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I miei amici Pigmei non sono su Facebook -di Raffaella Milandri

I popoli indigeni non sono un argomento di attualità.Sono anacronistici.
Non vivono all’insegna del consumismo, sono immuni al “Progresso”,
non producono rifiuti tossici, non risentono del caro-benzina.
Non emigrano: sono, appunto, indigeni, e quindi legati alle loro terre ancestrali da sempre.
Pur se oggetti di soprusi inimmaginabili, non chiedono visti e permessi di soggiorno in altri Paesi.
I miei amici Pigmei non sono su Facebook: non sanno nemmeno cosa è un computer.

Ben 300 milioni di persone nel mondo appartengono a popoli indigeni:
Pigmei, Boscimani, Adivasi, Aborigeni australiani, Indios, Maori, Indiani d’America.
E tanti altri popoli dai nomi semi-sconosciuti, che insieme alle loro culture, tradizioni, linguaggi,
sono un patrimonio unico per la storia dell’Umanità.
Come dinosauri umani, molte etnie sono a rischio di estinzione. Senza tutela e protezione.
Anzi, sono oggetto di attacchi mirati nel nome del vangelo Denaro; un vangelo che predica la legge del più forte, in terre dimenticate fino a quando si scoprono risorse preziose e intoccate: petrolio, foreste, diamanti, oro. E’ incredibile come in tutti gli ultimi paradisi terrestri arrivati ai giorni nostri
coesistano risorse naturali e popoli indigeni.
Eppure lo stile di vita dei popoli indigeni, a contatto con la natura, ha fatto sì che, nelle loro terre, non si siano estinti come altrove animali e piante. Guardiani della natura. Ambientalisti , ecologisti perfetti. Poichè sempre vale il detto “homo homini lupus” sono proprio altri uomini che distruggono e mettono in pericolo l’esistenza di queste razze umane, di queste etnie. E molti popoli indigeni sono a rischio di estinzione.

In alcuni Paesi, come in Camerun, i popoli indigeni come i Pigmei non sono nemmeno censiti: sono esseri umani che non esistono. Privati delle loro terre, dei diritti umani più elementari, della propria dignità e spirito semplice e libero. Non esiste paese dove non vi sia discriminazione. Le leggi internazionali adeguate non esistono o, come nel caso del Forest Right Act in India, sono fatte per essere violate. Il diritto alla propria terra, alla propria religione, alla propria lingua , al proprio nome
e alla propria esistenza è stato violato prima ed è violato ORA. ” I nostri nomi originali sono stati cambiati, storpiati e poi cancellati nell’ultimo secolo. Ed ora stiamo lottando per ricomprare la nostra stessa terra, a prezzi salatissimi” mi racconta Marie della tribù dei Salish, negli Stati Uniti.

Non esiste altro posto dove i popoli indigeni vogliano nascere, vivere e morire: la terra dei padri.
“Datemi un carro, un asino: voglio tornare a casa” dice una donna boscimane durante una mia intervista in Botswana. Non desidera altro: deportata dal deserto, strappata da ” casa”, a causa del ritrovamento di un ricco giacimento di diamanti, non vuole soldi o una casa o un lavoro: vuole tornare a casa.

“La nostra vita è molto peggiore di quella dei nostri padri. Fuori dalla foresta non sappiamo come vivere. Siamo vittime di soprusi e violenze” mi dice una donna pigmea in Camerun.

“Dopo averci arrestato e torturato, ci hanno detto : adesso toglietevi di mezzo o spariamo su tutti.”
racconta un adivasi dell’Orissa, dove è in atto una lotta spietata di una multinazionale per un ricco giacimento di bauxite, che causa deportazioni di interi villaggi (in campi di “riabilitazione”, come li chiamano) nonchè un terribile inquinamento dalle conseguenze mortali su flora, fauna e esseri umani.

Le testimonianze che raccolgo sono un pesante fardello che porto con me, per condividerlo sotto forma di foto e filmati -in preziosa lingua originale- in conferenze-reportage che sono un appello umanitario ed un importante documento. Perchè vado in Paesi lontani, a rimestare nel fango, a testa bassa? Per poter girare a testa alta in nome di un allarme da lanciare. “Solo l’informazione può salvarci” questo è il messaggio semplice e incisivo di Kumti Majhi, un leader tribale dell’Orissa , contenuto in un appello che ho diffuso su sua esplicita richiesta. All’interno della conferenza-reportage “Scomode Verità” , itinerante in diverse città italiane.

Oggi si è tutti adirati e pronti a far la voce grossa per ripulire la propria fetta di mondo. Ma globalizzazione, attenzione, vuol dire che la nostra fetta di mondo non è più limitata al quartiere, alla città, al Paese. Ciò che accade in Giappone arriva a toccarci in un attimo. I mercati finanziari sono soggetti all’effetto domino immediato. Il mondo è di tutti.
La cultura dei popoli indigeni è un tesoro che appartiene a tutti e va salvaguardato prima che scompaia. Dice Gyani, donna della tribù dei Kusunda in Nepal: “sono l’ultima rimasta, dopo di me nessuno parlerà più la mia lingua.”

Fotografa umanitaria e attivista per i diritti umani dei popoli indigeni, Raffaella Milandri, nei suoi viaggi in solitaria, si dedica alla fotografia intesa come strumento di sensibilizzazione, denuncia e comunicazione sul tema dei diritti umani e delle problematiche sociali . Con particolare attenzione ai popoli indigeni. Dice la fotografa : “Viaggiare non vuol dire visitare luoghi, ma percepire l’animo dei popoli”
Raffaella Milandri si impegna in campagne informative e di denuncia attraverso foto, filmati e interviste . Attraverso mezzi di comunicazione e social network lancia appelli, raccoglie firme e missive di denuncia da inviare a Organizzazioni internazionali, Presidenti e Ministri di diverse nazioni, tra cui Sonia Gandhi e il Commissariato per l’eliminazione delle Discriminazioni Razziali dell’ONU. Svariate sue foto sono state donate per aste di beneficenza e raccolte fondi a fini benefici.

Per informazioni e contatti scrivere a [email protected]

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Si preannuncia un evento molto seguito il multireportage-conferenza di Raffaella Milandri, che si terrà ad Ascoli Piceno il 31 ottobre.

La fotografa umanitaria Raffaella Milandri

La locandina del multireportage della Milandri

L’ultimo multireportage per i diritti umani di Raffaella Milandri: “Come testimone, io sono responsabile di verità che non vanno taciute”

Si preannuncia un evento molto seguito il multireportage-conferenza “Scomode verità: solidarietà e riflessione sui popoli indigeni”, di Raffaella Milandri, che si terrà ad Ascoli Piceno il 31 ottobre.

“E’ un incredibile viaggio che tocca vari popoli indigeni e feroci discriminazioni dei diritti umani

nonchè veri e propri genocidi. Per chi partecipa sarà come essere testimone oculare delle mie esperienze in solitaria ” dice la Milandri.

Questo incontro con la fotografa umanitaria e attivista per i diritti umani dei popoli indigeni

Raffaella Milandri è una piccola rassegna di scomode verità raccolte durante i suoi viaggi in solitaria nelle realtà tribali. Foto, filmati e interviste denunciano situazioni che sono state riportate anche al Commissariato per l’eliminazione delle Discriminazioni Razziali dell’ONU.

Attraverso mezzi di comunicazione e social network la Milandri lancia appelli, raccoglie firme e missive di denuncia da inviare a Presidenti e Ministri di diverse nazioni, tra cui anche Sonia Gandhi.

L’appuntamento, organizzato dal Lions Club Ascoli Piceno Urbs Turrita e in particolare dal Presidente Marisa Cozza.è per il 31 ottobre 2010 ore 17,30 ad Ascoli Piceno, alla Sala Docens in Piazza Roma 6, nell’ occasione vi sarà la cerimonia per il conferimento della borsa di Studio “Simona Orlini”.

Dagli indiani d’America, agli aborigeni australiani, agli indios amazzonici, ai boscimani del Kalahari, agli adivasi dell’India e tante altre etnie, questi popoli indigeni sono fratelli nel condividere una storia tragicamente simile.

Culture antiche, radicate alle loro terre ancestrali, tradizioni e linguaggi unici patrimonio dell’Umanità. Ogniqualvolta in queste terre, tutt’oggi, viene trovato un giacimento minerario-oro, diamanti, bauxite, carbone- o una risorsa da sfruttare-petrolio, foreste- incomincia la distruzione, la cancellazione, la persecuzione per questi popoli , in nome del “Progresso” .

Durante questo multireportage, tra gli altri popoli, si parlerà in particolare dei boscimani del Kalahari, allontanati con la forza dalle loro terre a causa di miniere di diamanti che, sulla base di un comunicato di ottobre 2010, hanno fatto registrare un surplus di 22 milioni di euro nelle casse del Botswana. ” I boscimani rischiano l’estinzione, gli interessi in gioco sono troppo rilevanti” dice la Milandri e aggiunge: “Questo multireportage sarà in programmazione in alcune città italiane e sono disponibile a ulteriori divulgazioni presso scuole e associazioni: come testimone, io sono responsabile di verità che non vanno taciute”

“Solo l’informazione può salvarci” questo è il messaggio semplice e incisivo di Kumti Majhi, un leader tribale dell’Orissa , che è contenuto in un appello divulgato dalla fotografa .

La Milandri, recentemente adottata simbolicamente dalla tribù dei Crow, indiani d’America,

organizza i suoi viaggi in solitaria preferibilmente in fuoristrada,

ecco il link ad un filmato su Raffaella Milandri :

http://www.youreporter.it/video_Il_lavoro_di_testimone_e_attivista_per_i_diritti_umani_1

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Attivista per i diritti umani dei popoli indigeni adottata nella tribù dei Crow: ora è Raffaella Black Eagle

Tornata dal suo ultimo viaggio in solitaria e fuoristrada in Montana,
incentrato sulla visita alle riserve indiane,
Raffaella Milandri, fotografa umanitaria e attivista per i diritti umani dei popoli indigeni,
è stata adottata come sorella da Cedric Black Eagle, il Presidente della Nazione della Tribù dei Crow.
Dice la Milandri: “Sono fiera di essere ora  Raffaella Black Eagle.Poichè il padre di Cedric ha adottato Barack Obama,
simbolicamente ora sono sorella anche del  Presidente americano.”
Anche il popolo di Facebook che segue in diretta i suoi viaggi è andato in visibilio.
Qui il link dove, durante la firma del Tribal Law and Order Act, che va a migliorare
il sistema di giustizia nella riserve indiane, il Presidente Obama racconta anche della
sua adozione come Barack Black Eagle.
http://www.youreporter.it/video_STOP_AI_CRIMINI_NELLE_RISERVE_INDIANE_1
Dice la Milandri : “L’adozione da parte dei Crow è stata molto commovente;
è uno dei loro rituali , ma è un privilegio riservato a pochi. Il mio impegno è e
sempre sarà affiancare i Crow, e tutti i popoli indigeni, nella lotta per i diritti umani e per la giustizia.”
La Milandri ha visitato i popoli dei nativi americani
Crow, Blackfeet e Salish e Kootenai, e anche l’ufficio del Governatore del Montana.
Per raccogliere dati e testimonianze sulla situazione dei nativi americani nelle riserve,
oggi. ” Vi sono nelle riserve indiane molte problematiche che si trascinano da decine di anni:
la disoccupazione, che arriva al tasso del 70%, l’alcolismo, e molte terre all’interno delle riserve che
sono state cedute tanti anni fa a non-indiani, creando alle volte un monopolio sfavorevole alle risorse
turistiche e del territorio. I governi tribali stanno cercando di  riacquistare queste terre,
ma ora il prezzo di queste terre che dovrebbero essere loro di diritto è esorbitante” aggiunge la fotografa umanitaria.
In Canada, invece, nelle riserve indiane non è permesso vivere a persone che non siano
membri riconosciuti delle tribù aventi diritto.
Il quotidiano più popolare del Montana, il Great Falls Tribune, ha dedicato alla viaggiatrice solitaria un
articolo speciale. ( visibile anche on line al link http://www.greatfallstribune.com/apps/pbcs.dll/article?AID=20109050308)
In modo del tutto autonomo e a scopo umanitario, la viaggiatrice porta
avanti una campagna di sensibilizzazione e di denuncia e ha avuto
contatti anche con il CERD(Commissariato per l’Eliminazione delle Discriminazioni razziali)
dell’ONU grazie al materiale raccolto.
Dice Raffaella Milandri:
“Sono a chiedere supporto e visibilità per la mia
campagna per i diritti umani dei popoli indigeni.
Sto anche divulgando alcune mie produzioni multimediali
(sui Boscimani del Kalahari e sugli Adivasi dell’Orissa), in modo
gratuito, per poter fare opera di sensibilizzazione. Con raccolta di
testimonianze e di denuncia per discriminazione dei diritti umani.”
Pochi giorni fa, la fotografa ha donato ben 140 sue foto per una iniziativa
internazionale a supporto di Save the Children,
curata dalla associazione Quarta Dimensione.

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Popoli indigeni e diritti umani: il caso di Niyamgiri, Orissa, India di Raffaella Milandri

La storia dei popoli indigeni si ripete, ancora ed ancora.
Sempre si ripete, laddove c’è un popolo indigeno, pacifico, che vive a contatto con la natura,
felice dei prodotti della terra e e di uno stile di vita tradizionale senza ambire ad avere un McDonald’s dietro l’angolo, un SUV parcheggiato sul retro di casa e un iPad
dalle mille funzioni.
Gente semplice, fiera, come potevano essere i nostri antenati.
Eppure, proprio per questa semplicità, invece di essere salvaguardati in quanto unici,
sono oggetto di discriminazioni razziali e,
spesso, di persecuzioni feroci; in particolare quando, nelle loro terre spesso
autentici paradisi terrestri-incontaminati, senza inquinamento, spesso anche senza quei fili
elettrici e telefonici che ovunque scorrono come cicatrici ed elementi alieni-
viene trovato un giacimento minerario-oro, diamanti, bauxite, carbone- o una risorsa
da sfruttare-petrolio, foreste.
Poco importa a governi e multinazionali di questi popoli, queste famiglie, queste
culture antiche che sono patrimonio dell’Umanità: lo abbiamo visto
nei secoli-indiani d’America, aborigeni australiani- e lo vediamo oggi-
boscimani, pigmei, adivasi, indios e tante etnie con l’unica colpa di vivere oggi
come centinaia, migliaia di anni fa.
E queste etnie sono a rischio di estinzione: una volta fagocitati dal nostro “Progresso”,
una volta allontanati dalle loro tradizioni e dalle loro terre ancestrali, cadono vittima di alcolismo,
depressione, AIDS, ad una velocità terribile ed impressionante di adeguamento alla nostra “civiltà”.
“Sto investigando su alcune situazioni-Boscimani del Kalahari, Dongria Khond di Niyamgiri-
da vicino, in alcuni casi mi assoggetto ai rischi che corre il testimone oculare di
un crimine” dice Raffaella Milandri.
“E’ un vaso di Pandora orribile e devastante. Popoli che andrebbero subito protetti soggiacciono
a raggiri, ricatti, ingiustizie e crudeltà inimmaginabili. Oggetto di razzismo nei loro stessi
Paesi. ” La storia-e il cinema-ci hanno fatto conoscere la storia degli indiani d’America,
messi nelle riserve dopo un genocidio spietato, oggi tuttora soggetti a leggi diverse.
Il 29 luglio scorso il Presidente Obama ha firmato il Tribal Law e Order Act:
una legge che permette finalmente alla polizia tribale di avere maggiori poteri e
una preparazione adeguata a portare giustizia nelle riserve.
Le statistiche dicono infatti che nelle riserve indiane degli Stati Uniti, ad oggi, il tasso di criminalità è dall 2 alle 20 volte superiore che nel resto del Paese; un dato, ci si augura,
destinato a cambiare.
In Orissa, India, coesistono ben 63 etnie di popoli indigeni diverse, di cui alcune primitive.
“Le tribù Bonda e Dongria Khond, ad esempio, vivono tuttora su remote aree montane,
scendono a valle molto raramente. I loro costumi, le loro usanze si presentano incredibilmente intatti dopo migliaia di anni. L’impatto devastante con il “progresso” in questi casi va mediato
e centellinato, le loro preziose culture vanno preservate così come i loro linguaggi peculiari.”
L’Orissa è un territorio caratterizzato proprio da questa massiccia presenza di popoli indigeni;
ma da pochi anni sono state messe a sfruttamento anche le numerose miniere di bauxite presenti.
Non solo quindi le miniere minacciano -ed in alcuni casi hanno già devastato-le terre ancestrali di questi popoli, ma le multinazionali-Vedanta e Posco- oltre all’estrazione compiono in loco anche la lavorazione della bauxite, che causa un pesante inquinamento dell’aria e delle falde acquifere.
E’ il caso di Niyamgiri. Attorno a Niyamgiri Hill, una collina sacra a tutti gli abitanti della zona,
sorgono oltre 300 villaggi di tribù di Dongria Khond , Kutia e altri popoli indigeni.
Oltre a casi di espropriazione illecita dei terreni, nei villaggi in pochi anni l’ambiente divenuto malsano ha generato molti casi di tumori della pelle, malattie polmonari, e malaria, con decessi e molte persone ammalate. C’è stata una moria di bestiame, le coltivazioni sono rovinate.
Fieri e combattivi, gli abitanti di Niyamgiri non demordono e lottano strenuamente per difendere
la loro terra, la loro vita. “Ho avuto modo di raccogliere molte testimonianze dalla gente
semplice dei villaggi, che con un incredibile sorriso amaro mi ha raccontato di arresti, torture,
soprusi, ricatti. In alcuni casi sospetti omicidi. Una forma più raffinata e sottile forse, ma molto simile a quella che ha portato gli indiani d’America ad essere quasi decimati.” dice la Milandri.
“Mi hanno raccontato di come emissari di questa multinazionale, la Vedanta, vadano nei villaggi, offrendo alcolici, promettendo lavoro e nuove terre alla gente. Promesse mai mantenute. ”
Attorno allo stabilimento, che occupa 62 kmq ed è in espansione, un muro di cinta che ha tagliato villaggi, distrutto case, e fatto sì che i bambini di alcuni villaggi ora debbano compiere, per andare a scuola, 8 km a piedi ogni mattina anzichè 1 km. Ironicamente, sui muri dello stabilimento, immagini che inneggiano ad un futuro migliore per tutti.
“Ho realizzato alcuni filmati di denuncia, con interviste ed appelli. Questa gente semplice ma
fiera merita un aiuto. Il Governo indiano, che dà potere ai singoli Stati del Paese,
non riesce a monitorare la situazione in mano ai politici locali.” All’inizio di luglio 2010
il tempio sulla collina sacra è stato distrutto proprio per indebolire quella fede indomita dei popoli
indigeni locali. Il 16 agosto 2010, il Comitato Saxena, preposto dal Governo indiano ad esaminare il caso, ha emesso un report dove denuncia la Vedanta per la violazione in Niyamgiri del Forest Rights Act, una legge che protegge i popoli indigeni proprio da questi abusi sulle loro terre.
Un lume di speranza? Staremo a vedere. Come dice Kumti Majhi, a capo di una associazione di
oltre 10.000 abitanti di Niyamgiri “Solo la diffusione della informazione ci può salvare”
CHI E’ RAFFAELLA MILANDRI
Viaggiatrice in solitaria e fotografa, Raffaella Milandri
si dedica principalmente alla “fotografia umanitaria” intesa come strumento di sensibilizzazione sul tema dei diritti umani e di problematiche sociali quali il lavoro minorile e la situazione femminile.
Sta portando avanti una campagna a difesa dei diritti umani dei popoli indigeni:
boscimani, pigmei, adivasi, aborigeni australiani. Con interviste di denuncia anche scioccanti.

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Tra la perduta gente: i Boscimani del Kalahari

Tra la perduta gente

è la nuova emozionante mostra-proiezione della fotografa e viaggiatrice in solitaria  Raffaella Milandri.

Si terrà il 13 dicembre presso l’Auditorium Comunale di San Benedetto del Tronto. “E’ un reportage video-fotografico, una importante testimonianza raccolta in Botswana  che è un tributo di solidarietà al popolo dei Boscimani del Kalahari e a tutti i popoli indigeni. Con “Tra la perduta gente”  si vuole anche sensibilizzare l’opinione pubblica e il Parlamento Italiano a favore della ratifica dell’Italia alla ILO 169” dice l’autrice.

Questo reportage, corredato da una intervista-denuncia sulla situazione dei Boscimani, è articolato dantescamente in tre sezioni di foto: immagini della terra ancestrale dei Boscimani nella sua bellezza (Paradiso), il villaggio dei Boscimani nel Kalahari con problemi di sopravvivenza (Purgatorio) ,ed infine uno dei campi di deportazione(Inferno).

“Durante la mia  intervista   la donna boscimane, mentre racconta le vicissitudini del suo popolo,  indica sempre là, un punto lontano, dove vuole tornare: è la sua terra ancestrale, il deserto del Kalahari” dice la Milandri, e aggiunge:

“Il titolo ha significato duplice: la gente perduta sono i Boscimani, dispersi e smarriti nella loro identità; ma in senso dantesco sono anche i Governi e le multinazionali, quando usano un  potere crudele contro popoli inermi”

LA STORIA DEI BOSCIMANI DEL KALAHARI

I boscimani sono uno dei popoli più antichi della terra: da oltre 30.000 anni hanno vissuto nel deserto del Kalahari. La Central Game Reserve of Kalahari, in Botswana, è infatti stata creata nel 1961 per proteggere il loro territorio e la loro cultura, basata sulla caccia e su una vita in armonia con la natura. Ma dal 1997 è iniziata una vera odissea per questo antico popolo, dopo la scoperta di ricche miniere di diamanti nel loro deserto. Uomini, donne, bambini, anziani  portati via con la forza su camion, villaggi smantellati, scuola e ambulatorio medico chiusi, e per finire distrutte le riserve d’acqua e chiusi i pozzi d’acqua.

Dopo diverse deportazioni, oggi  nella riserva sono rimasti solo 300 Boscimani, tutti gli altri sono in campi di reinsediamento. Questi 300 Boscimani hanno enormi problemi di sopravvivenza e una vita durissima : il Governo proibisce loro di andare a caccia, e vengono arrestati se lo fanno; il Governo proibisce loro di usare  i pozzi d’acqua,  e sono costretti a raccogliere l’acqua da pozzanghere nella sabbia  e da radici. proibisce di  La loro vita è durissima.

“Ho visitato il villaggio nel deserto, dopo aver donato loro zucchero, latte, the e tabacco, prendo una tanica d’acqua dall’auto e la poso in terra, in mezzo al cerchio della gente del villaggio, seduta all’ombra di uno dei rari alberi. E subito, con un ordine gerarchico e familiare che a me è oscuro, appaiono tazze di latta che vengono riempite e svuotate lentamente, in silenzio religioso. Ora comprendo appieno cosa significa l’acqua nel deserto. Lo vedo nei loro occhi, nei loro visi  impolverati e nelle labbra aride. Chiedo ad una ragazzina che parla un po’ di inglese dove si trova l’acqua, e lei alza il braccio indicando l’ovest: lontano, lontano….Le donne lavano i panni in bacinelle con un dito d’acqua densa e scura. Gli unici pozzi d’acqua vicini (30 km circa) sono stati chiusi e non hanno il permesso di scavarne di nuovi.” racconta la Milandri.

Oggi, mentre i  Boscimani nel deserto lottano per la sopravvivenza, le migliaia che si trovano

nei campi di reinsediamento  sono vittime di alcolismo, HIV, depressione. La loro unica ed antica cultura rischia di scomparire per sempre.  Stanno perdendo la loro identità e ancora aspettano perché vengano riconosciuti i loro  diritti umani.

Nel  2006 i Boscimani hanno vinto una –lunghissima- causa nei confronti del Governo del Botswana, ottenendo il diritto a vivere nelle loro terre,  a   usare i pozzi d’acqua e a poter cacciare per il loro fabbisogno alimentare; ma dopo la sentenza  nulla è cambiato.  Ogni volta che hanno provato a tornare alla loro terra, li hanno costretti a tornare nei campi di reinsediamento.

E’ del 12 novembre 2009 una notizia riportata dal quotidiano canadese Globe and Mail :

una donna Boscimane, ad un posto di controllo, guarda la immagine appesa del Presidente del Botswana Ian Kama e dice quello che per lei è un complimento:  “sembra un Boscimane” . Il commento viene ritenuto un insulto e la donna viene portata alla stazione di polizia, segregata per un giorno e una notte, e costretta a pagare una multa.  L’appello della Milandri:

“E’ urgente intervenire subito, la gente boscimane è davvero disperata, non ce la fa più. Parte del materiale della mia mostra-proiezione è già stato inviato, insieme ad una documentazione, al Commissariato per l’eliminazione delle Discriminazioni Razziali dell’ONU. Il Segretario in carica mi ha confermato che la questione dei Boscimani verrà esaminata entro i primi mesi del 2010. Speriamo bene”

I POPOLI INDIGENI E LA ILO 169

Il caso dei Boscimani è, purtroppo, una goccia nel mare delle discriminazioni, violenze, soprusi a cui sono stati assoggettati i popoli indigeni e tribali: i nativi americani(dagli Apache agli Inuit), gli aborigeni australiani, i maori neozelandesi, gli indios sudamericani, i pigmei africani, e tanti-troppi-altri.

Circa 300 milioni di persone nel mondo sono accomunate da questo destino:  culture e società così speciali da essere considerate Patrimonio dell’Umanità, stile di vita semplici a contatto con la natura .

Da parte loro, solo la richiesta di essere lasciati nelle loro terre ed essere riconosciuti come esseri umani, con i loro diritti; da parte di Governi e multinazionali, l’avidità senza scrupoli di appropriarsi di terreni dove si trovano ricchezze : diamanti, uranio, oro, petrolio, foreste.

“ Non guardiamo a questi popoli con simpatia solo nei film dove si raccontano le loro storie: sono esseri umani, reali, che soffrono.  Ho visto la stessa sofferenza e smarrimento negli occhi degli Inuit in Alaska, degli Apache negli Stati Uniti, degli Aborigeni in Australia, dei Boscimani in Botswana. Sono stata testimone di crudeli episodi di razzismo e ho visto ovunque trattamenti davvero disumani per questi popoli che hanno la sola colpa di essere semplici e genuini. E che rischiano l’estinzione” dice Raffaella Milandri

L’appello e il messaggio della mostra “Tra la perduta gente” è quello di sostenere e caldeggiare la ratifica dell’Italia alla ILO 169, che è una convenzione internazionale in supporto dei popoli indigeni e tribali.

“ Per L’Italia , che fa già parte della ILO, agenzia delll’ONU,  dal 1919, si tratta di una ratifica che non ha effetti sulla realtà nazionale. E’ solo un gesto di solidarietà che aiuta questi popoli ad essere riconosciuti nella loro dignità. Su Facebook abbiamo formato un gruppo che conta ad oggi circa 2000 iscritti, con lo scopo di sollecitare il Ministro Frattini a questa ratifica.”

L’iniziativa della Milandri ha trovato terreno fertile a questa campagna a San Benedetto del Tronto, dove il Consiglio Comunale –motore il partito dei Verdi-ha infatti recentemente  approvato la mozione per la ratifica dell’Italia alla ILO 169, che verrà così spedita alla Presidenza della Repubblica e  del Consiglio, e ai Ministeri competenti. L’Assessore alle Politiche Ambientali, Paolo Canducci, promuove la mostra.

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