E’ nato nel cuore della Romagna il più grande network privato d’Italia che ora opera anche all’estero. La storia di un sogno realizzato e le aspettative per il futuro.
Intervista apparsa su la Voce di Romagna al Presidente del Gruppo Villa Maria Ettore Sansavini
Non fa tempo a mettere piede dentro un traguardo, che già vede un altro orizzonte più avanti. I suoi collaboratori faticano a stargli dietro: “A volte il mio direttore amministrativo mi sgrida”. Sorride Ettore Sansavini, che con Villa Maria è al timone del primo gruppo sanitario privato per strutture accreditate, con più di trenta cliniche e poliambulatori, tra Italia, Francia, Polonia, Albania e Romania. Una saga imprenditoriale da self made man romagnolo. Perito chimico e diplomato ragioniere alle serali di Forlì, è partito negli anni ‘60 come impiegato in una clinica privata, costruendo negli anni una holding che fattura 500 milioni l’anno e occupa oltre 5mila persone, impegnata anche in società di servizi, nelle cure termali, nell’alimentare e nel biomedicale.
“Faccio l’imprenditore con lo spirito di quando mio nonno, agricoltore, mi portava per i campi a vedere il grano crescere. Ecco: io non amo il rischio del gioco, non mi sono mai seduto al tavolo della roulette. Ma ho il desiderio di costruire. Non si fa impresa per il denaro. Perché i soldi, quando si lavora e si lavora bene, arrivano da soli. E servono per costruire ancora, per far crescere qualcosa”. Un ragazzo di 68 anni, Sansavini, che nel 1973, a 28 anni, fu chiamato a dirigere la clinica Villa Maria di Cotignola ancora in costruzione, investendo poi tutto quanto aveva – i 2 milioni di lire della liquidazione del lavoro precedente – e che da lì ha creato il primo polo sanitario privato italiano. “Avevamo 600milioni di capitale e 600 milioni di debiti. Ho corso un rischio; e ancora ne corro”. La scelta di allora gli ha dato ragione. E adesso, in tempi di crisi e recessione, investe ancora: 25milioni di euro per costruire due piani ulteriori nella clinica di Cotignola sono solo un esempio.
Sansavini, è singolare che la sua avventura nella sanità privata si sia giocata proprio nella Bassa Romagna di allora, che certo mirava ad altri modelli di assistenza…
Villa Maria nacque dal desiderio di un medico, Ilio Barcaroli. Voleva costruire la clinica a Lugo, tra la ferrovia e via Felisio. Non gli diedero i permessi. Allora la fece a Cotignola, ma su un terreno di confine, rivolta a Lugo. Lì ci sono arrivato nel ‘73, come direttore amministrativo. La clinica era ancora in costruzione, l’abbiamo inaugurata il 24 ottobre. Subito ci siamo accreditati con le mutue, poi è arrivato il sistema sanitario nazionale. Il distretto di Lugo fu scelto come uno dei quattro progetti pilota in Italia per sperimentare il nuovo sistema. E noi, unici in Italia, fummo sconvenzionati.
Diciamo che le amministrazioni non vi favorivano…
Per anni hanno cercato di farci chiudere. L’allora presidente del Consorzio socio sanitario voleva fare della clinica la sede dell’ente. Ma abbiamo resistito, lavorando. Avevamo bisogno di pazienti, di clienti. I soci cominciavano a dubitare del progetto Villa Maria. Io presi a comprare le azioni di chi temeva il futuro, per tenere alto il livello e sostenere il progetto. Mi sono indebitato fin sopra i capelli. Poi ci siamo inventati
l’odontoiatria: la gente andava in Olanda con pullman organizzati per farsi curare, noi abbiamo portato i dentisti a Cotignola. Quindi è arrivata la cardiologia e la cardiochirugia. Insomma: abbiamo portato quelle attività che in regione e in Italia erano più carenti. E ci hanno salvato anche i libici.
Prego?
Avevamo bisogno di lavorare, e negli anni ‘70 c’era questo movimento di pazienti che venivano a farsi curare in Italia.
Ottenni, tramite l’ambasciata, una convenzione: dal ‘75 al ‘79 abbiamo avuto un centinaio di pazienti libici a Cotignola. Venivano anche perché avevamo portato a Villa Maria il professor Boccanera, un ortopedico molto conosciuto.
Si puntava all’alta specialità…
Sempre, come abbiamo poi sempre fatto: mai duplicare i servizi sanitari presenti sul territorio, ma offrire prestazioni di eccellenza lì dove ce n’è bisogno. Rispondendo alle esigenze: dal
1979 abbiamo creato il primo polo cardiochirurgico privato italiano.
La gente andava negli Stati Uniti o in Svizzera, noi abbiamo portato i medici qui. E’ arrivata la notorietà, il 12% della cardiochirugia italiana a Cotignola. Da lì è nata la rete degli ospedali del gruppo.
E finalmente il servizio pubblico si accorge di voi…
Fino al 1996 abbiamo lavorato in maniera sostanzialmente autonoma, con contratti di rimborso per i pazienti curati da noi che venivano da altre regioni. Poi è arrivato l’accreditamento con il servizio sanitario, perché avevamo un sistema di alta specialità importante.
Villa Maria ha cliniche dal nord al sud. In regioni amministrate da forze politiche diverse. Come cambiano i rapporti?
Sono diversi approcci, ma il rapporto è sostanzialmente buono con tutti. Ci siamo sempre proposti di fare quello di cui il pubblico aveva bisogno, o di investire in settori che non erano nemmeno stati considerati.
In Puglia ora le condizioni sono più tese.
Lì abbiamo lavorato molto, la Regione non ci ha riconosciuto quanto riteniamo ci spetti, ed è nato un contenzioso, che in parte ha dato ragione a noi, in parte alla Puglia. Abbiamo ancora della difficoltà a riscuotere i nostri crediti, e ora ci stiamo riorganizzando. Vede, ogni struttura ha una sua autonomia finanziaria, il gruppo finanzia l’avvio, ma poi ogni clinica deve avere la sua autonomia economica.
I tagli della spending review non risparmiano la sanità. Cosa cambierà?
Le Regioni dovranno ridurre la loro spesa sanitaria, vedremo in che direzione. Auspichiamo che non si tocchi il privato, perché noi costiamo solo per quello che facciamo: ad ogni prestazione corrisponde una tariffa, se lavoriamo siamo pagati, altrimenti no.
Oltretutto, se sforiamo il budget che ci viene assegnato a inizio anno, per l’extra non vediamo un centesimo. Difatti ogni anno lasciamo diversi milioni sul piatto.
Chi ve lo fa fare?
Se ci sono delle emergenze non possiamo non intervenire. All’estero a volte è diverso. In Polonia quell’extra ce lo riconoscono, e il lavoro in più viene considerato per accrescere il budget l’anno successivo.
Il servizio sanitario nazionale compie 34 anni. E’ un modello da ripensare?
Tutti ci auguriamo che possa continuare, perché è una conquista fondamentale dal punto di vista sociale. Il problema è come viene amministrato. Il pubblico deve garantire che le prestazioni siano al meglio e al minor costo, ma non è detto che sia lui a erogare il servizio. Dovrebbe rimanere indifferente: l’importante è la qualità.
Un altro sistema è possibile?
Non credo: solo con la presenza del pubblico si rischierebbe di non essere competitivi sui costi e di appiattire la qualità. Solo privato si tradurrebbe in solo mercato, riducendo la qualità per un maggior profitto dell’imprenditore.
La direzione indicata dai tagli è l’ingresso delle assicurazioni?
In senso esclusivo non è un’ipotesi percorribile, perché, ad esempio, se un paziente ha malattie croniche o è molto anziano, non trova chi l’assicuri; scomparirebbe un livello di assistenza. Occorre una rivisitazione del sistema assicurativo, verso una copertura totale. Interessante per ridurre la spesa pubblica sono invece i fondi integrativi di chi lavora, come previsto da diversi contratti nazionali. Oggi viene ideologicamente interpretato come un privilegio, invece va proprio a vantaggio di chi è più in difficoltà:
si accorciano le liste di attesa, e chi lavora paga un po’ di più, sì, ma garantisce alti livelli di assistenza per tutti.
Sansavini, la sanità è spesso nel mirino delle inchieste giudiziarie, specie in Lombardia…
Non credo a quelle accuse. Ma va detto che in Italia operano sette/ottocento cliniche private. Non tutti sono uguali; un privato non deve essere compromesso con la politica. La selezione si fa sui requisiti di qualità delle prestazioni, e sono criteri molto severi per chi opera nel privato. Sarebbe auspicabile un terzo organo di controllo anche per il pubblico. E da anni chiediamo che le Ausl si diano un bilancio civilistico, per evitare di scoprire dopo troppo tempo buchi importanti nelle spese.
Anche lei è stato sfiorato da inchieste giudiziarie, indagato…
Anche processi, ma mai una condanna in tanti anni di attività.
Che impegni ha il suo gruppo per il futuro?
Dobbiamo consolidare quel che abbiamo, anche accorpando le strutture più piccole, come faremo in Puglia, Sicilia e Toscana. Il gruppo prosegue poi nel campo industriale del biomedicale. Il 9 agosto (oggi, ndr), riapriremo la nostra azienda per la produzione di dispositivi medici di Medolla, nel modenese. Il capannone era stato danneggiato dal terremoto. Ripartiamo, con maggiori potenzialità, in uno stabilimento poco distante dal primo.
Forte è l’impegno nel campo alimentare e termale. In sanità puntiamo a una crescita in Polonia, e nel giro di tre anni vogliamo aprire una clinica in Tunisia.
C’è crisi e recessione, lei continua a investire…
Proprio adesso lo facciamo di più. Nella ricerca, nell’innovazione. Un esempio: a Villa Maria avevamo già un laboratorio di elettrofisiologia, ma abbiamo fatto una proiezione sulla ricerca, per introdurre nuove metodiche, come quelle portate avanti dal professor Carlo Pappone. Oggi ci rimettiamo soldi, ma stiamo investendo per il futuro, offriamo un patrimonio di attività e conoscenze per tutto il gruppo.
Sansavini, vede un’uscita dalla crisi?
Ho fiducia negli italiani, dal nord al sud, ciascuno con le sue differenze. Il paese si riprenderà.
Fonte: LA VOCE DI ROMAGNA