La masseria in Salento è specchio fedele di uno stile di vita che, portato avanti fino a pochi decenni fa come l’unico possibile, oggi ha saputo realizzare la fuoriuscita dal complesso sistema simbolico arcaico che lo zavorrava e diventare qualcosa di nuovo, come tutela delle tradizioni e dell’autenticità dei prodotti, riappropriazione degli spazi contadini, recupero di un’identità consolidata prima, rinnegata poi, rivalutata oggi. Dall’altra parte, la cultura salentina si è configurata su un’altra eccellenza che, soprattutto dagli anni 2000, si è presa la scena con dirompenza, ovvero la costa che da est a ovest passando per Capo di Leuca impreziosisce il contesto dell’intera provincia di Lecce. Da queste due diverse facce di un’unica e frastagliata dimensione territoriale si sono sviluppati due diversi tipi di turismo, entrambi importantissimi per l’economia del luogo ma totalmente diversi nel modo di interpretare e di scoprire la realtà salentina. Non si può certo parlare di conflitto né di divergenza tra i due, trattandosi di due fondamentali risorse locali, ma è altro e tanto vero che da questi due approcci ne deriva una riscoperta del Salento del tutto differente; relax vs divertimento, naturalezza vs trambusto , calma vs passionalità.
Ovviamente, ai due sistemi presi in considerazione corrispondono target totalmente diversi per età, aspettative, possibilità di spesa e cercare di sospingere un tipo di turismo a discapito di un altro si rivelerebbe totalmente errato; sono la risposta più naturale a due tipi di domanda differenti e, per certi versi, inconciliabili. Non si può chiedere alla comitiva di ragazzi under 25 di cambiare itinerario e gettarsi alla scoperta della masseria in Salento, né alla pacata e tranquilla coppia di mezza età che cerca solo un po’ di relax di buttarsi a capofitto sulla costa gallipolina e dedicarsi a danze selvagge, questo è ovvio. Per tale ragione è da considerarsi sbagliata nella premessa la pretesa di chi condanna il divertimentificio sorto negli ultimi anni in “Salentolandia” etichettandolo come violenza territoriale. È soprattutto quel tipo di turismo che ha permesso al brand Salento di crescere e di sviluppare altre nicchie di mercato, di generare indotti considerevoli, di aumentare la riconoscibilità del marchio. Ben venga dunque questo dualismo inconciliabile, e speriamo che possa non consumarsi mai e che possa continuare ad alimentarsi, magari a sfiorarsi, ma senza che l’uno confluisca nell’altro.