È in corso a Venezia la mostra “Neoludica. Art is game 2011-1966”, un’esposizione che dimostra come anche i videogiochi possano essere considerati una forma d’arte.
Che i videogiochi pc non avessero solo conseguenze negative sulle menti nostre e dei nostri figli è già stato appurato (certo, se si usano senza esagerare); che la grafica di molti videogame in circolazione fosse migliorata al punto da catapultarci in una dimensione virtuale molto simile a quella reale ce n’eravamo già accorti. Quello che forse nessuno ancora osava fare era inscrivere i videogiochi nell’olimpo delle arti, insieme ad architettura, musica, pittura, scultura, poesia, danza e cinema. Ci ha pensato, in questi giorni, non un’organizzazione qualsiasi, ma addirittura la Biennale di Venezia, ossia uno dei principali enti che abbiamo in Italia ad occuparsi di arte e tutto quello che ci gira intorno. E se è proprio la Biennale ad organizzare una mostra dedicata ai videogame, significa che un minimo di credibilità artistica questi videogiochi ce la dovranno pur avere!
La mostra in questione, che rimarrà aperta ancora per pochi giorni (fino al 27 novembre, per la precisione), è uno degli eventi collaterali della 54. Biennale d’Arte di Venezia e si intitola “Neoludica. Art is a game 2011-1966”, titolo che prende ispirazione da una frase pronunciata nientedimeno che da Duchamp: “Art is a game between all people of all periods”.
La mostra, che ha destato la curiosità sia degli appassionati d’arte che dei fan dei giochi Wii e di videogame in generale, è il risultato di una ricerca effettuata da Musea Game Art Gallery, E-Ludo Lab e Fabbrica Arte con la collaborazione di Centro Candiani allo scopo di dimostrare come i videogiochi, intesi come opere multimediali interattive, possono a diritto essere considerati come una nuova forma d’arte, probabilmente ancora incompresa, ma pur sempre arte. Una nuova espressione artistica che si pone come interessante terreno di sperimentazione ma anche come fonte di ispirazione per tutte le altre arti, dal cinema alla letteratura, dalla musica alla pittura. La mostra, divisa in sei sezioni, comprende le opere di trentatré artisti e, dato da non sottovalutare, è stata realizzata con un budget ridotto e soprattutto grazie al contributo di molti supporter. Il budget limitato non ha però impedito alla mostra di essere organizzata in modo tale da riscuotere un ottimo successo, e da dare vita anche a diverse iniziative parallele e alla pubblicazione di un volume, “Arte e Videogame”, a cura di Debora Ferrari e Luca Traini.
Se al giorno d’oggi si può parlare di videogiochi come forma d’arte, lo si deve alle profonde evoluzioni che hanno caratterizzato, nel tempo, questo specifico settore: se siete tra coloro che hanno cominciato a giocare coi videogame negli anni Ottanta, vi ricorderete la grafica non proprio eccezionale di giochi come Pac-man, e vi sembrerà praticamente impossibile riconoscere in quel videogame ancestrale l’antenato della Nintendo Wii e dei moderni e raffinatissimi videogiochi, caratterizzati da una grafica curatissima, da veri e propri personaggi e da ambientazioni iperrealistiche. E come tutte le altre forme d’arte, anche i videogame sarebbero in grado di fornire un’analisi della società in cui vengono realizzati e di immergersi di volta in volta in dimensioni ed epoche storiche diverse, passando con nonchalance dalla mitologia alla fantascienza.
Forse è ancora presto per dire se davvero i videogame saranno, in futuro, studiati a scuola come una delle principali forme artistiche del nostro tempo, ma sicuramente questa mostra fornirà ai suoi visitatori degli interessanti spunti di riflessione.
Articolo a cura di Francesca Tessarollo
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