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Shopping londinese

 

Mentre tante grandi istituzioni finanziarie continuano a tagliare posizioni nella City, diverse banche italiane (e non solo) si danno allo shopping a Londra.

È la situazione paradossale che si sta verificando nella capitale finanziaria europea. Che se da una parte ha rappresentato l’avamposto dove sviluppare i business più innovativi, finendo poi per dover ridimensionare pesantemente le attività e i banker occupati in attività come la finanza strutturata, dall’altra sta diventando territorio di caccia per le banche che, dopo una gestione più prudente in passato, ora trovano sulla piazza fior di professionisti, spesso desiderosi di ricollocarsi al più presto.

“Con tante banche che hanno dovuto tagliare in modo violento – spiega Giulia Belloni vice presidente di Korn Ferry Italy – ci sono professionalità eccezionali sul mercato. E per una volta alcune istituzioni italiane non sono messe così male, perché non hanno rincorso il mito del credito strutturato, non si sono appesantite troppo attraverso una corsa alle assunzioni negli anni passati, e ora possono permettersi di fare shopping”.

 

Merito dell’approccio più prudente di istituti come Banca Imi o Mediobanca, che non devono fare i conti con le pesantissime svalutazioni cui ha dovuto mettere mano Citigroup, e che stanno mettendo in difficoltà un colosso europeo come Ubs.

Si prenda Mediobanca: l’istituto milanese è impegnato in una cauta e oculata espansione all’estero e ora impiega una ventina di professionisti a Londra, selezionati da quando ha dato mandato a Paolo Cuniberti, ex Lehman Brothers, di avviare le operazioni nella capitale britannica. Altro esempio, Banca Imi: “La nostra attività a Londra è tutta volta alla distribuzione – spiega il managing director Andrea Munari – ci aspettiamo che le operazioni a Londra crescano nei prossimi 12 mesi, man mano che espanderemo la nostra capacità di distribuzione su vari prodotti”.

“Londra – spiega a Financial News Edoardo Spezzotti, responsabile nella City per Unicredit – è la seconda location più importante per la nostra attività di investment banking dopo la sede di Monaco. La situazione non cambierà, e siamo impegnati a mantenere Londra come centro fondamentale”.

 

Unicredit, che sta tagliando 700 posti nell’investment banking e secondo indiscrezioni si prepara a fondere le attività di corporate e investment banking, potrebbe sì tagliare, ma in misura non paragonabile rispetto ai competitor anglosassoni. “Hanno bisogno di tenersi leggeri sul fronte dei costi, per affrontare meglio il rallentamento economico”, spiega Emanuele Vizzini di Investitori Sgr a Milano. Ma allo stesso tempo “Unicredit è una banca solida”, come spiega Andrea Vercellone, di Credit Suisse. Non c’è da aspettarsi tagli paragonabili a quelli di Ubs, insomma, che ha dovuto annunciare un’ulteriore tranche di licenziamenti, che questa volta toccheranno circa 2000 investment banker.

 

 

Nel mezzo della crisi, insomma, molti istituti stanno ricostituendo i propri ranghi e riqualificando il proprio personale. Non solo italiani: nella lista di chi fa shopping “figurano molti istituti second tier” – spiega ancora Giulia Belloni – che ora sono in grado di approfittare di un mercato che si è raffreddato rispetto ai tempi del boom. Nomi come Barclays, ma anche Deutsche Bank e Credit Suisse, oppure istituti più piccoli come Rothschild e Lazard.

 

 

 

 

 

 

 

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