Il Gruppo Albatros Il Filo ha pubblicato la silloge d’esordio di Roberto Conte: essa si muove nervosamente sulla pagina, sospesa tra classicismo e modernità, ricerca di ritmo e suono da un lato (ricorrente l’uso della rima baciata) e ansia di libertà metrica e rottura di gabbie formali dall’altro. Questo dualismo, questa ricerca irrisolta ma incessante (La ricerca), è specchio della vita del poeta, che scrive nell’introduzione: “Sono passati più di venticinque anni, oramai, da quando questo folle inchiostro imbrattava la carta. tutto sembrava così nobile, allora, così vero, cosa è rimasto? Niente, a parte una trasparente, muta, stupida angoscia, che non si cura più neanche di se stessa”.
Il leitmotiv devastante di cinismo e depressione che percorre la silloge, però, non riesce a sfociare del tutto in pessismismo cosmico e nichilismo, perché nell’animo del poeta non c’è solo rassegnazione o distante anaffetività, c’è ancora un turbinio di sentimenti, un grovoglio di emozioni che si agitano, e trovano sbocco esterno in una rabbia che egli scaglia contro le storture e il disfacimento etico della società contemporanea. Si badi però, la società non vista come una mistica entità astratta, su cui filosofeggiare funzionalisticamente: essa è un insieme di uomini, di monadi dotate di ragione e coscienza che, volontariamente, mossi da logiche arrivistiche di potere o di semplice quieto vivere, hanno ridotto questo mondo a un palcoscenico squallido e senza vita. Gli strali dunque non risparmiano pressochè nessuno: ce n’è per il clero, per i politicanti e anche per le masse, che si lasciano indottrinare inermi, da pastori che le condurranno al precipizio.
(dalla prefazione)
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