, lo può significare? Una vera e propria campagna elettorale quella di Era, Atene e Afrodite, ma il pomo lanciato da Eris, dea della discordia non invitata al banchetto, venne donato ad Afrodite, che aveva promesso al giovane principe di Troia l’amore della donna più bella della terra, Elena.
Mirabella poi esce dalla dimensione meramente descrittiva del mito tralasciando l’aspetto più civettuolo di Paride, giovane “sciupafemmine”, per tornare a vestire i panni dell’aedo, ed ecco che Priamo assurge a figura patriarcale florida tanto quanto la figura della moglie Ecuba. Entrambi fino ad Eschilo hanno rappresentato nella narrazione orale la fecondità e la prolificità, genitori di tanti figli, in un meccanismo meraviglioso per cui ogni cantore con le sue storie mitiche feconda Ecuba, da lei fa nascere nuova prole. Ecuba diviene terreno fertile che genera racconti, perché come dice Mirabella, “la vicenda diviene simbolo della trama”.

Un accenno musicale a “L’aurora di bianco vestita” di Leoncavallo ed ecco apparire Aurora, la dea figlia del Titano Iperione, che si innamora del mortale Titone, per il quale chiede l’immortalità, ma non l’eterna giovinezza e l’eterna salute. Errore gravissimo. Titone allora verrà trasformato nella cicala che canta all’alba, e gli innamorati si ricongiungeranno nell’eternità del racconto, in cui l’inconscio collettivo genera il sapere collettivo.
Una breve incursione nella contemporaneità – Mirabella predilige la dimenticanza ai segugi di Facebook – e poi ancora un tuffo nel passato, con Shakespeare e la sua Giulietta, possibile testimonial di telefonia mobile.
Se Giulietta avesse avuto il cellulare, avrebbe sicuramente mandato un sms a Romeo per avvertirlo della messinscena in tempo reale, gli innamorati si sarebbero salvati e avrebbero vissuto felici e contenti. Poi pone al pubblico in sala una domanda: avreste mai rinunciato ad una tragedia così bella per un sms?
Bottone lo riporta al presente: “Potremmo definire Giulio Cesare un presidenzialista?”
Dipende da chi lo racconta, appunta Mirabella.
Ma non possiamo raccontarlo.
Perché, come dice Sallustio, “queste cose non sono mai avvenute, ma sempre sono”.
Pochi accenni all’attualità, Mirabella si esime. Meglio parlare degli antichi.

Il Salotto delle 6 – Ufficio Stampa
Valentina Petrucci
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