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Decreto Dignità modifica la disciplina sul contratto a termine

Nella seduta del 2 luglio 2018 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il Decreto Dignità, che ha modificato la normativa del contratto di lavoro a termine prevedendo il ritorno alle causali che ne legittimano l’uso.

Di svincolato c’è solo il primo contratto di durata massima a 12 mesi. Le successive proroghe o i rinnovi vengono ammessi solo se in presenza di esigenze in forma temporanea e oggettiva, estranea all’ordinaria attività del datore di lavoro; per esigenze sostitutive o legate a incrementi temporanei dell’atitvità di lavoro o relative ad attività stagionali nonchè a picchi di attività.

Ma vediamo insieme quali alte novità vengono apportate sui contratti di lavoro.

Atto scritto

Secondo il nuovo Decreto Dignità il termine dovrà risultare da atto scritto, con effetti sostanziali, tale per cui in mancanza del contratto sarà da intendersi a tempo indeterminato fin dall’inizio. Gli unici ad essere esclusi sono solo i contratti di durata non superiore a 12 giorni.

Una copia del contratto deve essere data e consegnata al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione  e, in caso di proroga del suddetto contratto bisognerà specificare le specifiche esigenze che l’hanno determinata.

Proroghe

Calano da 5 a 4 le ipotetiche proroghe: se il periodo iniziale del contratto è inferiore a 24 mesi, il contratto consentirà una proroga di un massimo di 4 volte nell’arco dei 24 mesi e non più di 5 volte. Nel caso in cui si dovesse superare tale limite, il contratto passerà a tempo indeterminato.

Al fine di disincentivare l’utilizzo del contratto a termine e per consentire una maggiore tutela ai lavoratori dipendenti sono state introdotte due ulteriori misure.

Nello specifico, con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legge in esame, il contributo di cui all’articolo 2, comma 28, della legge 28 giugno 2012, n. 92,ha visto un incremento dello 0,5 % in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato anche in somministrazione. Il termine poi per impugnare il contratto a termine cessato si è elevato a 180 giorni.

Ambito di applicazione

Le nuove disposizioni del Decreto Dignità trovano applicazione ai contratti di lavoro a tempo determinato di nuova sottoscrizione e, in casi di nuovo rinnovo a tempo determinato, ai contratti in corso alla data di entrata in vigore del decreto stesso.

Contratto di somministrazione

Il nuovo testo del Decreto Dignità non interviene sulla somministrazione a tempo indeterminato e tantomeno sui criteri di computo presso l’utilizzatore.

Lo schema di decreto in esame prevede che in caso di assunzione a tempo determinato, il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina prevista per il rapporto di lavoro a tempo determinato.Il termine iniziale apposto al contratto di lavoro vede la proroga, sempre tramite consenso del lavoratore dipendente e tramite formula iscritta, nei casi e per la durata prevista dal CCNL applicato dal somministratore, ma nei limiti introdotti dal decreto-legge in commento, vale a dire con un massimo di 4 volte e con l’indicazione delle causali.

Licenziamento ingiustificato

Aumenta da 24 a 36 mesi l’indennità massima in caso di licenziamento ingiusitifcato mentre la minima passa da 4 a 6 mesi.

 

Per maggiori e ulteriori dettagli potete visitare il sito di Studio Borghi, studio di consulenti del lavoro a Milano e che opera nel campo della consulenza del lavoro e dell’amministrazione del personale da oltre trent’anni di attività.

 

 

 

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Prestiti: un miraggio se si ha un contratto a tempo determinato

I lavoratori con contratto a tempo determinato si rivolgono sempre meno alle società del credito; è questo il dato principale che emerge dall’analisi realizzata da Facile.it e Prestiti.it su un campione di oltre 100.000 domande di finanziamento raccolte fra il l’1 gennaio 2016 ed il 31 dicembre 2017 e i cui risultati sono stati anticipati dall’Adnkronos.

Guardando alle richieste di credito presentate tramite i due portali, la percentuale di lavoratori precari che hanno cercato di ottenere un prestito personale si è ridotta nel corso dei 2 anni passando dallo 0,31% del 2016 allo 0,17% del 2017. Nello stesso periodo, di contro, si è registrato un aumento della percentuale di dipendenti privati a tempo indeterminato che hanno chiesto un finanziamento, cresciuta dal 62,38% del 2016 al 65,96% del 2017, così come quella dei lavoratori autonomi, passata dal 9,18% (2016) all’11,72% (2017).

«Sono due i principali fattori che incidono negativamente sulla percentuale di richiedenti prestito con contratto a tempo determinato» spiega Andrea Bordigone, responsabile BU prestiti di Facile.it. «Da un lato l’atteggiamento sempre più prudente da parte degli istituti di credito che tendono a richiedere una posizione lavorativa stabile, o la presenza di un garante, come condizione fondamentale per la concessione di un finanziamento. Dall’altro lato, invece, il comportamento dei lavoratori stessi che, proprio in virtù della loro precarietà, sono meno predisposti a indebitarsi e ad assumersi impegni a medio e lungo termine». 

In calo anche le somme che i lavoratori a tempo determinato hanno cercato di ottenere dalle società del credito. Nel 2016 la richiesta media (a fronte di uno stipendio di 1.324 euro) era pari ad 8.557 euro da restituire in 58 mensilità, mentre nel 2017 è stata pari a 8.247 euro (-3,6%), con un piano di restituzione di 51 mesi.

Guardando alle finalità dichiarate dai richiedenti con contratto a tempo determinato, poco varia. Nel 2016 la prima motivazione era rappresentata dall’ottenimento di liquidità, seguita da acquisto di auto usate e consolidamento debiti. Nel 2017, invece, la prima finalità diventa l’acquisto di auto usate, seguita dall’ottenimento di liquidità e dalla ristrutturazione di immobili.

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