L’Avvocato Andrea Castelnuovo affronta alcuni aspetti di criticità sulla prescrizione del farmaco brevetto scaduto tracciando i profili di responsabilità del medico prescrittore.
Occorre verificare se la normativa sul farmaco generico presenti aspetti di criticità a carico del medico prescrittore: è vero che la prescrizione di un farmaco di carattere amministrativo che impegna seriamente il servizio sanitario nazionale e che legittima la consegna della somministrazione di un determinato farmaco che senza prescrizione non può essere assunto, ma non si può dimenticare che il fruitore di questa autorizzazione amministrativa è un paziente che ha il diritto di essere curato nel migliore dei modi possibili.
Se il codice comunitario dei medicinali del 2006 stabilisce le modalità con cui entra in commercio il farmaco generico, altre normative succedutesi nel tempo hanno stabilito il percorso che deve rispettare il medico quando si tratti di prescrivere un farmaco brevetto scaduto.
La prima norma che ha disciplinato il fenomeno è contenuta nell’articolo uno del decreto-legge 27 maggio 2005 n. 87 (convertito dalla legge 149 del 2005): “Il farmacista … è obbligato sulla base della sua specifica competenza professionale ad informare il paziente dell’eventuale presenza in commercio di medicinali aventi uguale composizione in principi attivi, nonchè forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio e dosaggio unitario uguali. Qualora sulla ricetta non risulti apposta dal medico l’indicazione della non sostituibilità del farmaco prescritto, il farmacista, su richiesta del cliente, è tenuto a fornire un medicinale avente prezzo più basso di quello del medicinale prescritto”.
La norma era piuttosto semplice nella sua efficienza operativa: quando un medico prescrive un farmaco a brevetto scaduto e non apponga sulla ricetta la clausola della non sostituibilità (“sic volo”), il farmacista informa il paziente/cliente del fatto che esistono diversi preparati a base del medesimo principio attivo e, su richiesta dello stesso, gli fornisce quello che costa di meno.
Dunque abbiamo un professionista in camice bianco (il medico) al quale la norma attribuisce una facoltà, ossia la facoltà di scegliere se apporre o meno sulla ricetta la clausola di non sostituibilità.
Abbiamo poi un altro professionista in camice bianco (il farmacista) il quale, dopo aver informato il cliente, ha l’obbligo di legge di consegnargli il farmaco che al prezzo più basso. E’ evidente che se la legge attribuisce ad un soggetto la possibilità di scegliere tra varie condotte, gli attribuisce inevitabilmente anche la responsabilità di quelle scene: il medico si è rappresentato che esistono in commercio diversi farmaci aventi lo stesso principio attivo, uno dei quali è l’originator a brevetto scaduto e tutti gli altri bioequivalenti? Ha valutato le ragioni scientifiche che, eventualmente e nel singolo caso, potessero far propendere per la scelta di un farmaco piuttosto che di un altro?
Ora, se il medico non sceglie per il paziente apponendo la clausola di non sostituibilità ad uno dei vari farmaci basati su uno stesso principio attivo, significa che dal suo punto di vista non esiste alcuna differenza tra l’una e l’altra scatola: sono fondamentalmente uguali, per quanto attiene al percorso terapeutico del paziente. Il che, nella stragrande maggioranza dei casi è vero.
Vedremo tra poco, ma è arcinoto ed esula dalle mie competenze meramente giuridiche per entrare in quelle più propriamente scientifiche, che esistono alcuni elementi che possono avere una influenza di carattere medico legale laddove si tratta di scegliere, a parità di principio attivo, un farmaco piuttosto che l’altro: se il farmaco di per sé o in relazione alla tipologia del paziente è un farmaco a indice terapeutico ristretto, probabilmente uno scarto importante nella biodisponibilità tra il farmaco A e il farmaco B potrebbe avere incidenza sull’efficacia della terapia.
Se il paziente ha una intolleranza o un’allergia, probabilmente per lui la questione degli eccipienti assume rilievo: se il mio paziente è celiaco o diabetico, forse è meglio che io mi rappresenti e che gli rappresenti, gestendola per lui e con lui, che esistono in commercio farmaci a base del principio attivo che gli utile che contengono glutine o zucchero tra gli eccipienti.
Se il medico si è rappresentato problema e l’ha gestito, ovviamente non incorrerà in alcuna responsabilità: ovviamente, stiamo dando per scontato che la scelta del farmaco (del principio attivo) sia corretta per il paziente, trattandosi qua di una responsabilità non per aver sbagliato completamente la terapia dando al paziente il principio attivo sbagliato, ma di indagare l’eventuale responsabilità per non aver gestito quale tra i vari preparati a base del medesimo principio attivo il paziente andasse ad acquistare in farmacia.
Se il medico non si è rappresentato il problema e quindi ovviamente non l’ha gestito lasciando che il paziente acquistasse in farmacia il farmaco con il prezzo più basso o, comunque, quello che il farmacista gli ha venduto o che egli stesso ha preferito acquistare in assenza della clausola di non sostituibilità apposta dal medico, è evidente che quella mancata scelta non possa che essere addossata al medico qualora comporti effetti pregiudizievoli per il paziente: caro dottore, non hai tenuto conto del fatto che sono allergico alle proteine della soia, non hai gestito il fatto che quel particolare farmaco avesse tra gli eccipienti proprio la soia, ho avuto una reazione anafilattica per l’esposizione all’allergene e quindi ritengo che questo danno sia ascrivibile alla tua responsabilità.
La regola è semplice e cristallina: se al medico è attribuita una facoltà di scegliere per il paziente (meglio, con il paziente) il farmaco adatto alle sue esigenze terapeutiche, il professionista è tenuto a utilizzare questo strumento con scienza e coscienza sulla base dei dati scientifici che la legge presume egli conosca pienamente.
Tutta questa problematica non è mutata, ma si è acuita, per effetto delle modifiche legislative intervenute nel 2012, quando il legislatore è intervenuto per ben tre volte sulla tematica della prescrizione del farmaco generico.
La prima norma che intervenute nel mese di gennaio 2012 ha apportato una modifica non sconvolgente ma mere specificazioni:
così dispone il decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1, con l’articolo 11, comma 12: Il medico, nel prescrivere un farmaco, è tenuto, sulla base della sua specifica competenza professionale, ad informare il paziente dell’eventuale presenza in commercio di medicinali aventi uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio e dosaggio unitario uguali. Il farmacista, qualora sulla ricetta non risulti apposta dal medico l’indicazione della non sostituibilità del farmaco prescritto, dopo aver informato il cliente e salvo diversa richiesta di quest’ultimo, è tenuto a fornire il medicinale prescritto quando nessun medicinale fra quelli indicati nel primo periodo del presente comma abbia prezzo piu’ basso ovvero, in caso di esistenza in commercio di medicinali a minor prezzo rispetto a quello del medicinale prescritto, a fornire il medicinale avente prezzo più basso.
Ciò che cambia, in effetti, è un dovere ancora più stringente per il farmacista che è obbligato a fornire il medicinale avente il prezzo più basso, salva diversa richiesta del cliente: nella norma del 2001, invece, il farmacista consegnava al cliente il farmaco meno costoso soltanto se questi gliene facesse richiesta: è una differenza che appare a prima vista di poco conto, ma in realtà rende il percorso ancora più netto rispetto prima.
Abbiamo un medico che ha una facoltà di scelta e un farmacista che non è alcuna, essendo tenuto per legge a dare il farmaco che costa meno.
Il cambiamento epocale è avvenuto invece pochi mesi dopo, quando l’articolo 15, comma 11-bis del DL n.95/2012 (convertito in legge 135 del 7/8/2012) ha introdotto un tema completamente nuovo nel nostro ordinamento che la prescrizione per principio attivo:
la norma di agosto 2012 stabilisce che il medico che curi un paziente,
1) per la prima volta, per una patologia cronica,
2) per un nuovo episodio di patologia non cronica
per il cui trattamento sono disponibili piu’ medicinali equivalenti, e’ tenuto ad indicare nella ricetta la sola denominazione del principio attivo contenuto nel farmaco.
Il medico ha facolta’ di indicare altresi’ la denominazione di uno specifico medicinale a base dello stesso principio attivo; tale indicazione e’ vincolante per il farmacista ove in essa sia inserita, corredata obbligatoriamente di una sintetica motivazione, la clausola di non sostituibilità.
Con Nota del Ministero della Salute del 24/9/2012 si è chiarito che la ricetta risponde a legge se indica il solo principio attivo, ovvero il principio attivo + il nome di un medicinale a base di tale principio attivo. E che non è conforme a legge la ricetta che indichi soltanto il nome di uno specifico medicinale.
Inoltre, il Ministero afferma che la clausola di non-sostituibilità:
- deve essere obbligatoriamente accompagnata da una sintetica motivazione.
- non può fare riferimento alla presunta o dichiarata volontà del paziente
- non può riferirsi, tautologicamente, a generiche valutazioni di ordine clinico o sanitario
- deve succintamente indicare le specifiche e documentate ragioni che rendono necessaria la somministrazione al paziente di quel determinato medicinale, anziché un equivalente (ad esempio, accertata intolleranza del paziente a determinate sostanze comprese fra gli eccipienti di altri medicinali a base dello stesso principio attivo).
Il legislatore del 2012 è intervenuto una terza volta nello stesso anno, ulteriormente modificando (senza alcuno stravolgimento) la norma di agosto.
L’articolo 13 bis del decreto-legge 18/10/ 2012 n. 179 (convertito in legge 17/12/202 n. 221) sostituisce l’art 11 bis del DL 95 come segue:
“Il medico che curi un paziente, per la prima volta, per una patologia cronica, ovvero per un nuovo episodio di patologia non cronica, per il cui trattamento sono disponibili piu’ medicinali equivalenti, indica nella ricetta del Servizio sanitario nazionale la denominazione del principio attivo contenuto nel farmaco oppure la denominazione di uno specifico medicinale a base dello stesso principio attivo accompagnato dalla denominazione di quest’ultimo.
L’indicazione dello specifico medicinale e’ vincolante per il farmacista ove nella ricetta sia inserita, corredata obbligatoriamente da una sintetica motivazione, la clausola di non sostituibilita‘
L’indicazione e’ vincolante per il farmacista anche quando il farmaco indicato abbia un prezzo pari a quello di rimborso, fatta comunque salva la diversa richiesta del cliente”
non vi sono, come si vede, modifiche di eccezionale rilievo.
Effettivamente, con la norma di agosto 2012 il mondo sembra essere davvero cambiato, quanto meno per quanto riguarda i “nuovi” pazienti cronici, posto che per i “vecchi” pazienti cronici continua ad applicarsi la normativa del 2001 così come lievemente modificata a gennaio 2012 (per i vecchi pazienti cronici, quelli già in cura ad agosto 2012, non c’è l’obbligo di succinta motivazione a compendio della clausola di non punibilità, e non c’è l’obbligo della prescrizione per mero principio attivo).
Questa nuova modalità operativa nella prescrizione del farmaco brevetto scaduto è stata salutata, in linea molto generale, dalla classe medica con un certo sfavore, perché sembrava (sembra) che in qualche maniera vincoli il medico a rispettare percorsi burocratizzanti che conculcano la sua libertà di scienza e coscienza quando si tratta di prescrivere il farmaco al paziente.
Tuttavia, la regola è questa e deve essere rispettata e, per poterla rispettare, è necessario conoscerla.
Il fatto che la clausola di non sostituibilità oggi debba essere corredata di una sintetica motivazione non significa che non possa essere apposta, anzi significa che deve essere apposta in ragione delle numerose motivazioni che lo stesso ministero ha evidenziato all’attenzione della classe medica (e che oggi sono addirittura acquisite dai vari supporti e dalle varie piattaforme informatiche in base alle quali si emettono e compilano le ricette).
Ed allora, ecco alcune delle motivazioni che possono essere apposte a sostegno della clausola di non sostituibilità:
A: allergia;
C: celiachia;
L: paziente intollerante al lattosio;
F: paziente affetto da fenilchetonuria (no aspartame);
D: diabetico;
R: motivi religiosi;
C: motivi culturali
Più nel dettaglio: ipersensibilità, intolleranza, interazione o controindicazione ad eccipienti: a titolo esemplificativo:
- parabeni
- coloranti (ad esempio E102, E216, E218)
- olio di arachidi non raffinato
- intolleranza al lattosio, al glutine, all’aspartame nella fenilchetonuria
- glucosio e saccarosio ai diabetici
- interazione dell’alcool etilico con disulfiram e con metronidazolo
- interazione del polipropilenglicole, controindicato nell’insufficienza renale, con disulfiram e metronidazolo
Obiettive difficoltà di assunzione
Ricomprende situazioni di difficile palatabilità o analoghe difficoltà, con particolare riguardo all’ambito pediatrico.
Terapia complessa /Problematiche assistenziali
Difficile gestione del paziente in relazione al deficit cognitivo o sensoriale o di particolare complessità della terapia che possano esporre i pazienti ad errori di assunzione per confusione tra confezioni
Se questo strumentario a disposizione del medico a tutela del proprio paziente e anche della propria responsabilità sia un sufficiente non sta a chi scrive giudicare.
Certo è che si potrebbero immaginare situazioni e contesti diversi: è da vent’anni che utilizzo quel particolare farmaco per i miei pazienti, ho una storia basata sull’evidenza che mi consente di ritenere che non vi siano particolari problemi o che comunque possano essere gestiti in un determinato modo, per quale ragione debbo di punto in bianco cambiare il farmaco ai pazienti che hanno avuto la sventura di ammalarsi dopo il 2012?
Sono, come debbo essere, un accanito lettore della letteratura scientifica, so riconoscere l’importanza degli studi clinici e della farmacovigilanza, so che studi e letteratura difficilmente contemplano differenze nella biodisponibilità (fatti salvi, ovviamente, quegli studi che indagano specificamente il tema della bioequivalenza): posso decidere, in scienza e coscienza, che il farmaco tradizionale che è stato usato negli studi e analizzato in letteratura sia quello che voglio dare al paziente e non anche uno che sia “solo” bioequivalente?
Posso valutare e decidere se un determinato produttore sia più affidabile di quello che ieri mattina ha immesso in commercio il farmaco che costa di meno?
Posso, ancora, tenere in considerazione che il mio paziente è una persona in difficoltà e che anche la sua percezione ha un rilievo nel percorso terapeutico, e che se gli cambio la pillola o la scatola probabilmente potrebbe avere la percezione che la vecchia terapia (che peraltro funzionava benissimo) in realtà non andava bene e che gli sto facendo sperimentare un qualche cosa di nuovo?