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Donne e cellulari: non spendono cifre folli e preferiscono la tradizione

Più di una donna su quattro (26%) usa due numeri di cellulari diversi e nel 90,4% dei casi le esponenti del gentil sesso scelgono schede ricaricabili. È falso lo stereotipo che le dipinge come responsabili di spese telefoniche altissime e, ancora, continuano ad amare i telefoni tradizionali senza essere troppo affascinate dagli smartphone. Questi sono alcuni dei risultati emersi dall’indagine* condotta dall’Istituto di ricerca Demoskopea per Facile.it, sito specializzato anche nella comparazione di tariffe telefoniche (http://www.facile.it/telefonia-mobile.html). Scorrendo i dati dell’indagine si scopre che il 53% dei conti telefonici femminili non supera i 10 euro al mese.
Il profilo delle donne al cellulare tracciato da Demoskopea e Facile.it grazie alle interviste condotte su un campione rappresentativo della popolazione italiana, evidenzia come esse non siano assolutamente tecnomaniache e se, a livello nazionale, il 20% degli utenti di telefonia usa ancora un cellulare tradizionale, quando si centra l’analisi sul solo universo femminile, continua a preferire la tastiera il 24,2% del campione.
Escludendo WhatsApp, usata dal 58,1% delle donne al telefono rispetto al 57,8% del totale nazionale, le donne sembrano essere meno amanti delle tecnologie legate al mondo degli smartphone: il 63,5% naviga in Internet dal cellulare (contro il 67,8% del campione totale); usa la posta elettronica da telefono il 55% delle intervistate (60,8% il campione totale); si collega ai social network dal cellulare il 45,4% (vs 49%); utilizza Skype su mobile appena il 17,7% (vs 20,4%). È soprattutto nell’uso delle app che si allarga il divario fra l’universo totale e quello femminile: se a livello nazionale scarica applicazioni sul telefono il 55,2% degli intervistati, la percentuale scende al 48,1% fra le donne e risale al 62,9% fra gli uomini. Da evidenziare, invece, come le signore continuino ad amare SMS ed MMS (92,3% contro l’87,9% dei maschi).
Come detto, lo stereotipo che dipinge le donne come responsabili di grandi costi telefonici si è rivelato sbagliato e, anzi, la loro attenzione alle spese del cellulare è dimostrata anche dal fatto che, nei 12 mesi precedenti alla rilevazione, oltre il 94% delle intervistate abbia valutato di sottoscrivere un piano telefonico diverso o migrare verso un altro operatore. Nel 77% dei casi, fra l’altro, a spingere al cambiamento è stata proprio la volontà di risparmiare. Risparmio che, sempre secondo l’indagine, è stato effettivamente conseguito dal 90,4% di chi ha cambiato.

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Cellulari: il 20% degli italiani usa ancora quelli tradizionali

Tutti pazzi per gli smartphone? A ben guardare forse no. Secondo l’indagine condotta da Demoskopea per Facile.it (http://www.facile.it/telefonia-mobile.html), comparatore specializzato anche nel settore delle tariffe telefoniche, il 20,5% degli italiani usa ancora un telefono tradizionale e non cede al fascino di quelli di nuova generazione. A preferire i tasti al touch screen sono soprattutto le donne: fra di loro la percentuale di chi ha ancora un telefono tradizionale è il 24,2% , mentre ci si ferma al 16,3% se si guarda all’universo maschile.
L’istituto di ricerca ha intervistato per conto del portale un campione rappresentativo dell’universo degli italiani che hanno già compiuto i 15 anni* – equivalente a circa 40,5 milioni di individui – mettendo in luce molti dettagli particolarmente interessanti riguardo al rapporto dei nostri connazionali con il proprio cellulare.
Nonostante l’opinione diffusa e lo stereotipo comune che dipinge l’italiano medio come un cellulare-dipendente il 66% del campione ha dichiarato di possedere un unico numero di cellulare (la percentuale di chi tiene in tasca un solo telefono sale ancora di più al Nord Est, dove arriva addirittura al 71,5%) per il quale spende in media molto poco. Il 67% del campione totale non supera la soglia dei 15 euro mensili e addirittura un italiano su 3 (33,2%) riesce a spendere una cifra compresa fra i 9 e i 10 euro, che si riducono a meno di 8 euro per il 16,6% degli intervistati (19,2% nel Nord Ovest).
Siamo un popolo di risparmiatori telefonici? Forse sì, dato che nel mercato italiano, sempre secondo i dati ricavati dall’indagine condotta da Demoskopea per Facile.it, l’89% degli utenti preferisce ancora la scheda ricaricabile al contratto, riuscendo così a limitare eventuali “sforamenti” di budget che potrebbero verificarsi con un abbonamento. Comportamento, questo, in linea con l’orientamento degli italiani anche in fatto di devices: secondo i dati di mercato, nell’ultimo anno le vendite di smartphone di prezzo compreso tra 85 e 130 euro sono cresciute del 65%.
«Sono molti i fattori che hanno contribuito a ridurre le spese di telefonia cellulare degli italiani – ha dichiarato Paolo Rohr, Direttore BU Utilities e Telefonia di Facile.it. – Da un lato la forte concorrenza e la riduzione delle tariffe offerte sul mercato che, è bene ricordarlo, in un tempo relativamente breve si sono ridotte di quasi il 20%, ragion per cui diventa ancora più importante confrontare le proposte delle compagnie; dall’altro la diffusione sempre più massiccia di strumenti di messaggistica gratuita. Dall’indagine – continua Rohr – è emerso, ad esempio, che quasi il 58% degli intervistati usa abitualmente Whatsapp, con evidenti vantaggi sulle spese».

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Italiani e salute: uno su due si rivolge al web per risolvere i suoi problemi

Il “dottor Web” si conferma una soluzione a cui sempre più italiani ricorrono per trovare spiegazione e rimedi ai loro problemi di salute: secondo i risultati dell’ultima indagine di Dottori.it, il 49,1% della popolazione ammette di usare spesso internet alla stregua di un vero e proprio consigliere del benessere.
Il portale che riunisce i medici specialisti italiani (www.dottori.it) ha chiesto all’Istituto di ricerca Demoskopea di intervistare un campione rappresentativo dell’universo di riferimento in Italia, pari a circa 37milioni di individui tra 18 e 65 anni. Nonostante gli appelli a un uso prudente quando si parla di salute, internet rimane un punto di riferimento per molti italiani. Il 22,4% ha addirittura ammesso di averlo usato almeno una volta al mese nell’ultimo anno per trovare risposte a dubbi e problemi inerenti alla sfera della sanità.
Ma per quali disturbi si usa maggiormente la rete per reperire informazioni? I problemi alimentari svettano in cima alla classifica delle risposte e ben il 42,7% degli intervistati li indica come oggetto della loro ricerca online. Seguono le malattie dermatologiche che sono state segnalate dal 39,7% del campione intervistato. A dimostrazione del fatto che il sesso e i disturbi all’apparato riproduttivo siano ancora un tabù per molti italiani, il 28,5% di chi ha risposto ha ammesso di cercare nel web un’alternativa al faccia a faccia con il proprio medico. Questa percentuale sale addirittura al 37,7% fra le donne, meno interessate alle allergie rispetto agli uomini (34,7% contro 45%).
Alla rete ci si rivolge quasi esclusivamente per la salute propria: l’87,6% indica se stesso come persona per cui si cercano le informazioni online. Il 29,6% lo fa invece per il proprio partner e il 21,4% per un altro familiare. I figli sono l’eccezione, quando si tratta di loro sono molte meno le persone disposte a cercare rimedi e risposte in rete (19,6%).
Gli italiani, stando allo studio, ripongono molta fiducia in ciò che trovano online: ben più della metà degli intervistati (62,8%) ha risposto di fidarsi abbastanza di ciò che trova sul web. Solo l’1% ha risposto di non credere affatto a ciò che legge in rete.
«Internet è senz’altro la più grande fonte di informazioni che l’uomo ha a sua disposizione. Ma quando si parla di medicina e della propria salute, può essere pericoloso utilizzarlo al posto di un dottore. – dichiara Vito Ciardo, General Manager di Dottori.it – Rivolgersi al proprio medico di base o a uno specialista rimane l’unica cosa giusta da fare quando si ha un problema e la rete può essere lo strumento giusto per rintracciare il professionista più competente. Anche i medici ormai sono consapevoli dell’importanza del web e si stanno mettendo al passo coi tempi per trovare in rete un contatto quanto più immediato possibile con i loro pazienti.»
«Nello studio che abbiamo realizzato per il portale Dottori.it – ha dichiarato Stefano Carlin, Amministratore Delegato di Demoskopea – abbiamo osservato come le donne si confermino le più attente ai temi della salute e come siano loro quelle che consultano maggiormente il web per il loro benessere. Nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 34 anni, sale al 26,9% la percentuale di chi dice di usare molto spesso la rete per i suoi problemi di salute. Anche il grado di istruzione influisce molto in questo tipo di comportamenti ed è tra i laureati si registra un ricorso più frequente al web.»

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Un lombardo su 4 prende farmaci senza interpellare il medico

L’automedicazione è una pratica che i lombardi praticano in misura maggiore rispetto alla media italiana: secondo i risultati dell’ultima indagine di Dottori.it, il 25% dei cittadini della Lombardia ha assunto, negli ultimi dodici mesi, dei farmaci con obbligo di prescrizione senza consultare il medico.
Questo il risultato principale dell’indagine che il portale, che riunisce i medici specialisti italiani (http://www.dottori.it), ha chiesto di condurre all’Istituto di ricerca Demoskopea, che ha intervistato un campione rappresentativo dell’universo di riferimento in Italia, pari a circa 37milioni di individui tra 18 e 65 anni, con un focus specifico relativo alla Lombardia: la regione supera di poco la media nazionale (23,7%).
I farmaci più usati in autonomia in Lombardia sono gli antidolorifici, indicati dal 59% degli intervistati (contro il 55,1% di media nazionale). Non mancano, però, gli antibiotici, farmaci utilissimi ma che vanno tassativamente utilizzati dietro il consulto medico, perché un uso improprio (non solo in termini di dosaggio, ma anche di orari di utilizzo e durata della terapia) può rivelarsi inutile, se non persino dannoso. Eppure, il 29% del campione ammette di averli usati di sua spontanea volontà: percentuale, tuttavia, inferiore al 37% registrato a livello nazionale.
Meno preoccupanti rispetto alla media nazionale sono i dati relativi all’utilizzo in autonomia di antistaminici (indicati dal 12% del campione, contro il 37,3% nazionale) e gli antipiretici (5,9% contro il 20,3% registrato a livello Italia): tipologie di farmaco per cui è indispensabile sapere che esiste la possibilità di incappare in fenomeni allergici o di sensibilizzazione al principio attivo.
Se questi sono i dati, è facile pensare ad un eccesso di leggerezza che riguarda la Lombardia come il resto d’Italia; eppure, un terzo dei lombardi che hanno assunto farmaci con obbligo di ricetta senza il confronto con il medico si ritiene poco imprudente nell’averlo fatto (35% del campione, percentuale quasi identica a quella nazionale), contro il 23,5% che invece ammette di essere abbastanza imprudente. Del tutto sicuro delle proprie azioni il 12% degli intervistati lombardi.
«Se i piccoli fastidi che interferiscono con lo svolgimento delle nostre attività quotidiane possono essere affrontati e curati efficacemente anche senza il consulto con un medico – dichiara Vito Ciardo, General Manager di Dottori.it – quando si deve ricorrere a farmaci che vengono venduti tramite prescrizione è fondamentale ricorrere all’intervento di uno specialista, in grado di offrire un supporto tecnico, oltre che un sollievo psicologico di grande importanza. Contattare uno specialista è oggi più semplice, perché sono sempre di più i medici che ricorrono al web per velocizzare i processi di comunicazione con il paziente.»

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Cellulari: negli ultimi tre anni il 29% degli italiani ha cambiato operatore telefonico

La volontà di risparmiare rende gli italiani un popolo di “traditori”, anche al telefono: se c’è la possibilità di ridurre le spese siamo pronti a rinunciare al nostro operatore di telefonia mobile per sfruttare iniziative e promozioni. È questa l’evidenza più significativa risultante dall’ultima indagine di Facile.it (http://www.facile.it), principale sito di comparazione specializzato anche nel confronto delle tariffe telefoniche.
Il portale ha chiesto all’istituto di ricerca Demoskopea di intervistare un campione rappresentativo dell’universo di riferimento in Italia, pari a circa 40,5 milioni di individui di età superiore ai 15 anni*. Le loro risposte parlano chiaro: negli ultimi 36 mesi il 67% degli italiani ha valutato l’ipotesi di un cambio nel suo piano tariffario e il 52% l’ha effettivamente sostituito, cambiando compagnia telefonica nel 29% dei casi.
La motivazione più ricorrente che spinge alla valutazione di un nuovo piano tariffario o di una nuova compagnia è il risparmio: l’85% di chi ha cambiato operatore l’ha fatto perché attratto da prezzi più vantaggiosi. Segue il bisogno di trovare una tariffa più conveniente per la navigazione, legata magari all’acquisto di uno smartphone (27%) e solo in terza battuta la ricerca di una migliore ricezione o copertura di rete (23%). Anche chi si è limitato a cambiare soltanto la tariffa, e non l’azienda, l’ha fatto ugualmente per risparmiare (66%) ma anche perché, nel tempo, sono mutate le esigenze legate all’utilizzo del telefono (motivazione riportata nel 30% dei casi).
Cambiare conviene? Evidentemente sì, se addirittura il 93% di chi ha una nuova tariffa e/o operatore si reputa soddisfatto della sua scelta: di questi, il 61% quantifica in termini significativi il risparmio ottenuto.
La soddisfazione di aver tagliato i costi ripaga il tempo speso a cercare la proposta migliore, confrontando le diverse offerte delle aziende sul mercato: lungi dall’essere una scelta istintiva, quella del cambio di tariffa e/o operatore è invece ponderata a lungo, visto che il 63% degli italiani che hanno valutato modifiche negli ultimi tre anni ci ha pensato per almeno qualche giorno (il 13% addirittura più di una settimana). La percentuale sale al 71% tra chi poi ha cambiato operatore e al 70% tra chi invece alla fine ha scelto di non cambiare nulla nel suo piano tariffario.
I canali utilizzati per il cambio del piano tariffario sono sostanzialmente tre: i siti internet degli operatori telefonici (58%), i punti vendita sul territorio (39%) e i portali di comparazione delle tariffe (27%), che nonostante la loro relativa novità battono già il tradizionale passaparola tra amici e conoscenti (25%).
Se la fedeltà è virtù di pochi, anche tra coloro che negli ultimi tre anni non hanno mai valutato l’ipotesi di un cambio la variabile determinante è il risparmio: nel 78% dei casi non vi sono state modifiche perché l’attuale tariffa si reputa già vantaggiosa, anche se non manca un 13% di utenti che non cambia nulla perché non ha voglia o tempo di ipotizzare una modifica al suo piano tariffario.
«Questa indagine – dichiara Paolo Rohr, responsabile Business Unit Telefonia di Facile.it – ha messo in luce la costante volontà degli italiani di risparmiare, pur senza rinunciare al telefono cellulare, che diventa sempre più evoluto e necessario alla propria vita quotidiana. Non è un caso che l’ultimo Osservatorio AGCOM abbia rivelato che negli ultimi mesi sono diminuite le sim in circolazione ma è aumentato il traffico telefonico mobile: questi due comportamenti contrapposti sono sintomatici di una progressiva maturazione tanto del mercato della telefonia quanto del comportamento degli italiani nella gestione del telefono cellulare».
«Nell’ambito dell’indagine realizzata per Facile.it – ha dichiarato Stefano Carlin, Amministratore Delegato di Demoskopea – abbiamo potuto sottolineare come tra i più giovani vi sia una maggiore attitudine al cambiamento: tra i nativi digitali, vale a dire gli under 24, la percentuale di soggetti che ha cambiato operatore telefonico sale al 36%, contro il 24% registrato tra chi ha più di 55 anni. Per quel che concerne l’uso degli strumenti di comparazione di tariffe, la fascia d’età che mostra una maggiore dimestichezza è però quella compresa tra i 45 e i 54 anni: tra di loro, l’uso dei comparatori sale al 38%.»

*Indagine condotta basandosi su 500 interviste online con sistema C.A.W.I effettuate a individui di età superiore ai 15 anni, possessori di telefono cellulare personale (non sim aziendale) con spesa sostenuta dall’intervistato o da un suo famigliare o intestata alla propria partita iva (universo di riferimento pari a circa 40,5 milioni di individui). Periodo di rilevazione: 29 settembre – 1 ottobre 2014.

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Un italiano su 4 assume farmaci senza consultare il medico

Il fai da te si applica anche alla salute e l’automedicazione è una pratica che gli italiani conoscono bene, forse anche troppo: secondo i risultati dell’ultima indagine di Dottori.it il 23,4% degli italiani assume farmaci con obbligo di prescrizione senza consultare il medico.
Il portale, che riunisce i medici specialisti italiani (www.dottori.it), ha chiesto all’Istituto di ricerca Demoskopea di intervistare un campione rappresentativo dell’universo di riferimento in Italia, pari a circa 37milioni di individui tra 18 e 65 anni. Le loro risposte parlano chiaro: quasi un intervistato su quattro, negli ultimi dodici mesi, ha assunto autonomamente farmaci che invece richiedevano la prescrizione medica.
Ma quali sono i farmaci più usati in autonomia dagli italiani? La risposta più ricorrente degli italiani è relativa agli antidolorifici, indicati dal 55,1% degli intervistati. Non mancano, però, gli antibiotici, farmaci utilissimi ma che, come ribadisce l’Aifa – l’Agenzia italiana del farmaco – vanno tassativamente utilizzati dietro il consulto medico, perché un uso improprio (non solo in termini di dosaggio, ma anche di orari di utilizzo e durata della terapia) può rivelarsi inutile, se non persino dannoso. Eppure, il 37% del campione ammette di averli usati di spontanea volontà: addirittura, questo dato sale al 42,9% nella fascia di età compresa tra i 45 e i 54 anni.
Molto utilizzati in autonomia dal proprio dottore sono gli antistaminici (indicati dal 28,8% del campione) e gli antipiretici (20,3%), nonostante per entrambe le tipologie esista la possibilità di incappare in fenomeni allergici o di sensibilizzazione al principio attivo. Addirittura, il 5,9% del campione dichiara di aver assunto, negli ultimi dodici mesi, degli psicofarmaci senza chiedere un confronto con il medico – percentuale che sale oltre il 10% se si isolano le risposte degli intervistati di età compresa tra i 25 e i 34 anni.
Siamo un popolo di sconsiderati? I numeri dicono questo, ma un terzo di chi ha assunto farmaci con obbligo di ricetta senza il confronto con il proprio medico si ritiene poco imprudente (34,7% del campione), contro il 29,7% che invece ammette di essere abbastanza imprudente – percentuale, questa, che sale fino al 34% tra i laureati e al 37,5% tra i giovani fino a 24 anni. Del tutto sicuro delle proprie azioni il 14,4% degli intervistati.
«Se i piccoli fastidi che interferiscono con lo svolgimento delle nostre attività quotidiane possono essere affrontati e curati efficacemente anche senza il consulto con un medico – dichiara Vito Ciardo, General Manager di Dottori.it – quando si deve ricorrere a farmaci che vengono venduti tramite prescrizione è fondamentale ricorrere all’intervento di uno specialista, in grado di offrire un supporto tecnico, oltre che un sollievo psicologico di grande importanza. Contattare uno specialista è oggi più semplice, perché sono sempre di più i medici che ricorrono al web per velocizzare i processi di comunicazione con il paziente.»
«Nell’ambito dell’indagine realizzata per Dottori.it – ha dichiarato Stefano Carlin, Amministratore Delegato di Demoskopea – abbiamo potuto sottolineare come tra i più giovani emerga un uso più disinvolto dei farmaci e dell’automedicazione: tra gli under 24 la percentuale di chi usa medicinali senza confrontarsi con uno specialista supera il 27%. Più attenti gli adulti e gli anziani, forse per una più radicata abitudine al consulto medico: l’automedicazione con farmaci con obbligo di ricetta tra gli over 55 si abbassa al 18%.»

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Italiani e controlli medici, più attenti al sangue che a occhi e denti

Sarà per colpa della crisi economica che spinge a tagliare su tutti gli aspetti della propria vita, o sarà per colpa della paura di scoprire eventuali malattie, ma gli italiani evitano di controllare frequentemente occhi e denti, mentre risultano più attenti circa lo stato di salute del proprio sangue: questa è la sintesi dell’indagine condotta per Dottori.it (www.dottori.it) dall’Istituto di ricerca Demoskopea. Il portale che riunisce i medici specialisti italiani ha chiesto all’Istituto di intervistare un campione di 37mila cittadini tra 18 e 65 anni: l’obiettivo era capire che rapporto avessero gli italiani con i check up, indispensabili armi di prevenzione e monitoraggio di eventuali disturbi e patologie.

Le risposte degli italiani parlano chiaro: sono le analisi del sangue quelle per cui vi è una maggiore attenzione. Vuoi perché è il medico di base a richiederle, vuoi perché sono uno strumento prezioso per intercettare eventuali malattie, ma oltre 4 italiani su 10 dichiarano di averle effettuate negli ultimi sei mesi (42,2%). Il 18%, di contro, ammette la propria disattenzione, affermando di non fare prelievi da oltre due anni. Nel dettaglio, sono i più giovani i più disattenti: tra i 18 e i 24 anni quest’ultima percentuale cresce drasticamente, arrivando al 28,8%.

Sarà perché più costoso, o perché annoverato spesso tra gli incubi degli italiani alle prese con la salute, ma andare dal dentista sembra incutere più timore di un prelievo sanguigno: in questo caso scende la percentuale di chi dichiara di essersi controllato negli ultimi sei mesi (34,9%) e sale quella dei disattenti. Oltre un italiano su cinque (il 22,8% del campione censito) non effettua un controllo ai denti da più di due anni. In questo caso, le fasce d’età più disattente sono quelle che comprendono gli italiani tra i 25 e i 34 anni e quelle tra i 45 e i 54. Analizzando le differenze di sesso, quella che sorprende è la maggiore incuria dimostrata dalle donne, solitamente più attente alla sfera della salute: tra di loro la percentuale di chi non si controlla i denti da più di due anni sale al 25,4%, contro il 20% degli uomini.

Ancora minore è l’attenzione che gli italiani sembrano mostrare nei confronti della propria vista: il 29,7% del campione censito non si controlla da più di due anni. Quasi un italiano su tre, quindi, mentre solo il 23,4% dichiara di aver effettuato un accertamento negli ultimi sei mesi. Gli occhi sembrano non essere un problema soprattutto per i più giovani: tra i 18 e i 24 anni la percentuale di chi non compie controlli da oltre due anni sale addirittura al 45,8%. Va meglio, invece, tra i cittadini di età compresa tra i 55 e i 65 anni, che nel 29,4% dei casi dichiarano di aver fatto un check-up alla vista negli ultimi sei mesi.

Fin qui l’andamento a livello nazionale: ma cosa cambia lungo lo stivale? A livello generale, si scopre la particolare situazione della Liguria, che si trova sempre sul podio delle regioni più disattente ai controlli, anche se l’area geografica del Sud e delle Isole è quella mediamente con la performance peggiore. Tra le più virtuose, invece, L’Emilia Romagna, il Friuli-Venezia Giulia e il Lazio.

«Sebbene le alte percentuali riscontrate denuncino la disattenzione di molti italiani, dovuta anche alla crisi economica che spinge a tagliare persino sui controlli – dichiara Vito Ciardo, General Manager di Dottori.it un segno in controtendenza che ci fa ben sperare per il futuro è la crescita del numero di chi consulta la rete per cercare un medico specialista presso cui fare prevenzione, che resta lo strumento principale con cui proteggersi dalle malattie.»

«Grazie all’indagine realizzata per Dottori.it ha dichiarato Stefano Carlin, Amministratore Delegato di Demoskopea siamo stati in grado di evidenziare come l’attenzione alle tematiche della salute sia strettamente legata tanto all’età, quanto al titolo di studio, visto che a un grado di istruzione maggiore corrisponde una sensibilità più spiccata nei confronti del benessere del proprio corpo.»

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Dopo il divorzio…torno a vivere con mamma e papà

Dimenticate i divorzi milionari, gli assegni a dieci zeri, le spartizioni di grandi patrimoni immobiliari: la separazione, per i comuni mortali, determina una situazione di difficoltà in cui uno degli elementi di attrito maggiore è la casa. A questo proposito, il portale Immobiliare.it rivela come ben 167.000 italiani divorziati, o attualmente in fase di divorzio, siano tornati a vivere con i propri genitori.
Il dato è solo la punta dell’iceberg di un’indagine più complessa realizzata per il portale dall’Istituto di ricerca Demoskopea cui Immobiliare.it ha chiesto di intervistare un campione rappresentativo dei circa 2.700.000 divorziati e separati italiani, per capire in primis cosa fosse successo alla casa coniugale, ma anche quale fosse la loro attuale situazione abitativa.
Ebbene, 2 divorziati su 3 non vivono più nella casa in cui abitavano da sposati che nel 43,4% dei casi resta al partner, ma meno di un terzo delle volte questi ha con sé i figli. Vivono ancora nella casa coniugale il 28,9% degli uomini separati e il 37,2% delle donne separate; oltre i cinque anni dalla fine del matrimonio occupa ancora la casa coniugale meno di un divorziato su 5 (19,2% degli intervistati).
Il primo anno dalla separazione è senza dubbio il più difficile anche da un punto di vista economico e, dall’indagine, emerge come entro i dodici mesi la maggior parte dei separati viva ancora nella casa coniugale (57,8%) – magari assieme all’ex partner – mentre un quarto del campione vada a vivere in affitto (26,6% fra chi è separato da meno di un anno) e più di 1 su 10 torni con la famiglia di origine (10,9%).
La percentuale generale di chi torna a casa da mamma e papà si assesta al 6,2%, senza alcuna distinzione di comportamento tra uomini e donne: in numeri, parliamo di 167.000 italiani che tornano a fare i figli svariati anni dopo l’uscita dal loro nucleo originario. Più che differenze di genere, si notano comportamenti diversi sia in base alla regione di appartenenza – la percentuale arriva addirittura al 7,6% se isoliamo le regioni del Sud Italia – sia in base all’età: tra i separati under 35, infatti, il 13,4% del campione è tornato a vivere con i genitori. Evidentemente, la giovane età non ha permesso di mettere via risparmi sufficienti per ricostruire un’autonomia abitativa e tornare con la famiglia di origine sembra essere una soluzione conveniente, soprattutto nel caso in cui non ci siano ancora dei figli che esigono “spazio”.
Va detto, ad ogni modo, che dopo 5 anni dalla fine del matrimonio continuano a vivere con la famiglia di origine solo 43.000 persone (3,3%): segno che il ricorso al supporto della famiglia, perlomeno per quanto riguarda l’ospitalità, resta momentaneo.

Il profilo del divorziato. L’analisi fatta da Demoskopea per Immobiliare.it è stata anche in grado di tracciare un profilo aggiornato di chi oggi si separa in Italia. Prima di tutto colpisce come siano numerosi i giovani divorziati – nel 24% dei casi chi è coinvolto nella fine di un matrimonio non ha ancora compiuto 35 anni – e come non esistano più distinzioni geografiche nelle separazioni italiane; il 27% dei separati o divorziati risiede nel Nord Ovest, il 23% nel Nord Est, il 25% nel Centro Italia e ancora il 25% nel Sud o nelle Isole; più di un terzo dei divorziati, invece, risiede nei grandi centri urbani (34% in comuni con più di 100.000 abitanti). Il dato più triste è quello che evidenzia come, nell’80% dei casi, le separazioni avvengano in famiglie con figli i quali, il più delle volte, non hanno ancora compiuto i 10 anni.

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610.000 divorziati in Italia pagano ancora il mutuo della loro casa coniugale

Mai come in tempi di crisi economica separarsi non è un buon affare. Questa è la sintesi dell’indagine condotta per Immobiliare.it dall’Istituto di ricerca Demoskopea che ha intervistato un campione rappresentativo dei circa 2.700.000 divorziati e separati italiani per evidenziare le conseguenze che una separazione ha sull’economia personale, con un’attenzione particolare all’argomento casa, elemento cardine attorno a cui ruota la vita della famiglia.
Complessivamente in Italia 610.000 divorziati stanno ancora pagando le rate del mutuo ottenuto per comprare la casa coniugale (22,6%), ma se ad un anno dalla fine della relazione questa percentuale sale fino al 54,7%, fra chi è separato da più di cinque anni crolla al 5,4%. Dopo la fine del matrimonio più della metà delle persone prova a chiedere un nuovo mutuo alle banche (46,2% del campione, equivalente a 1.248.000 persone), ma quasi la metà di loro si è visto negare la concessione.
«La fine di un matrimonio è uno degli eventi psicologicamente più provanti – ha dichiarato Carlo Giordano, Amministratore Delegato di Gruppo Immobiliare.it – e purtroppo ad esso sono spesso legate altre questioni da gestire, come il diritto di continuare a vivere nella casa coniugale o la difficoltà di riuscire a far fronte ad un nuovo acquisto o all’affitto di un altro appartamento».
Il 42,2% dei divorziati denuncia una condizione economica peggiorata dopo la separazione, soprattutto durante il primo anno (45,3%) e proprio l’impossibilità di far fronte alle spese di una nuova casa spiegano come mai, nei primi dodici mesi successivi alla fine del matrimonio, il 57,8% dei separati dichiari di abitare ancora sotto il tetto coniugale.
Quello che ha messo in luce l’indagine di Demoskopea condotta per Immobiliare.it è come il campione di chi, sia pure separato, vive ancora nella casa matrimoniale sia equamente suddiviso tra uomini (51,5%) e donne (48,5%), segno che la crisi costringe molte coppie ad accettare la condizione di separati in casa, in attesa di trovare una soluzione alternativa e, soprattutto, sostenibile economicamente.
Se in molti casi, quando la coppia scoppia, la soluzione abitativa preferita è quella dell’affitto di un’altra casa (26,6% dei separati da meno di un anno), è importante evidenziare come addirittura il 10,9% dei separati sia costretto a tornare a vivere nella casa dei propri genitori, dimostrando come la famiglia di origine sia, in caso di separazione, un’ancora di salvezza anche economica tanto per gli uomini quanto per le donne visto che, nell’uno come nell’altro caso, la percentuale di quelli che tornano in casa coi genitori è identica.
I dati relativi alle condizioni economiche sono stati molto influenzati dalla provenienza geografica degli intervistati, rivelando alcune differenze importanti fra le varie aree del territorio. Come ha evidenziato il Centro Studi di Immobiliare.it, le case al Centro Italia costano più che altrove (in media 2.718 euro/mq) ed è proprio qui che, di conseguenza, i separati si sentono più poveri (52,4% degli intervistati).
Godono di condizioni economiche migliori gli italiani divorziati che vivono al Nord-Ovest del Paese: tra di loro solo il 34,3% dichiara di risentire delle conseguenze della separazione sulle sue proprie finanze, molto probabilmente perché è proprio nel Nord Ovest che le donne lavoratrici sono più numerose, e quindi economicamente più indipendenti, e dove è meno sentita la differenza di salari fra uomini e donne.
L’indagine condotta da Demoskopea per Immobiliare.it ha evidenziato come, per mettere fine alla diatriba che chi si separa deve spesso affrontare riguardo alla proprietà dell’abitazione, servano in media cinque anni.
Se il 39,6% del totale del campione intervistato risulta essere ancora proprietario dell’abitazione, la percentuale scende notevolmente fra chi si è separato da oltre cinque anni arrivando solo al 23%, tutti gli altri hanno evidentemente raggiunto un accordo con l’ex coniuge o venduto la casa a terzi.
«Grazie all’indagine realizzata per Immobiliare.it – ha dichiarato Stefano Carlin, Amministratore Delegato di Demoskopea – siamo stati in grado di evidenziare un altro aspetto molto interessante: parlando delle nuove condizioni economiche da separati, è molto alta la percentuale di chi si sente più povero fra i divorziati con figli maggiorenni. Facile ipotizzare che queste persone devono far fronte alla fine dell’assegno di mantenimento».

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