di Errico Grisot
Molti osservatori politici ed economici concordano nell’affermare che l’attuale situazione di incertezza economica dei mercati non è mai stata così marcata.
Le aziende stanno navigando a vista e il futuro della ripresa economica sembra sempre più lontano e soprattutto controverso. In questi ultimi mesi nella zona euro si sono evidenziate debolezze strutturali suggerite dall’instabilità dei mercati dei titoli di stato. Quest’ultimo fattore di rischio viene gestito dai singoli Stati implementando politiche fiscali più rigorose e più aggressive.
Il mondo produttivo europeo quindi, oltre a subire da qualche anno una difficoltà nell’accesso al credito dovuto alle nuove regole di Basilea, ora affronta anche una recessione globale dei mercati ed in futuro dovrà farsi carico di assorbire un rinnovato rigore della spesa pubblica.
Questo richiede cambiamenti importanti sia per le aziende sia per i singoli lavoratori. Il mercato economico ed il mercato del lavoro imporranno ai propri attori incisivi cambiamenti di comportamento. Il cambiamento nei mercati italiani, europei ed extra europei è diventata una necessità ineluttabile.
Chi non è in grado di concepire ed attuare una modifica delle proprie strategie di medio e lungo periodo non avrà spazio nei prossimi anni. Le aziende italiane, per crescere in un panorama così mutevole mese dopo mese, toccano l’urgenza di sviluppare nuove iniziative commerciali, produttive e nuove soluzioni organizzative che le rendano più adatte ad un clima di incertezza che si sta consolidando. Il mercato del lavoro italiano sta fortemente penalizzando i giovani e coloro che devono riposizionarsi professionalmente.
Quello a cui stiamo assistendo è il consolidamento di mercati instabili cioè mercati in continuo movimento, che se da una parte fanno cadere vecchie certezze, dall’altra non mostrano nuove strade da percorrere.
Incontriamo aziende e imprenditori che quasi vivono alla giornata perché non sono in grado di prevedere cosa potrebbe accadere alla loro struttura tra qualche mese. Quando a settembre l’Italia tornerà dalle ferie di agosto su che mercato si lavorerà? Pochi possono dirlo. Nel nostro paese, oltretutto, per gestire l’emergenza di questi cambiamenti si stanno utilizzando con generosità gli ammortizzatori sociali, ma le indicazioni che provengono dalle istituzioni internazionali spingono affinché queste misure non si protraggano oltre il 2011. Questo significa dover ricominciare a camminare con le proprie gambe in tempi relativamente brevi. Il terreno però non sarà più quello di prima ma completamente diverso.
Sia le aziende che i lavoratori devono sviluppare nuovi paradigmi interpretativi per non percorrere strade infruttuose che non portano in nessun luogo. Le aziende si guardano attorno e si chiedono: dove posso incontrare nuovi clienti che mi facciano crescere apprezzando i miei prodotti o servizi? E i singoli lavoratori allo stesso modo si guardano attorno e si fanno una domanda simile: dove sarà la nuova azienda che mi farà nuovamente crescere professionalmente e mi darà l’opportunità di mantenere e migliorare il mio livello reddituale?
Una risposta a queste due domande non esiste. Per avere una risposta bisogna essere in grado di costruirla, chi non è in grado di costruirsi una risposta non sopravvive e chiude oppure si accontenta e fa dei pericolosi passi indietro. Cominciamo quindi a scomporre il problema e diamo qualche indicazione.
Il modello che la maggior parte delle aziende italiane ha seguito sin qui sta mostrando il fiato corto. Il prodotto o il servizio che veicoliamo è stato concepito fino ad ora come il nostro segno di riconoscimento: quello che noi produciamo racconta la nostra storia ed è così importante che mette in secondo piano tutto. Quindi tutte le nostre energie sono dirette alla costruzione del prodotto. Il budget dell’azienda è fortemente sbilanciato in favore della produzione e della ricerca e sviluppo a scapito dell’area commerciale. L’oggetto che mettiamo in vendita nei nostri negozi, la pizza che serviamo, il lavorato che esce dai nostri torni o dalle nostre macchine è così di alta qualità che racconta a tutti il motivo per cui i nostri clienti ci pagano.
Anche il professionista è abituato a concentrare le proprie energie per la costruzione ed erogazione di un servizio eccellente. Questo è un lavoro importante: il prodotto veicola la nostra immagine ed identità e deve essere impeccabile.
Ma ora il prodotto o il servizio che noi vendiamo è ancora sufficiente per dire al mondo chi siamo e come creiamo valore aggiunto?
Le grandi aziende multinazionali da anni investono quantità enormi di denaro per andare oltre questo concetto: hanno spostato l’attenzione dal prodotto o servizio alla loro immagine ed identità. Fino poco tempo fa riuscire in questo progetto richiedeva ingenti capitali non alla portata delle piccole medie aziende italiane e nemmeno alla portata dei singoli professionisti. Significava infatti comunicare valori e immagini attraverso canali costosi e di grande impatto, solamente le aziende che dovevano rivolgersi ad un ampio pubblico avevano l’interesse a investire in questa direzione.
Ora i canali comunicativi a disposizione sono cambiati e sono diventati accessibili a tutti,
se la grande industria ha investito tanto per spostare l’attenzione dei clienti da un paio di scarpe sportive ad un logo, perché non possiamo fare lo stesso con la nostra azienda o con noi stessi? Questo spostamento è così rilevante che non solo caratterizza il nuovo modo di comunicare delle aziende ma anche dei professionisti e dei singoli lavoratori dipendenti.
Le aziende piccole e medie invece hanno utilizzato fino ad ora strumenti di comunicazione più mirati, basati sulla pubblicizzazione di ciò che producono e di quello che fanno attraverso fiere, cataloghi e brochures. Ma queste attività non danno più lo stesso riscontro del passato, poiché non sono solo i prodotti o servizi che devono attrarre l’interesse dei nostri clienti. La nostra professionalità genera più interesse di ciò che realmente vendiamo, perché è la nostra immagine ed identità professionale che trasmette la fiducia al cliente di ricevere la soluzione giusta alle proprie mutevoli esigenze.
L’aspetto sempre più rilevante della comunicazione della nostra identità professionale è la corretta ed efficace gestione del proprio BRAND. Perché questo contribuisce alla costruzione della fiducia che lega il cliente al proprio fornitore.
In un mercato del lavoro sempre più difficile e competitivo l’attenzione al proprio brand è diventata il punto di partenza nella gestione della carriera lavorativa. Il processo di creazione del proprio “marchio distintivo” si sta estendendo velocemente attraverso le nuove tecnologie dell’informazione. Negli ultimi anni Internet si sta caratterizzando come un ottimo canale comunicativo della propria immagine professionale e personale sia per l’economicità dello strumento sia per la sua efficacia. La rapida crescita dei social network evidenzia questo sviluppo. All’inizio c’erano i siti internet “vetrina” delle singole aziende, ora troviamo le pagine di coloro che creano valore aggiunto alle stesse aziende. Poi ci sono anche le pagine dei loro figli, dei loro nonni. Tutti in qualche modo anche inconsapevolmente stanno costruendo il proprio “personal brand”.
Sia che siate un’azienda, sia un professionista oppure un lavoratore dipendente la costruzione del vostro brand è finalizzato alla realizzazione di tre importanti obiettivi:
1- mostrare una identità credibile, affidabile e soprattutto distintiva della vostra professionalità
2- trasmettere un messaggio convincente agli altri di chi siete e cosa fate
3- facilitare nuove opportunità di collaborazione ed accrescere le vostre relazioni
Questi obiettivi possono essere raggiunti solamente se la vostra attenzione è rivolta costantemente a ciò che nel vostro lavoro crea valore aggiunto. Una volta individuato possiamo trasformarlo in un messaggio da diffondere.
Quando i vostri clienti e conoscenti sentono il vostro nome o il nome della vostra azienda, oppure leggono questo nome su internet, sulla stampa o su una email che avete appena inviato loro, a che cosa pensano?
Quali sono le parole che vorreste che gli altri utilizzassero per definirvi? Quali sono gli aggettivi che i vostri clienti e potenziali clienti oggi utilizzano per descrivere la vostra azienda?
Lo sviluppo e la gestione del brand influenza le risposte a queste domande.
Quando la Apple ha deciso di spiegare al mondo che loro realizzavano prodotti diversi dai concorrenti perché “pensavano delle cose differenti”, ha investito quantità enormi di denaro. Ora invece abbiamo la possibilità di spiegare perché noi siamo differenti dai nostri concorrenti praticamente gratis. La capacità di costruire e diffondere il proprio brand è passata dalle multinazionali ai singoli individui.
Ci sono però due avvertenze da sottolineare: qual è la differenza tra quello che trasmettiamo agli altri e quello che siamo realmente? Se questi due aspetti non sono allineati che cosa si rischia?
Inoltre la diffusione della nostra identità e della nostra immagine è molto appetibile verso aziende che hanno bisogno di raccogliere date sui propri consumatori per poter comunicare direttamente con loro. Il piccolo prezzo che paghiamo per poter diffondere il nostro brand sono le informazioni su di noi che sono utili ad altri.
La creazione del proprio brand coinvolge numerosi aspetti che vanno considerati attentamente per non rischiare di utilizzare delle tecniche così potenti contro noi stessi. Le aziende, anche di piccole dimensioni e con budget limitati, ormai si affidano a professionisti per curare delicato aspetto della crescita della loro attività. Forse anche da noi qualche singolo professionista farebbe bene ad investire parte del suo budget per la definizione e corretta diffusione del proprio unico brand.
Per approfondimenti: www.spheragroup.it
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