I genitori, così come gli psicologi, i sociologi e i filosofi, oggi stanno constatando una mancanza di motivazione da parte degli adolescenti, molti dei quali sembrano affrontare la vita e le sue sfide con un atteggiamento passivo e di pigrizia predominante nei vari ambiti. Molti genitori stanno riscontrando nei loro figli adolescenti una difficoltà nell’immaginazione e nella creatività, unite ad un interesse quasi esclusivo per i social media.
Il dibattito odierno si sta focalizzando sulle possibili cause socio-culturali che hanno condotto a questa tendenza, poiché si rileva tra le giovani generazioni un impressionante aumento di psicopatologie come ritiro sociale, disturbi alimentari, depressione, dipendenza dalla tecnologia, tossicomania e dipendenze patologiche in generale. Ognuno di questi fenomeni, naturalmente, ha una sua rilevanza clinica, ma molti psicologi si sono interrogati su quale possa esserne il denominatore comune. Queste svariate forme di disagio giovanile, infatti, costituiscono un segnale di allerta che non si può ignorare. E’ paradossale che oggi la depressione investa in modo privilegiato le giovani generazioni piuttosto che accompagnare la vita nella fase del suo naturale declino, così com’è assurdo che, proprio nell’età in cui il mondo dovrebbe apparire come una fonte inesauribile di stimoli e di opportunità, i giovani scelgano guardarlo solo attraverso uno schermo, rinchiusi nelle loro stanze.
Secondo il parere di molti esperti, alla base di questo disagio contemporaneo vi è la fatica soggettiva a desiderare, dove il desiderio rappresenta l’esperienza umana che più è capace di infondere energia vitale e muovere verso una direzione. Sembra che le giovani generazioni di oggi conducano un’esistenza priva di desiderio, e quindi più spenta.
Cosa ha causato prevalentemente questa crisi del desiderio?
Sicuramente tale condizione deriva da una trasformazione sociale molto profonda. Tale processo di metamorfosi è stato innescato dal capitalismo, che ha prodotto una sorta di “feticismo delle merci”, come lo ha chiamato Karl Marx, o “totalitarismo dell’oggetto”, per dirla con le parole di Massimo Recalcati. Se in passato il senso della mancanza faceva scaturire il desiderio, oggi, in una realtà ricca di oggetti e possibilità, non c’è spazio per sperimentare quella mancanza. Nell’epoca attuale i ragazzi sono iperstimolati dagli oggetti, dai grossi regali che ricevono spesso senza neanche averli desiderati, che probabilmente non ameranno e di cui si disinteresseranno presto. Il paradosso è che tutti questi oggetti, offerti illimitatamente, non soddisfano mai, ma generano sempre nuovi vuoti. Il mercato infatti presenta l’oggetto di consumo con la promessa di “riempire”, ma in realtà l’oggetto stesso diviene qualcosa che svuota, diventando ben presto obsoleto e inutile, e creando la necessità di sostituirlo al più presto con un oggetto nuovo.
Ecco che la mancanza è annullata, e diventa un vuoto nichilistico in cui prende forma la dipendenza dagli oggetti.
Anche i rapporti tra esseri umani rischiano di essere mercificati. C’è il pericolo che i nostri ragazzi credano che anche l’amore abbia una scadenza, che sia destinato ad avariarsi, e questo cancellerebbe l’esperienza della fedeltà e alimenterebbe il mito che la soddisfazione sia sempre nel nuovo.
Inoltre, nell’età dell’adolescenza il legame con l’altro sesso è una zona di turbolenza, in quanto fonte di grande curiosità ed eccitazione, ma anche grande pericolo. Di fatto, in presenza di un’insicurezza e sfiducia nei legami, nel timore costante di essere trascurati o abbandonati, alcuni potrebbero arrivare a preferire l’oggetto alla relazione con l’altro, poiché l’oggetto si ha la sicurezza di trovarlo dove lo si è lasciato, mentre le persone sono libere di andare via.
Ecco che, laddove esista una profonda inquietudine nelle relazioni, l’oggetto diventa un analgesico che anestetizza emozioni e sentimenti, facendosi antidoto all’angoscia.
Oltre a ciò, i giovani odierni svolgono tante attività e difficilmente sperimentano l’esperienza della noia, che in realtà è uno stimolo all’immaginazione e foriera di atti creativi.
La mancanza di quel profondo senso di motivazione verso un obiettivo che appassiona, e quindi l’assenza di prospettive entusiasmanti, porta a pensare al futuro con una recondita angoscia. Anche in questo caso il modo per sfuggire all’angoscia è la ricerca di anestesia attraverso un oggetto che diventa irrunciabile (cibo, alcool, stupefacenti, videogiochi…).
“La demotivazione è l’ anticamera della depressione, e la depressione quando è grave diventa l’anticamera del gesto estremo.” (U. Galimberti)
Come evitare la crisi del desiderio?
Il vero antidoto a questo malessere è nutrire e coltivare un sentimento trascinante di dedizione nei confronti di un’idea, un progetto, una persona, una disciplina, in una parola, l’amore. Questo amore che ha la capacità di animare la mente e il corpo, è anche il miglior modo di esprimere la propria soggettività e unicità, e permette di cogliere il “senso della vita”, cioè un profondo ed intimo sentimento di speranza per cui valga la pena vivere, e grazie al quale vivere sia un’esperienza di piacere, godimento, qualità, gioia. Un sentimento che dà sapore alla vita.
Un giovane animato dall’amore verso qualcosa è un giovane con uno scopo, e non è necessario che questo sia stabile ed immutato nel tempo, poiché il significato stesso della crescita risiede nella capacità di cambiare scopi in base alle contingenze e ai contesti che variano nel corso della vita. Un giovane che sa essere felice è un giovane capace di porsi obiettivi ed è voglioso di raggiungerli. È quindi un giovane con grinta. Allora è importante che i genitori e gli insegnanti riescano ad infondere, a partire dall’infanzia, l’amore per tante cose, come le relazioni umane, i legami, le attività, i settori della cultura e dell’arte, la natura. E’ essenziale che sentano la responsabilità di un compito fondamentale: motivare gli adolescenti, e prima ancora motivare i bambini, facendo loro capire quanto sia importante, in questa vita, avere un desiderio.