«CARA ITALIA, TESTA BASSA E PEDALARE»
DALL’INCONTRO CON BARTALI ALLE PASSEGGIATE IN BICICLETTA SUL DANUBIO, DIECI DOMANDE AL PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA: «PER SALVARE IL PAESE SERVE STABILITÀ POLITICA. E QUALCHE PISTA CICLABILE IN PIÙ»
l numero uno delle banche italiane, l’uomo che – dopo lo scandalo dei derivati di Monte Paschi – dal 31 gennaio di quest’anno ha preso in mano le redini dell’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana. Un incarico di enorme responsabilità istituzionale, specie in questi anni di recessione, ma lui – Cavaliere del Lavoro e presidente della Cassa di Risparmio di Ravenna, già deputato per due legislature e sottosegretario nel Governo Ciampi – è per tutti “l’uomo giusto al posto giusto”.
Editore e giornalista, grande studioso del Risorgimento Italiano, con un radioso passato nel Partito Liberale Italiano, Patuelli è oggi uno degli uomini più influenti del mondo economico italiano.
Presidente Patuelli, anche nelle cosiddette foto istituzionali lei è spesso ritratto in sella alla sua bici Milano.
«E non è un caso. Quando sono a Ravenna, vado al lavoro ogni mattina in bicicletta e anche nella mia famiglia, fin dalle origini direi, si è sempre pedalato tanto.»
Da ciclista, e dunque da “utente debole” della strada, come giudica gli standard di sicurezza delle strade italiane?
«La situazione generale, rispetto ad altre realtà europee, è molto più critica, anche se non mancano le eccezioni virtuose. Penso alla Romagna, con le sue piste ciclabili naturali in pineta, e penso soprattutto all’Alto Adige, dove il cicloturismo è sì un segmento turistico, ma è soprattutto un fatto culturale. Non basta una linea di vernice sull’asfalto per creare una pista ciclabile, servono alti
standard di sicurezza ed una seria politica del traffico urbano pen- sata per i ciclisti. Oltre confine, come in Austria ad esempio, la si- tuazione è molto più emancipata. Ho chiesto, di recente, all’ufficio turistico di Vienna una mappa aggiornata dei percorsi cicloturistici che costeggiano il Danubio e sono stato sommerso da cartine e proposte. Accolgo sempre con favore i progetti, spesso finanziati dall’Unione Europea, per la realizzazione di nuove piste ciclabili, ma non posso fare a meno di sottolineare come, in Italia, da questo punto di vista, si possa e si debba fare di più.»
Un ricordo “ciclistico” della sua infanzia…
«È legato a dei prozii molto anziani di Russi (RA). Soprattutto in inverno, quando le strade erano ghiacciate ed il rischio di cadute era molto elevato, l’unico modo per evitare che uscissero di casa, preservando dunque la loro incolumità, era quello di nascondere le loro biciclette.»
Più storie domestiche che campioni dunque nel suo immagi- nario infantile…
«Sì ricordo, ad esempio, quando mia madre, contravvenendo alle regole di casa che imponevano di mandarmi a dormire dopo Ca rosello, mi concesse di restare alzato per vedere in televisione una trasmissione condotta da Sergio Zavoli. Ebbene, quel rotocalco, che era poi Tv7, parlava proprio della bicicletta declinata, a quel tempo, nei suoi infiniti utilizzi. La bicicletta usata dalla levatrice per far partorire le donne del paese o dal prete di campagna che,
sempre in bici, si recava al capezzale dei moribondi per l’estrema unzione. E ancora la bicicletta del lattaio, dei fornai e dei venditori di giornali che, nelle piazze, strillavano le notizie del giorno. Ho un’immagine scolpita nella memoria: quella dell’agosto 1962 a Viserbella di Rimini, quando l’edicolante in bicicletta, sventolando il Corriere d’Informazione, urlava ‘È morta Marylin…’».
E poi, nelle sue estati al mare, c’erano i giochi di sempre…
«Sì, come la pista delle biglie di plastica con la foto dei ciclisti. La mia pal lina preferita, ricordo, aveva impres- sa l’immagine di Fiorenzo Magni.»
E il ciclismo agonistico, quello dei campioni?
«Ho in mente due nomi: l’impresa mondiale del romagnolo Erco- le Baldini nel 1958 che, nella mia Ravenna, suscitò grandi emo- zioni; e l’incontro, piuttosto singolare direi, con il grande Gino Bartali.»
Ci racconti?
«Era l’autunno del 1969 e mi ero appena iscritto a Firenze alla Facolta di Giurisprudenza. Un giorno mi recai alle Poste di Piazza della Libertà, tra via Cavour e viale Don Minzoni, per pagare le tasse universitarie. Fu in quell’occasione che vidi, in fila con me, la sagoma inconfondibile di Gino Bartali che, già da tempo, si era ritirato dalle corse. Pensai ad una fortunata coincidenza e, invece, anche nelle settimane successive, lo incontrai più volte allo stesso ufficio postale. Mi fu tutto chiaro quando un giorno, transitando tra Piazza della Libertà e Piazza San Marco, mi trovai di fronte ad uno stabile, sul quale campeggiava un’insegna luminosa con la scritta ‘Lloyd Adriatico – Gino Bartali Assicurazioni’. Da allora seppi che, ritiratosi dalle corse, il grande Ginetaccio faceva l’assicuratore.»
Nel ciclismo il tratto del percorso più impegnativo si chiama “Cima Coppi”. Ma dopo la guglia impressionante dello Stelvio, per fortuna, arriva la discesa. Ecco, par lando di ripresa economica, quanto è lontana per l’Italia quella discesa?
«La situazione, in estrema sintesi, è questa: in tutta Euro- pa le prime avvisaglie di una ripresa si vedono. In Italia, invece, si sperano. Il nostro paese ha già vissuto momenti difficili, affrontando altre gravi crisi. Que sta, però, è senza dubbio la crisi economica più lunga e, dunque, quella che sta creando
i maggiori problemi. Inutile dire che, forse, rispetto agli altri paesi europei, paghiamo un’instabilità istituzionale che, mai come oggi, paralizza le decisioni politiche e dunque ostacola la ripresa.»
Si può dire che questo, nella storia del- la Repubblica, sia il momento in asso- luto più difficile per presiedere l’ABI?
«Non il solo. Se pensiamo, ad esempio, alla ricostruzione del 1945, non possiamo non rilevare come quegli anni, sul piano economico, furono assai più complicati.»
Nel mondo del ciclismo si parla spesso di doping, ma anche nel mon- do bancario, talvolta, abbiamo sentito parlare di un “sistema dopato”: dopo tanti scandali, qual è la situazione oggi?
«Doping non è una parola italiana e, infatti, i più grandi scandali finanziari non sono avvenuti nel nostro Paese, ma oltre Manica e oltre oceano. Il caso Libor, ad esempio, con la manipolazione, ormai accertata, del tasso di prestito interbancario, resta uno scandalo di proporzioni planetarie. L’Italia ha avuto i suoi problemi, ma non siamo certo noi la causa della crisi finanziaria europea.»
È capitato, e capita ancora, che grandi gruppi bancari abbiano sponsorizzato realtà sportive: penso al Credit Agricole, alla Rabobank, al Banco de Santander, allo stesso Monte dei Paschi: è giusto che un istituto bancario contempli, tra le sue molteplici attività, anche quella dello sponsoring?
«Si tratta di strategie innanzitutto commerciali e, come tali, vanno giudicate. Ma, più delle banche, vorrei sottolineare l’opera preziosa, etica e talvolta insostituibile, delle Fondazioni Bancarie che, con le loro costanti elargizioni, sostengono gran parte della formazione e dello sport giovanile.»