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Cesare Geronzi tra D’alema e Confalonieri per presentare il suo “Confiteor”

Dopo la presentazione di Milano Cesare Geronzi torna nella “sua” Roma col suo tour per presentare “Confiteor”

Parterre delle grandi occasioni alla presentazione del libro-intervista di Massimo Mucchetti con Cesare Geronzi, martedì scorso al Palazzo della Cancelleria di Roma.

Tra i politici protagonisti, c’era Massimo D’Alema, che sfoggiava un sorriso delle grandi occasioni. Nel libro, il banchiere Geronzi l’ha ripetutamente citato come esempio di politico preparato e schietto con cui ha avuto un rapporto corretto e cordiale. Ma D’Alema non era il solo politico ieri sera: c’era anche l’ex ministro della Giustizia, il redivivo Oliviero Diliberto.

Per il centrodestra spiccava la presenza in prima fila di Gianni Letta, per anni sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Silvio Berlusconi. Tra i due non sono mancate strette di mano e i sorrisi nonostante le parole riservate da Geronzi a Letta stesso in Confiteor. Il progressivo affrancamento dal berlusconismo del “Banchiere di Sitema” d’altronde, è stata chiara anche ieri sera: “Ho votato Berlusconi nel ‘94. Ma forse oggi sarebbe tempo di lasciare”, ha detto l’ex presidente di Generali. Affermazione che ha suscitato consenso e approvazione da parte degli esponenti centristi presenti. C’erano l’economista ed ex banchiere Pellegrino Capaldo, c’era l’ex ministro Giuseppe Guarino, autore di un corposo saggio pubblicato sull’ultimo numero della rivista Formiche in cui sostiene che giuridicamente il Fiscal Compact violerebbe i Trattati europei; argomento che certamente sarà stato discusso nei conciliaboli tra Guarino e l’editorialista Angelo De Mattia, per anni al fianco di Antonio Fazio in Bankitalia. E c’era l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone, sostenitore di Mario Monti come ha detto ieri in un’intervista al Financial Times.

Nel suo intervento Massimo D’Alema, sul palco vicino a Confalonieri, è ritornato su Berlusconi: “Il conflitto d’interessi è ancora davanti a noi e dovremo occuparcene”. E sulle critiche al suo governo all’epoca dell’Opa Telecom di Colaninno: “Credo che Guido Rossi si sia pentito di aver definito Palazzo Chigi una merchant bank, visto che lui era parte in causa perché aveva architettato la privatizzazione basata sullo 0,6% in mano a Fiat”. Fedele Confalonieri: “Cuccia diceva che i bilanci Fininvest erano falsi? Tutte balle”.

Battibecchi  che sul palco sono invece intercorsi tra il presidente Mediaset Confalonieri e Mucchetti, “reo” di aver ricordato nel libro che Enrico Cuccia rifiutò di portare in Borsa la Finivest, poi trasformata in Mediaset, perché secondo lui i bilanci della società di Berlusconi erano falsi. Confalonieri si è accalorato in una difesa a oltranza del suo gruppo, ricordando che la quotazione fu seguita da sei grandi banche nazionali, e che quote di Mediaset furono acquisite da tre grandi azionisti stranieri: “Possibile che nessuno si fosse accorto che in Fininvest c’era una contabilità opaca: quelle di Cuccia erano balle”. Al che Mucchetti ha ribadito che il tema dei bilanci Finivest-Mediaset, soprattutto per quel che riguarda i diritti tv dei film, è stato oggetto di inchieste giudiziarie e che all’interno di Mediobanca c’erano manager come Gerardo Braggiotti che avevano sollevato dubbi sul sistema di ammortamento dei diritti.

Il tema del conflitto d’interessi è stato sollevato da D’Alema che ha accusato gli imprenditori di usare i giornali per “tenere sotto scopa il potere politico”. “In Italia – ha detto D’Alema – ci sono molti conflitti d’interessi di cui l’intreccio di potere economico-mediatico-politico di Berlusconi è solo l’esempio più evidente. Cuccia e Geronzi, invece, avevano rispetto per le istituzioni e per la politica, perché pensavano che il mondo economico avesse una responsabilità verso il futuro del Paese”. “Non è vero – ha detto ancora D’Alema – che non abbiamo cercato di risolvere il conflitto d’interesse: nella bicamerale proponemmo di affidare alla Corte Costituzionale il giudizio sulle incompatibilità e io incaricai il sottosegretario Passigli di cercare di rendere più stringente la legge sul conflitto appena varata. Questo tema è ancora di fronte a noi e dovremo occuparcene”.

Per quel che riguarda Monti, D’Alema ha affermato: “Lo riconfermai commissario europeo e gli proposi di andare a Palazzo Chigi un anno prima che diventasse premier. Penso che abbia agito bene, soprattutto per ridare credibilità all’Italia all’estero. Ma il suo compito si è esaurito. Faremo tesoro del rigore del suo governo, da cui non si potrà deflettere. Ma è ora che torni la politica: e non ci si deve scandalizzare che governi chi vince le elezioni”. Alla fine ha preso la parola Geronzi che ha ricordato la sua lunga amicizia con Berlusconi: “Ricordo quando venne a parlarmi della sua discesa in campo nel 94: si presentò con una grande cartella piena di tabelle e grafici e mi disse che aveva parecchi contrasti in casa e in azienda. Era fantastico. Allora l’ho votato e gli sono sempre stato amico. E con amicizia gli dico che forse oggi è il caso di lasciare”.

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“Confiteor” di Cesare Geronzi e la “sintonia magica” con Bazoli

In occasione della presentazione del suo libro “Confiteor” Geronzi rivendica l’importanza del rapporto con Giovanni Bazoli: “Il rapporto tra noi due è stato un bene per l’Italia”

È possibile che la tanto discussa figura del «banchiere di sistema» non esista. Ma in Italia le banche rappresentano senza dubbio un sistema, e sia Giovanni Bazoli che Cesare Geronzi sono indubbiamente protagonisti di questo sistema.  E i due si sono rincontrati sul palco della Fondazione Corriere della Sera recentemente, alla presentazione del libro di Cesare Geronzi “Confiteor”, scritto a quattro mani con il giornalista Mucchetti. Insieme ai due autori, e al già citato Bazoli, sul palco c’erano Carlo De Benedetti e il direttore del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano, coordinati dal direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli. Il libro, “Un’intervista scomoda fatta da un giornalista scomodo” per De Bortoli, “è un dialogo ser­ rato da cui emerge un racconto tra vero e verosimile- ha osservato Napoletano – che mette a nudo impietosamente le debolezze gravi di un sistema. Certo colpisce che a dirlo con più forza dello stesso Mucchetti sia uno dei protagonisti di questo sistema come Cesare Geronzi”.

In sala erano presenti tra gli altri, l’ex presidente dello Ior Angelo Caloia, il presidente dell’Enel Paolo Colombo, Giulia e Jonella Ligresti, Tarak Ben Ammar e Pietro Salini. Si è parlato del passato, ovviamente,  in un discorso pieno di stoccate ai presenti e agli assenti, qualche provocazione e – su tutto- il desiderio dei due banchieri di rimarcare la propria verità sui fatti raccontati, dai grandi riassetti bancari a Rcs, dalla Fiat a Telecom. Una verità, quella di Geronzi e Bazoli, che passa anzitutto per il legame che li ha sempre visti coinvolti. «Una collaborazione leale» per il presidente di Intesa, una «sintonia magica» per l’ex numero uno di Generali:

«Negli ultimi 15 anni, caro Nanni, il rapporto tra noi due è stato un bene per il Paese», dice Geronzi. Che ora sente la necessità di «reclamarne il merito: abbiamo lavorato per il bene dell’Italia, con spirito di servizio e per restare indipendenti».

Se è vero che Geronzi e Bazoli sono stato decisivi nel delicato riequilibrio del sistema bancario degli ultimi 15 anni, Geronzi reclama per sé e Bazoli il merito di quella che definisce una vera e propria «ristrutturazione». Un percorso fatto di «operazioni coraggiose» come il salvataggio del Banco di Sicilia nel’99 l’integrazione di Bipop-Carire del 2002 per far nascere Capitalia: «Abbiamo avuto coraggio anche se la politica – dice Geronzi – non ci ha fatto lavorare tranquillamente». Già, la politica. Ingerenze, collusioni? «Il problema non sono le relazioni, ma come si approccia il mondo politico», dice Bazoli, che non rinuncia a toccare un tasto delicato, come i rapporti tra Geronzi e Silvio Berlusconi: «Gli ha detto diversi no, e io ne sono sta­ to testimone».

La politica, dunque. Oltre alle banche e a tutti salotti buoni della finanza, dalle Generali (da cui «non so se sono stato cacciato o se ero io che non volevo stare più con loro», dice Geronzi) fino a Fiat, Pirelli, Telecom. Un ruolo a tutto tondo che, per Carlo De Benedetti, fa sia di Geronzi che di Bazoli  non  dei  banchieri  ma  dei power broker. Almeno Geronzi ha fatto il direttore di banca, ma Bazoli si è trovato lì perché l’ha voluto Andreatta. Ha fatto un lavoro eccellente, ma non sa neanche cos’é una banca», ha detto De Benedetti. Che dopo aver dedicato un passaggio all’attuale ministro Corrado Passera («È stato utile quando lo chiamai alla Olivetti perché il suo carattere era rotondo a differenza del mio piuttosto spigoloso»), non ha rinunciato a rivolgere una stoccata a Marco Tronchetti Provera: «Da membro del patto di sindacato Pirelli­ ha detto – considerai una stupidaggine acquistare da Gnutti la Telecom pagando un prezzo spropositato. Quella distruzione di ricchezza è un primato nella storia italiana».

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Cesare Geronzi come non l’avete mai visto… in televisione

A pochi giorni dall’uscita del libro Confiteor, Cesare Geronzi accetta di apparire in televisione per parlare di trenta anni di finanza in Italia

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Cesare Geronzi è sempre stato restio ad apparire in televisione, ma da qualche giorno il suo Confiteor è disponibile in libreria e allora il “banchiere di sistema” ha deciso di partecipare alla trasmissione televisiva “L’Infedele” di Gad Lerner. Tra le altre cose si è parlato delle primarie del centrosinistra : “Non sono andato a votare ma confesso un dibattito in famiglia, mia moglie è stata un’accesa renziana”. Lerner ha chiesto a Geronzi se le possibilita’ di Bersani di andare a Palazzo Chigi sono serie. “Direi di si’ e me lo auguro anche”, ha risposto Geronzi. Ospiti in studio Massimo Mucchetti, che ha di recente firmato un libro insieme a lui dal titolo “Confiteor”, e Angelo De Mattia, ex “braccio destro” di Antonio Fazio in Banca d’Italia e molto vicino allo stesso Geronzi, di cui ha preso le difese spesso negli ultimi cinque anni su giornali finanziari come MF, sul Riformista, sul Foglio e sul Corriere della Sera.

                                                                                                                                                

Geronzi ha approfittato della platea per parlare di amici e nemici. Ha fatto un’apologia di Piero Giarda, attuale ministro dei rapporti con il parlamento, del quale ha magnificato la conoscenza delle pieghe del bilancio dello Stato. Significativamente, l’ha citato quando era stato tirato in ballo Enrico Bondi, il risanatore di Parmalat chiamato a lavorare di recente per il governo Monti, e nemico giurato di Geronzi, che con la sua Banca di Roma aveva finanziato Callisto Tanzi.

 

Con un Monti bis l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, potrebbe diventare ministro degli Esteri,  ha poi detto l’ex banchiere, supposizione “legata alla conoscenza che io ho di una forte e reciproca stima tra il presidente del consiglio attuale e Paolo Scaroni. Quindi l’ipotesi di un Monti bis potrebbe comportare questa nomina di cui io sono convinto”. Tuttavia Geronzi ha detto di non augurarsi un Monti bis: “Io guardo al primato della politica. Deve essere fatta da uomini politici. I tecnici servono, sono buoni consiglieri ma non devono fare la politica”. E’ ovvio che anche questo, come quello su Giarda, è un segnale abbastanza critico mandato dal banchiere di Marino a quell’establishment che oggi l’ha un po’ dimenticato. “Io con la politica, e lo dico in questo modo, non ho mai avuto nulla a che fare”, ha poi aggiunto Geronzi. ‘Il sottoscritto – ha aggiunto – è un banchiere di sistema perche’ ha svolto la funzione istituzionale di salvare alcune banche’. Geronzi ha quindi ricordato alcuni casi come il Banco di Santo Spirito, il Banco di Roma tutte “ex banche dell’Iri che ogni anno doveva ricapitalizzare”. In una recente intervista apparsa sul Corriere della Sera aveva detto che la finanza bianca non contava nulla e che era quella laica a comandare in Italia. Un’altra affermazione quantomeno fantasiosa, ma in linea con l’intenzione di mandare messaggi a pezzi di establishment. Dopo l’addio alle Generali con la vendetta subita da Mediobanca, di Geronzi si è parlato prima come possibile papabile al posto di Tremonti nel governo Berlusconi, e poi come capo dello Ior al posto di Gotti Tedeschi. Tutte  e due le occasioni non si sono concretizzare. Oggi colpisce vedere un banchiere pubblicare un libro-intervista, visto che la riservatezza è sempre stata un must per i banchieri della generazione di Geronzi. Ma si sa che i tempi cambiano e che un certo tipo di establishment (a detta dello stesso Geronzi) è giunto al capolinea.

Fonte: Il Giornalettismo

 

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Cesare Geronzi si confessa: ecco il suo Confiteor

È uscito in questi giorni Confiteor, il libro intervista in cui Cesare Geronzi, in cui il banchiere rivela tutto quello che c’è da sapere sulla vicenda che lo ha portato a rassegnare le dimissioni da Generali

Per molti anni Cesare Geronzi è stato l’uomo forte della finanza italiana. A lui sono stati attribuiti molti soprannomi, come “Dottor Koch”, per i suoi trascorsi a Bankitalia, “Cardinale” oppure “piccolo Cesare”. Geronzi, che ora ha 77 anni, ha visto la fine del suo dominio quando è stato estromesso dalla presidenza delle Generali. Il consiglio d’amministrazione del gigante italiano delle assicurazioni chiese le sue dimissioni, ad un anno circa dall’arrivo del banchiere romano alla presidenza dell’azienda di Trieste. Ieri è uscito il suo libro “Confiteor”, “confesso”, il cui titolo deriva dalla preghiera penitenziale che si dice a Messa. Come un fedele che confessa al Signore i suoi peccati, così Geronzi si confessa a Massimo Mucchetti. Il cuore di “Confiteor” è però la resa dei conti del banchiere romano con i suoi nemici, coloro i quali si sono messi d’accordo per estrometterlo dalle Generali. I nomi sono già noti: il primo è Diego Della Valle, il più vocale tra i suoi oppositori. Poi nell’elenco “nero” di Geronzi ci sono Alberto Nagel, il capo di Mediobanca, e Lorenzo Pelliccioli, la guida della De Agostini.

L’arrivo di Geronzi al vertice di Generali era stato un passo rischioso per lo stesso manager romano. Dopo aver prima dato forma e poi venduto Capitalia, fusasi con Unicredit, Geronzi scala i vertici della finanza italiana prima con la presidenza di Mediobanca, poi arrivando al vertice di Generali. La compagnia triestina è la “cassaforte” della finanza del nostro paese, un gigante assicurativo terzo in Europa, dietro la tedesca Allianz e la francese Axa. L’incompatibilità tra il banchiere romano e il management di Generali si è subito palesata, anche negli aspetti più personali. Dopo pochi mesi di ostilità crescente, lo scontro esplose nell’inverno del 2011. Diego Della Valle iniziò ad attaccare pesantemente il manager romano, dandogli del “vecchio arrugginito”. Altri, come Mediobanca, condivisero la sua sfiducia nei confronti di Geronzi. Il giorno del giudizio arrivò il 6 aprile del 2011, quando il banchiere romano si dimise dopo che 10 consiglieri d’amministrazione su 17 avevano palesato l’intenzione di sfiduciarlo. Re Cesare li anticipò, ma la ferita è ancora aperta, visti i giudizi dispensati nei confronti dei suoi avversari. “Della Valle è stato solo un emissario, anche se pensava di agire in autonomia”, dice Geronzi, mentre su Nagel e Pelliccioli rimarca come gli tremassero le voci dopo aver saputo la sua intenzione di dimettersi. L’addio alle Generali fu motivato dalla mancanza di un alleato storico, romano come lui.

Cesare Geronzi racconta la sua ultima cena da presidente delle Generali, il momento in cui capì, dopo gli scontri dei mesi precedenti, che la sua era volgeva ormai irrimediabilmente al termine. “La sera del 5 novembre parlai con Vincent Bollorè e ci accordammo per andare a cena. Mi disse che anche Francesco Caltagirone sarebbe venuto. Quando non si presentò, capii che era passato con i miei avversari. Senza il suo sostegno mi sarei dovuto dimettere. Andai a dormire con la decisione dell’addio praticamente già presa”. L’addio di Geronzi alle Generali, però, rimarca il Financial Times Deutschland, è stata una vicenda simbolo della trasformazione del capitalismo italiano. Cesare Geronzi rappresentava il sistema basato sulla stretta connessione tra banche, imprese e Chiesa cattolica. Il banchiere romano è tra le altre cose un confidente del numero due del Vaticano, Tarcisio Bertone. Questa base di potere si sta sbriciolando da molti anni, un cambiamento lento ma ineluttabile. Questo è ben simboleggiato da Mediobanca. Per molti decenni Piazzetta Cuccia decise il destino industriale del paese, come unica banca di investimento italiana. Negli anni novanta però perse il suo monopolio. Ora è diventata una banca normale, e le sue partecipazioni nelle industrie si è molto ridotta. La stessa vicenda della famiglia Ligresti, legatissima a Geronzi, evidenzia questa lenta ma costante trasformazione. Un cambiamento riconosciuto sottotraccia dallo stesso banchiere romano, che come confessa nel libro, ora può parlare di potere e scriverne senza l’ossessione del potere.

 Fonte: Il Giornalettismo

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