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Pier Luigi Nanni pubblica il suo primo romanzo.

Pier Luigi Nanni, “…è solo musica, ma senza amore ed amicizia è nulla…”, Bologna, Società Editrice Esculapio, 2015, 136 pagine, 9,00 euro.

 

Come Paul Cézanne nelle arti figurative, Pier Luigi Nanni entra nel mondo delle lettere in età matura, pubblicando questo suo primo libro di narrativa quando ha già doppiato per tre volte la boa degli “anta”. La somiglianza è però solo apparente, dal momento che Nanni ha tenuto il manoscritto in un cassetto per molto tempo prima di decidere di darlo alle stampe. Si può parlare quindi di creatività giovanile recuperata, e divulgata, quando ormai la gioventù è soltanto – ahinoi – oggetto di ricordi.

Studi professionali e laurea in Scienze Agrarie, Pier Luigi Nanni ha girovagato per mezza Europa nel settore della ristorazione; successivamente si è dedicato all’insegnamento presso vari istituti professionali alberghieri. Oggi vive a Bologna, la sua città, dove – da giornalista enogastronomo e sommelier professionista – collabora con varie testate e siti web di settore.

La presentazione del suo volume parla di thriller metropolitano con sfumature di noir. A noi è parsa una storia piuttosto bizzarra, nella quale si alternano personaggi e comparse altrettanto bizzarri. Non ci soffermeremo comunque sulla trama, anche per non togliere la sorpresa ai lettori: vogliamo invece puntare l’attenzione su due elementi forti che percorrono trasversalmente l’intera narrazione.

Il primo aspetto è il carattere del protagonista, Frederic “Pilastro” Blondevitz, che intride di sé ogni pagina del libro. Un carattere nel quale riconosciamo molti tratti dell’Autore e della sua bolognesità, così tipica e genuina. Leggiamo di Blondevitz e pensiamo a Nanni, insomma: e ci resta in mente quel suo atteggiarsi sempre agrodolce, quella sua filosofia spicciola di utilitarismo quotidiano, di sottili astuzie, di scaltri attendismi, al limite di calcolate pavidità. Più che l’aspro esistenzialismo di Bukowski, come ha scritto qualcuno, il testo ci evoca il tradizionale disincanto petroniano, e lo fa in maniera davvero efficace.

Il secondo aspetto è la lingua. Una lingua molto personale, infarcita com’è di parentetiche, di incisi, di appelli al lettore, di esclamazioni, di ridondanze, di equilibrismi sintattici spinti non di rado all’estremo. Una specie di argot italo – felsineo, che comunque intrattiene piacevolmente chi legge. Ancora una volta, per noi che conosciamo l’Autore la sua cifra linguistica, e quella stilistica, sono pretesti per “riconoscerlo” a ogni pagina. Anzi, di più, sono strumenti preziosi per affinare la sua conoscenza: lingua e stile sono sonde letterarie di profondità che consentono di scandagliare un po’ più, e un po’ meglio, l’interiorità di chi scrive.

A lettura finita, ci resta un interrogativo al quale fatichiamo a trovare risposta. Perché Nanni non si sofferma mai sui suoi amati vini, e fa invece continui riferimenti alla coca annacquata (inorridiamo al pensiero) del protagonista? Forse il sommelier che è in lui ha voluto prendersi una vacanza…Chissà.

Quando Nanni rivedrà il suo editore, per riscuotere i meritati diritti d’autore e per mettere in cantiere una nuova edizione del volume, potrà anche espungere dal testo qualche refuso di troppo di questa prima tiratura, che evidentemente ha pagato un comprensibile dazio all’urgenza dell’esordio letterario.

Piero Valdiserra

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