Il mosto cotto (anche detto cotto o sciroppo d’uva) è un prodotto tipico agroalimentare ottenuto da uve molto mature, quindi con zuccheri maggiori rispetto a quelle dell’ordinaria vinificazione (23-25% di zuccheri). Storicamente era anche denominato vincotto o sapa, visto che, assieme al miele ed agli altri possibili succhi di frutta ridotti tramite cottura, era il tipico dolcificante dei nostri avi (lo zucchero di canna o di barbabietola erano allora sconosciuti): sapa o saba derivano infatti dal latino sàpa, in diretta affinità col termine latino sàpor. E’ uno di quelle chicche della gastronomia che è ormai difficile reperire in commercio, visto che rappresenta un prodotto di nicchia da veri intenditori: eppure chi fa del suo mestiere una “mission”, ancora lo propone in vendita!!!!
Tradizionalmente si era soliti produrlo ad ottobre, in tempo di vendemmia, pigiando uva ben matura e filtrandone successivamente il succo ottenuto. In pratica si prendeva un recipiente abbastanza capiente che accoglieva l’uva all’interno, pigiata a dovere per far fuoriuscire il succo dagli acini. Si proseguiva poi con la “diraspatura”, ovvero separando il succo fuoriuscito dalle bucce, dalla polpa e dei raspi (l’ossatura del grappolo che tiene insieme gli acini). Filtrato il succo d’uva con l’ausilio di un colino (per eliminare eventuali piccoli pezzi di polpa o di buccia) si versava il mosto in un pentolone abbastanza capiente (un tempo paioli di rame o pignatte di terracotta ormai sostituiti dall’acciaio inox) in modo da riempirlo poco più della metà (durante la cottura infatti il liquido gonfia). Lasciando bollire a lungo e lentamente (anche per ore!!), sì da ridurne il volume di almeno 3/4 rispetto all’inizio; dopodiché si lasciava raffreddare il mosto all’interno del pentolone prima di versarlo in bottiglie di vetro ben tappate per una ottimale conservazione.
Al termine del processo di preparazione si presenta come un liquido violaceo di densità e viscosità simile a quella dell’olio d’oliva, dal sapore particolarmente dolce, colore bruno scuro, densità tale da mantenere una scorrevole sciropposità, profumo gradevole ed intenso.
Ma ciò che incuriosisce i cultori della buona cucina è l’uso del mosto cotto, diffusissimo ancora ed in particolare al sud. Come da tradizione i contadini erano soliti utilizzare molto la “saba” sia per i dolci casalinghi che per dare più sapore a piatti poveri come la polenta o per intingervi altre pietanze come lo gnocco fritto. Sembra anche che il mosto cotto potesse servire per “governare vini deboli“, ovvero dare sapore, zucchero, colore a vini privi di queste caratteristiche. E l’uso finale determinava anche l‘uva da utilizzare per la sua produzione, preferendo quella bianca, più dolce, ove il mosto servisse come condimento e insaporitore dei piatti; rossa per dare colore al vino. Squisito insieme ai formaggi stagionati e saporiti, il cotto d’uva si accompagna molto bene anche come condimento per l’insalata e come sciroppo per i gelati di crema e di panna.
Una curiosità: tra gli antichi contadini calabresi, all’arrivo dell’inverno e con le prime nevicate, vi era l’abitudine di preparare granite (chiamata “scirubetta”….con evidente attinenza dunque con il termine “sorbetto” di più recente uso) con neve fresca e con il cotto d’uva (o col miele di fichi): una vera delizia per grandi e piccini, visto che il gelato industriale era ancora lontano da venire!!!
….vaghi ricordi di periodi poveri, allo stesso tempo ricchi di grandi soddisfazioni che provenivano da minime cose!!!