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Il lavoro? Per gli italiani, meglio se “di squadra”

PC, tablet, smartphone e software per comunicare a distanza senza vincoli di spazio e di tempo aprono nuovi scenari anche in ambito lavorativo: ne sono convinti i dipendenti italiani che vedono proprio nell’innovazione tecnologica un importante incentivo al lavoro di squadra, sempre più diffuso e apprezzato negli gli ultimi anni. Secondo il 69% dei lavoratori  intervistati in occasione del Randstad Workmonitor realizzato nel terzo trimestre 2014, la collaborazione tra colleghi consente di ottenere migliori prestazioni professionali. Una percentuale, quella favorevole alla cooperazione, persino superiore alla media globale (pari al 60%) e che vale all’Italia il settimo posto tra i 33 Paesi oggetto d’indagine da parte di Randstad, secondo player al mondo nei servizi di risorse umane.

 

Cresce dunque anche da parte delle aziende l’attenzione dedicata al lavoro in team, percepito come un’importante risorsa da sfruttare per migliorare le performance dei propri lavoratori. «Merito della maggiore disponibilità dimostrata dai dipendenti a imparare le buone pratiche della cooperazione tra i colleghi. E delle aziende che oggi incoraggiano la collaborazione, anche se ai datori di lavoro viene chiesto un ulteriore investimento per la formazione del team, sia in termini di risorse che di tempo dedicato», commenta l’amministratore delegato di Randstad Italia Marco Ceresa.

 

Sono vari i fattori che sembrano aver favorito il nascere di questa nuova prospettiva culturale, a cominciare proprio da tutti quei dispositivi tecnologici che semplificano l’interazione a distanza. In particolare, la quasi totalità degli intervistati italiani – il 91% – ritiene che la collaborazione si faccia sempre più importante con l’avanzamento delle nuove tecnologie. «Se da un lato l’innovazione richiede una maggiore responsabilizzazione delle attività dei singoli, dall’altro sostiene la collaborazione tra colleghi grazie a nuovi strumenti per la comunicazione», precisa Ceresa.

 

Proprio sotto questo punto di vista le aziende possono e devono però ancora fare molto: solo poco più della metà degli intervistati riconosce al proprio datore di lavoro il merito di garantire effettivamente tutti gli strumenti necessari a facilitare il lavoro in team virtuali. Resta in ogni caso favorita la collaborazione a stretto contatto, tanto che il 78% degli italiani dichiara di riuscire tuttora a collaborare meglio con i propri colleghi lavorando faccia a faccia.

Complessivamente, il bilancio dei dipendenti intervistati è comunque positivo. In Italia, stando al giudizio dei lavoratori, le aziende hanno ormai compreso l’importanza di incoraggiare la collaborazione, anziché la competizione individuale, e si stanno attrezzando, con esiti però non ancora del tutto soddisfacenti.

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Rinunciare al lavoro ideale? Sì, per un aumento di stipendio

Ben otto italiani su dieci sarebbero disponibili a cambiare lavoro se solo potessero guadagnare di più. L’aumento di stipendio, ancor prima della crescita professionale o dell’aderenza al percorso di studi, si dimostra la motivazione capace, più di ogni altra, di spingere i lavoratori alla ricerca di un nuovo impiego. Un dato, quello a favore dell’incremento salariale, non solo molto elevato ma persino in parziale contraddizione con il forte gradimento espresso nei confronti della posizione lavorativa già occupata: il 61% degli italiani è infatti pronto a definire “ideale” il proprio impiego.

«In Italia, si registra una curiosa parità tra chi sostiene di svolgere il lavoro ideale e chi lo ritiene esclusivamente una fonte di reddito. In realtà, la motivazione a cambiare lavoro è elevata, giustificata dalla diffusa esigenza di migliorare il livello retributivo, oltre che all’aspirazione di un percorso di crescita professionale – osserva Marco Ceresa, Amministratore Delegato di Randstad Italia -. Meno forte è la spinta verso un percorso più coerente con i propri studi, che fortunatamente appare un campo di maggiori conferme se 7 italiani su 10 dichiarano di svolgere un lavoro che si addice alla loro formazione e 6 su 10 sceglierebbero lo stesso percorso formativo se dovessero ricominciare da capo».

È questo il quadro emerso dall’indagine sul mondo del lavoro realizzata da Randstad, il Randstad Workmonitor. In 33 diversi Paesi, tra cui l’Italia, un nutrito campione di lavoratori di età compresa tra i 18 e i 65 anni ha permesso al secondo player mondiale nei servizi di risorse umane di raccogliere preziose informazioni sul tema della mobilità, protagonista del secondo trimestre 2014.

Tra i lavoratori europei, i più inclini alla mobilità si dimostrano proprio i dipendenti italiani, sì più propensi alla ricerca di un nuovo impiego ma, al tempo stesso, convinti della necessità di muoversi con grande prudenza. La generale propensione alla mobilità non si traduce infatti in Italia in un’urgenza di cambiare lavoro al più presto: al contrario, il 62% degli italiani crede sia possibile farlo in qualsiasi momento. In pochi, tuttavia, sperano in una vera svolta di carriera, tanto che il 79% degli intervistati sostiene di non confidare in un autentico slancio professionale.

E come trovare un nuovo posto? Grazie alle agenzie specializzate, sempre con maggiore fiducia considerate da chi cerca lavoro capaci di aiutare gli aspiranti dipendenti sia nella ricerca del proprio impiego ideale sia nella definizione del miglior percorso di carriera. In particolare, il 69% degli intervistati ritiene che il lavoro temporaneo possa costituire un trampolino di lancio per ottenere un contratto a tempo indeterminato, soprattutto per i giovani. Il 54% del campione la considera infatti una formula particolarmente adatta ai più giovani.

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