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Turismo del gusto – Il vino Cirò della Calabria

Quando si parla di vitivinicoltura calabrese viene “naturalmente” in mente ai più (…forse anche ai meno esperti in materia!!) il Cirò, senza dubbio il vino più noto della regione!!!

Si tratta di un prodotto conosciuto e prelibato che ha origini in secoli passati, ma non pochi…bensì tanti, tanti, tanti da non averne idea: diciamo pressappoco nell’VIII secolo a.C, allorquando giunsero nell’area Jonica calabrese di Punta Alice coloni dalla Grecia, fondando Krimisa. Forti della loro esperienza in materia, e comunque meravigliati dalla particolare fertilità dei terreni “conquistati”, iniziarono la coltivazione in zona dei vigneti e vitigni; la zona del cirotano, infatti, è tradizionalmente carezzata da venti di scirocco e tramontana, con clima secco ed al tempo stesso ventilato: terreni sabbiosi e profondi che consentono di ottenere un vino di grande struttura ed eleganza. Non da meno è la originale collocazione della zona, tra il mare e le montagne della Sila, che conosce escursioni termiche tra il giorno e la notte non indifferenti: in tal modo i grappoli maturano lentamente, con un indiscutibile equilibrio di aroma e gusto. Fatto è che i greci seppero dare un grande valore a questi vigneti, al punto tale che un appezzamento di terra coltivata a vite valeva per sei volte un campo di cereali.

Condizioni come detto ideali, visto che hanno consentito di ottenere un “nettare degli dei” preferito dal muscoloso Milone, discepolo di Pitagora e vincitore di sei olimpiadi; e la tradizione si è ripetuta, dato che è stata riportata in auge anche in occasione delle Olimpiadi del 1968, in Messico, allorquando tutti gli atleti partecipanti hanno gustato (nei limiti del lecito) il Cirò come vino ufficiale: chiamiamola una prima forma di sponsorizzazione di un evento sportivo…….di decenni ormai passati !!

Fatto è che anche ai giorni nostri il Cirò gode della fama di riservare intrinsecamente virtù terapeutiche, visto che (…tra il serio ed il faceto!!) diversi medici lo consigliano a chi vuole recuperare le forze dopo una lunga malattia, sottolineandone i poteri tipici di un eccezionale cordiale; comunque un “tonico opulento e maestoso per la vecchiaia umana che vuole coronarsi di verde ancora per anni”. Vero è che Hugh Johnson, autore di un ben noto atlante dei vini, lo pregia quale “Barolo del mezzogiorno italiano”.

Il vino Cirò rappresenta senza dubbio alcuno una vera occasione di riscatto per una regione che stenta a decollare nell’economia, e che dovrebbe invece cercare di “affrancarsi” facendo leva proprio sulla gastronomia, oltre che sul turismo e sulla natura. Passi comunque importanti sono sicuramente rappresentati, in tal senso, dalla Denominazione di Origine Controllata (Doc) ottenuta nel 1969, con relativo disciplinare di produzione; e del consequenziale Consorzio di tutela Vini Cirò DOC che ne ha racchiuso il comprensorio di produzione, garantendo la “vera & originale” produzione; e comunque dall’impegno di una imprenditoria vitivinicola della zona, che annovera cultori del buon vino e delle tradizioni della zona, per raggiungere mercati nazionali sempre nuovi e diversi, comunque preservando l’affascinante legame tra l’uomo, la terra e la sua storia.

Le tipologie proposte ovviamente passano da un Rosso di colore rubino ed odore gradevole, delicato ed intensamente vinoso; dal sapore secco, caldo ed armonico, corposo in quanto a gradazione alcoolica (12.5%) ottenuto dalla vinificazione di Gaglioppo (95%) Trebbiano Toscano e Greco Bianco (5%); accompagna alla perfezione ogni tipo di carne, in particolare gli arrosti. Un Rosato più o meno intenso, dall’odore delicato e dal sapore secco ma fresco, comunque armonico e gradevole; anche stavolta di buona corposità (12.5%) ottenuto da Gaglioppo (95%), Trebbiano Toscano e Greco Bianco (5%); si abbina alla perfezione con carni in umido, salumi e formaggi in genere. Per finire un Bianco dal colore giallo paglierino, di odore vinoso gradevole, sapore armonico delicato e vivace ed un più contenuto grado alcoolico (11%); viene ottenuto da Greco Bianco (90%) e Trebbiano Toscano (10%). Accompagna ottimamente primi, grigliate e piatti di pesce.

Come previsto dal disciplinare di produzione il vino Cirò Doc deve avere un invecchiamento obbligatorio di 9 mesi. E’ Cirò classico quello prodotto esclusivamente nei comuni di Cirò e Cirò Marina, mentre il Cirò riserva è quello invecchiato almeno tre anni e con gradazione alcolica di 13,5°.

Concludendo, un vino che viene da “mooooooolto lontano, nel tempo”……e che è riuscito a far breccia in numerosi estimatori del gusto, tra cui il critico del New York Time Eric Asimovche lo annovera tra le migliori 20 bottiglie di “vini inesplorati” al mondo sotto i 20 dollari.

E noi che lo abbiamo praticamente dietro l’angolo….perché non dovremmo apprezzarlo magari ricorrendo alla vendita sul web, preferendo invece perdere questo diVino piacere calabrese????

 

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Bontà calabresi ” a prescindere”: la soppressata.

Recita un vecchio detto calabrese di chiaro taglio gastronomico “Tra tutte e ‘mpusaglie, a supressata sa ra meglia” (ovvero…tra tutte le leccornie, la soppressata è la migliore): e francamente non può essere diversamente, visto che in regione si appartiene alle schiera degli “intenditori per eccellenza” di salumi !!

La soppressata è una tipicità di varie parti d’Italia, magari ed ognuna con una propria variante e caratterizzazione, ma è in Calabria che questa prelibatezza si connota come una sciccheria di una spanna superiore: sarà per la particolare arte norcina della zona, per la modalità con la quale si provvede all’allevamento dei suini, della
ricetta tradizionale che viene “tassativamente” seguita nella relativa preparazione e che riesce a cogliere un giusto equilibrio tra la carne e gli altri ingredienti (anzitutto il peperoncino, dolce o piccante che sia!!)..…fatto è che la soppressata calabrese è la più famosa, con tanto di marchio DOP (Reg. CE n.134/98.) che impone un preciso protocollo e controllo di tutte le fasi di produzione. Ed anche questa sciccheria gastronomica, così come tanti altri prodotti tipici calabresi, ha ormai imparato a navigare sulla rete, dato che è tranquillamente acquistabile sulle vetrine virtuali di siti di e.commerce della regione.
 
La vera soppressata calabrese viene preparata di solito utilizzando prosciutto, spalla di suino e il lardo della parte anteriore del lombo vicino al capocollo. Il tutto viene tritato a grana media, unendo aromi naturali (sale, pepe nero in grani, peperoncino dolce/piccante e, in alcune zone, finocchio), e comunque rispettando la proporzione del 12-15% di grasso. Va da sé che deve trattarsi di maiali calabresi o di regioni limitrofe comunque allevati in Calabria, di taglia grande (peso di circa 1,5 quintali) ed almeno 8 mesi di età.
 
L’impasto va inserito in budella naturali di suino, per le quali è prevista una preventiva e laboriosa opera di “pulitura e sanificazione”; ne viene eliminato infatti manualmente il grasso, poi lavate in acqua tiepida, quindi messe a bagno in acqua, aceto e limone, infine risciacquate in acqua. Riempite le “sacche”, queste vengono forate e legate a mano con spago naturale, ottenendone una forma di un cilindro leggermente schiacciato, della lunghezza di cm 15 circa e del diametro di cm 6 circa.
 
A questo punto la soppressata va fatta asciugare all’aria, e dopo circa due/tre settimane (dipende infatti dal grado di freddo secco o umido del periodo) la soppressata viene messa tra assi con sopra dei pesi in modo da ottenere quella pressatura che conferisce il particolare nome al salume. Trascorsi 5/6 giorni si ritorna all’asciugatura e maturazione, in ambiente ventilato, per un buon mese/mese e mezzo : non poche volte, durante questa fase, si procede ad una leggera affumicatura tramite un braciere acceso nelle vicinanze, al quale vengono aggiunte scorze di arance per garantire un’affumicatura aromatica. L’asciugatura “naturale” è un dato importante nella produzione dei salumi calabresi, visto che in tempi recenti si cerca di anticipare il lento trascorrere delle ore utilizzando degli “essiccatori elettrici per salumi”: c’è poco da fare, le cose davvero buone richiedono tempo, costanza e pazienza!!!!
 
Le soppressate vengono portate, quindi, a maturazione e stagionatura completa, facendo attenzione che non induriscano oltre il necessario: se il prodotto, infatti, non viene consumato subito, visto peraltro che la sua produzione risponde alla bisogna di tutto l’anno, si provvede alla relativa conservazione, che in passato avveniva ponendolo in contenitori di creta e/o recipienti di terracotta (“tarzaruli”) con olio di oliva o nello strutto del maiale. Ai giorni nostri la conservazione avviene con l’uso del sottovuoto, garantendosi (sia nelle metodologie più tradizionali che in quelle più moderne) una tenuta di qualità di oltre un anno.
Come accennato la soppressata in Calabria ha diverse varianti territoriali: dolce o piccante, con finocchietto e non, affumicata o tradizionale, conservata in olio o nello strutto, ecc.; qualunque sia la caratterizzazione la soppressata calabrese è una, e comunque buona: poi ognuno fa e preferisce la sua!!!
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Piccole delizie di una volta, grandi sapori – Il mosto cotto.

Il mosto cotto (anche detto cotto o sciroppo d’uva) è un prodotto tipico agroalimentare ottenuto da uve molto mature, quindi con zuccheri maggiori rispetto a quelle dell’ordinaria vinificazione (23-25% di zuccheri). Storicamente era anche denominato vincotto o sapa, visto che, assieme al miele ed agli altri possibili succhi di frutta ridotti tramite cottura, era il tipico dolcificante dei nostri avi (lo zucchero di canna o di barbabietola erano allora sconosciuti): sapa o saba derivano infatti dal latino sàpa, in diretta affinità col termine latino sàpor. E’ uno di quelle chicche della gastronomia che è ormai difficile reperire in commercio, visto che rappresenta un prodotto di nicchia da veri intenditori: eppure chi fa del suo mestiere una “mission”, ancora lo propone in vendita!!!!

Tradizionalmente si era soliti produrlo ad ottobre, in tempo di vendemmia, pigiando uva ben matura e filtrandone successivamente il succo ottenuto. In pratica si prendeva un recipiente abbastanza capiente che accoglieva l’uva all’interno, pigiata a dovere per far fuoriuscire il succo dagli acini. Si proseguiva poi con la “diraspatura”, ovvero separando il succo fuoriuscito dalle bucce, dalla polpa e dei raspi (l’ossatura del grappolo che tiene insieme gli acini). Filtrato il succo d’uva con l’ausilio di un colino (per eliminare eventuali piccoli pezzi di polpa o di buccia) si versava il mosto in un pentolone abbastanza capiente (un tempo paioli di rame o pignatte di terracotta ormai sostituiti dall’acciaio inox) in modo da riempirlo poco più della metà (durante la cottura infatti il liquido gonfia). Lasciando bollire a lungo e lentamente (anche per ore!!), sì da ridurne il volume di almeno 3/4 rispetto all’inizio; dopodiché si lasciava raffreddare il mosto all’interno del pentolone prima di versarlo in bottiglie di vetro ben tappate per una ottimale conservazione.

Al termine del processo di preparazione si presenta come un liquido violaceo di densità e viscosità simile a quella dell’olio d’oliva, dal sapore particolarmente dolce, colore bruno scuro, densità tale da mantenere una scorrevole sciropposità, profumo gradevole ed intenso.

Ma ciò che incuriosisce i cultori della buona cucina è l’uso del mosto cotto, diffusissimo ancora ed in particolare al sud. Come da tradizione i contadini erano soliti utilizzare molto la “saba” sia per i dolci casalinghi che per dare più sapore a piatti poveri come la polenta o per intingervi altre pietanze come lo gnocco fritto. Sembra anche che il mosto cotto potesse servire per “governare vini deboli“, ovvero dare sapore, zucchero, colore a vini privi di queste caratteristiche. E l’uso finale determinava anche l‘uva da utilizzare per la sua produzione, preferendo quella bianca, più dolce, ove il mosto servisse come condimento e insaporitore dei piatti; rossa per dare colore al vino. Squisito insieme ai formaggi stagionati e saporiti, il cotto d’uva si accompagna molto bene anche come condimento per l’insalata e come sciroppo per i gelati di crema e di panna.

Una curiosità: tra gli antichi contadini calabresi, all’arrivo dell’inverno e con le prime nevicate, vi era l’abitudine di preparare granite (chiamata “scirubetta”….con evidente attinenza dunque con il termine “sorbetto” di più recente uso) con neve fresca e con il cotto d’uva (o col miele di fichi): una vera delizia per grandi e piccini, visto che il gelato industriale era ancora lontano da venire!!!

 ….vaghi ricordi di periodi poveri, allo stesso tempo ricchi di grandi soddisfazioni che provenivano da minime cose!!!

 

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Gustose sorprese della cucina calabrese: il miele di fichi.

Il miele di fichi è uno dei prodotti tipici calabresi che incuriosisce sia per la denominazione che per la sua versatilità d’uso; ottenuto secondo tradizione propria della regione, si può ancora gustare acquistandolo su siti di vendita on line di prodotti calabresi nella loro offerta di referenze e sciccherie gastronomiche.

 

Ma andiamo per gradi: miele, vi chiederete??? In Calabria questo prodotto è infatti tipicamente ed impropriamente chiamato “miele” , ma non ha nulla a che fare con le api. In realtà è uno sciroppo di cotto di fichi calabresi realizzato facendo bollire i fichi in un po’ d’acqua, tirandoli (escludendo in pratica l’acqua in eccesso) fino ad ottenere una densità molto simile a quella del miele: ecco, forse è proprio la densità che ne da l’idea del più rinomato nettare prodotto dalle api!!

 

Ma cosa lo rende speciale ed esclusivo?? Sicuramente il fatto che è ottenuto esclusivamente con fichi dottati (essendo questi uno dei più apprezzati in assoluto), aggiungendovi un po’ d’acqua durante la cottura. Ma soprattutto, ciò che distingue questo estratto di fichi sta nella sua corposità. Venduto in vasetto, la sua densità è quella della tradizione, della artigianalità e della ricetta tipica calabrese. Giusto per averne un’idea, un vasetto di estratto di fichi di 200/250 grammi richiede più di un kg e mezzo di fichi.

 

Versatilità d’uso, dicevamo: nella gastronomia regionale il miele di fichi viene utilizzato in pasticceria, ad esempio nella produzione dei mostaccioli, cartellate (nèvole in Calabria), mandorlate, torrone, così come è ottimo su gelati e macedonie. Ma in realtà, questo estratto di fichi sta riscuotendo ultimamente enorme successo come ideale accompagnamento di formaggi freschi e carni; suggeriamo, ad esempio, di provarlo assolutamente su un filetto di manzo: un po’ di estratto, a mo’ di aceto balsamico, regala alla carne preparata un gusto assolutamente inimitabile. Oppure sulla panna cotta o immancabile sui lampascioni fritti……insomma è praticamente impossibile non averlo in dispensa per sorprendere e sorprendervi in ogni occasione.

 

Eccovi, a mero titolo di esempio, una ricetta facile facile sulla quale sperimentare questo esclusivo nettare.

 

FRITTATINE DI FARINA CON MIELE DI FICHI (Majatiche)

 

Ingredienti: farina, sale, olio d’oliva, miele di fichi. Amalgamate farina, acqua e sale e preparate delle frittatine sottilissime cuocendole nell’olio. Lasciatele asciugare su un foglio di carta affinché perdano l’eccesso di olio, quindi arrotolatele e versate su di esse abbondante miele di fichi. Servire calde.

Nella tradizione medica del passato (quando si ricorreva al “fai da te” suggerito dalla natura insomma, e prima della comparsa della chimica e delle alchimie) veniva utilizzato anche come sedativo della tosse, magari diluito in una buona tazza di latte caldo.

 

Una curiosità: tra gli antichi contadini calabresi, all’arrivo dell’inverno e con le prime nevicate, vi era l’abitudine di preparare granite (chiamate scirubetta….con attinenza dunque con sorbetto di più recente uso) con neve fresca e con il cotto di fichi: una vera delizia per grandi e piccini, visto che il gelato industriale era ancora lontano da venire!!!

 

….vaghi ricordi di periodi poveri, ma nel contempo ricchi di grandi soddisfazioni che provenivano da cose insignificanti!!!

 

Giorgio Candia http://www.saporidellasibaritide.it – Corigliano (Cs)

 

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Ma quante allettanti e gustose sorprese, dai fichi della Calabria!!

Dite la verità, chi non ha mai sentito parlare del gusto unico e del sapore esclusivo dei fichi calabresi?? Un prodotto coltivato secondo tradizione ed amorevolmente lavorato in tutte le sue successive fasi, sì da poterne avere una delizia della gastronomia tipica della regione che va ben oltre le golose tipicità del periodo natalizio.

Povero, se consideriamo che in fin dei conti si tratta di un semplice frutto che sovente (i fichi secchi) accompagnava i contadini di una volta nelle dure giornate di lavoro nei campi, giusto per spezzare qualche momento in cui le energie avevano bisogno di essere “ricaricate”. Ma nel contempo ricercato, visto che nel corso degli anni è stato “affrancato” a vera prelibatezza, e dato che se ne è creata una vera “eccellenza” nelle sue svariate elaborazioni.

Il segreto risiede sicuramente nelle modalità di preparazione degli stessi, visto che vengono raccolti con cura a fine stagione estiva, quando il sole settembrino li “indora” fino a giusta maturazione; da qui inizia il paziente lavoro di essiccazione naturale: sarebbe infatti semplice passarli in forno (…il tempo “costa”) ma, obiettivamente, non è la stessa cosa!!!

Ed eccoli qui…i veri fichi secchi calabresi, già eccellenti nella loro versione “base”; ma v’è di più, considerato che vengono elaborati con noci e mandorle (le crocette), ovvero tuffati in delizioso cioccolato (bianco o fondente). Tutti prodotti comodamente acquistabili sulle vetrine virtuali di prodotti tipici calabresi che li propongono nel loro assortimento in particolare durante la stagione fredda, quando le temperature rigide invogliano a farsi tentare da sapori accattivanti e lasciarsi coccolare da gusti intensi e avvolgenti .

Eppure le proposte regionali, in merito, non si fermano qui: della confettura di fichi, ad esempio, ne vogliamo parlare?? Si tratta di una classica mostarda preparata, anche in tal caso, a fine estate, con quel mirabile tocco segreto dettato dalla tradizionale esperienza dei produttori, che riescono a cogliere e proporre un giusto equilibrio tra la dolcezza del frutto e lo zucchero aggiunto in fase di preparazione. Ai più nostalgici delle cose buone di un tempo questa marmellata racconta di quando la si preparava in casa con passione ed amore, con le nostre mamme indaffarate a “far manovre” tra pentoloni e cucchiaioni di legno, diffondendosi per le stanze un profumo unico ed indimenticabile che in molti ricordano ancora.
La confettura di fichi regala un sapore dolce e delicato sulle fette biscottate, riservando energie infinite alla colazione del mattino, o sul classico pane per la merenda dei bambini. I più esigenti e dal palato “fine” troveranno ottima questa confettura anche come accompagnamento ai formaggi stagionati.

Ed una ulteriore “evoluzione” a questa mostarda la si ottiene nella “chicca” marmellata di fichi e noci, una ricetta in cui servono dei fichi maturi ma sodi, scelti tra i migliori e di buona qualità, eliminando quelli piccoli o macchiati; delle noci pestate grossolanamente ed un limone: la segreta ricetta calabrese riesce poi mirabilmente ad amalgamarne i sapori. Già di suo rappresenta una vera e propria chicca gastronomica, anche se da il meglio di sé ove venga utilizzata per farcire crostate e biscotti, ovvero servita con i formaggi!!

…come vedete, dunque, non si tratta mai di “un banale fico” (secco)!!
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Quando un e.commerce diventa un amico al quale puoi sempre rivolgerti per la soluzione di qualche piccolo problema della quotidianità!!

 

La rete, ma che bella invenzione: ci puoi trovare un po’ di tutto, dal rapporto virtuale con gli amici alle informazioni che più ti fanno comodo, dalle notizie dell’ultima ora a beni e servizi che ti viene difficile reperire altrove, alle transazioni finanziarie (minimamente familiari o del tuo business)…ed ovviamente senza spostarti un attimino dalla tua scrivania e negli orari che più ti sono congeniali. Obiettivamente nessuno può negare che ci hanno di certo reso più facile e comoda la vita, compensando un attimino lo stress che la modernità (ahinoi!!) ci richiede in cambio. Quasi quasi verrebbe spontaneo inventarsi un nuovo “logo-tipo” che caratterizza l’uomo dei giorni nostri: …siamo nati per digitare!!

Ecco, poniamo l’attenzione all’acquisto on line di prodotti tipici, in particolare quelli della Calabria: che comodità ricevere a casa tutte quelle sfiziose delizie regionali, senza bisogno di andar lì per sceglierne quelle più appetitose ed accattivanti!!! Eppure la mission di un e.commerce che sia interessante e visibile, oltre che affidabile, non è solo quella di proporre e promuovere, ma anche quella di consigliare, oltre che nell’uso delle referenze portate in vetrina, anche nelle normali esigenze che la vita di ogni giorno può presentare. Un amico, insomma, al quale puoi comodamente rivolgerti in ogni momento nel caso abbia in serbo la classica “dritta giusta”, il suggerimento opportuno insomma per risolvere un qualunque inghippo della quotidianità. Capire questo significa instaurare un rapporto con l’utente che normalmente ti segue per le sue normali esigenze gastronomiche, indissolubile nel tempo.

Semplice, si può modificare un attimo l’impostazione del portale….et voilà, il servizio è bello e pronto: basta inserire nelle categorie prodotti, a fine assortimento, una specifica pagina denominata “….consigli utili” che racchiudano un po’ l’esperienza personale ed il vissuto della vita quotidiana per metterla comodamente a disposizione dell’internauta che ti degna della sua considerazione. Un promemoria al quale poter facilmente accedere, insomma, alla bisogna!!

Nessuna bacchetta magica, per carità, ma qualche piccola utilità già sperimentata che, con semplicità ed economia, può tornarti sempre utile in casa. E così si spazia dai suggerimenti per la pulizia e l’ordinaria manutenzione della lavastoviglie o del forno a microonde, alla conservazione del lievito di birra senza ritrovarselo “scaduto”, al riutilizzo di pandori e panettoni oltre le festività, alla verifica sulla freschezza delle uova che abbiamo in frigorifero, ai metodi per tener lontane d’estate le zanzare…..e molto altro ancora!!!

Il tutto “permeato” da un motivo ricorrente e costante: il rispetto dell’ambiente, evitando quanto più possibile l’utilizzo di dannosi prodotti chimici!!!

….perché un sito di e.commerce deve si vendere, ma anzitutto consigliare: questo è la correttezza, anche e specie sul web!!!

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Delizie estive dell’estate calabrese: il melone gialletto, gusto e salute “garantiti”!!

Di probabili origini africane (secondo alcuni invece provenienti dall’Asia), il melone arrivò in Italia in età cristiana, così come documentato da Plinio, diffondendosi rapidamente durante l’Impero Romano (veniva utilizzato piuttosto come verdura, servito in insalata) tanto che al tempo dell’imperatore Diocleziano fu anche oggetto di tassazione fiscale (laddove superassero un certo calibro e peso).

 

Anticamente il melone venne considerato simbolo di fecondità, forse in ragione dei numerosissimi semi, della estrema fecondità di questi frutti e della relativa pianta, la loro capacità generatrice ed incontrollata, opposta alla ragione dell’intelligenza.

 

Diffusamente presente in tutti i banchi ortofrutticoli, dolcissimo, simbolo della stagione estiva, sperimenta adesso a navigare sulla rete, in particolare la varietà Helios calabrese ( o gialletto) che si caratterizza per il suo colore giallo acceso, la polpa bianca ed il suo sapore ineguagliabile; lo si può infatti acquistare comodamente in quantità sufficienti alla bisogna familiare su portali e.commerce di prodotti tipici calabresi che lo propongono sulle proprie vetrine virtuali quando è giunto a naturale e giusta maturazione, non in serra o con artifici vari, bensì nel momento in cui il caldo sole della stagione ha compiuto “naturalmente” il suo dovere. Solo allora, infatti, la frutta è più ricca di vitamine, di sali minerali e di acidi organici essenziali per il corpo umano, visto che contribuiscono a spazzar via tutti i minacciosi e dannosi elementi del metabolismo. Anche per tale prelibatezza infatti, la Calabria, dove la natura sembra superare se stessa per il giusto areale e le ottimali condizioni pedoclimatiche, offre un prodotto eccezionale in fatto di qualità, gusto e naturalezza.

 

E se queste sono le qualità gastronomiche, occhio a tutte le sue virtù salutistiche; infatti è il frutto migliore per tutti coloro che, d’estate, vogliono in modo dissetante oltre che gustoso fare il pieno di vitamina A e C all’organismo, comunque limitando il valore energetico (dalle 20 alle 40 calorie per 100 grammi), ma in compenso è ricco di zuccheri (saccarosio, fruttosio e glucosio), sali minerali (potassio, sodio, calcio e fosforo) che regalano proprietà rinfrescanti e coadiuvanti per i processi digestivi. Possiede inoltre un’azione lassativa, mitigata dall’abbinamento con il prosciutto, e pare che il suo aroma abbia effetti benefici sul sistema nervoso. Alcuni studiosi argentini e tedeschi sostengono, in effetti, che il melone agisce sulla fluidità del sangue contrastando l’aggregazione piastrinica e questo contribuirebbe a dargli funzione cardio-protettiva per infarti, ma anche per ictus cerebrali. Tra i molti rimedi per lo stress ce n’è uno che non solo non pesa adottare ma è anche gradevolissimo ed in linea con la stagione. L’Istituto francese per la ricerca agricola ha realizzato, in seguito ad una ricerca pubblicata sulla rivista Nutrition, che l’alto contenuto di betacarotene del melone aiuta ad abbassare le proteine dello stress nell’intestino, contribuendo ad un maggior benessere con una cura semplice, ma che della cura non ha neanche il più vago aspetto.

 

La polpa del melone giallo estivo protegge, infine, l’epitelio intestinale, la pelle e favorisce la rigenerazione cellulare: perciò viene definito un cibo antinvecchiamento.

 

Il melone giallo è conosciuto anche con il nome di “melone d’inverno” per la sua caratteristica di poter essere conservato molto a lungo, a volte fino a gennaio. Anche se noto e consumato come frutto, è a tutti gli effetti un ortaggio della famiglia delle Cucurbitacee.

 

Di medie dimensioni, ha una scorza esterna piuttosto coriacea e di colore giallo intenso, abbastanza liscia, solitamente priva delle classiche fenditure del melone tradizionale. La polpa è bianco-giallastra, da qui anche il nome di “melone bianco”, carnosa, molto ricca di acqua, piuttosto aromatica e zuccherina, con la presenza di semi gialli.

 

Per poter comunque gustare un prodotto al top l’importante è saperlo scegliere “ad arte”: e qui l’esperienza ha un’importanza non indifferente. Il gialletto può essere, infatti, scelto maturo per una consumazione entro 8/10 giorni dall’acquisto, oppure più acerbo, per essere conservato più e più tempo. Il melone maturo deve avere un colore giallo profondo, intenso, piuttosto scuro. Se picchiettato con le nocche non deve produrre alcun suono. La scorza deve essere intatta.

 

A seconda dei casi ed in funzione della scelta fatta, le modalità di conservazione sono diverse; quello maturo infatti va in frigorifero nello scomparto della frutta e verdura; non va esposto a temperature inferiori ai 5° C altrimenti potrebbe ammaccarsi. Si consiglia di non conservare il melone assieme alle verdure, poiché produce etilene che è in grado di deteriorarle. Se invece si acquistano meloni gialli per la conservazione invernale è importante tenerli in una cassetta forata, in un solo strato, in luogo fresco, asciutto e ventilato.

 

E che dire della versatilità che questo semplice frutto può offrire, andando oltre la sua scontata funzione di “fine pasto”?? Un compito assolto egregiamente, appunto, dai portali e.commerce di prodotti tipici calabresi che hanno deciso di proporlo in rete, e che ne suggeriscono ricette accattivanti, chicche d’uso facili da realizzare e soprattutto uniche; certo, ed appunto, come fine pasto, da solo o come ingrediente di squisite macedonie, ma anche come primo appetitoso (ed allora, sperimentiamo ad esempio l’insalata di orecchiette, prosciutto e melone); oppure, spaziando verso i secondi piatti, tipo “melone a spicchi con ricotta e prosciutto croccante”, una esclusiva che in pochi conoscono ma che delizia sicuramente una volta preparato e portato in tavola (della serie” ….chiedere il bis!!”); o ancora, rimanendo nella categoria dei “secondi” l’insalata di pollo e melone o l’insalata di lattuga, melone e mozzarella: fresche pietanze, insomma, che deliziano d’estate e rifocillano dalla calura della bella stagione, anche perché il melone è schietto, fresco, maturo e saporito proprio adesso. Ed ovviamente l’ovale del gusto ci delizia anche nei dolci e nei fine pasto, con la crostata di pistacchio al gelo di melone; il gelato al melone fatto in casa; il sorbetto al melone, un gelato/non-gelato che non mancherà di sorprenderci e di sorprendere i nostri commensali. Insomma, il gialletto non è soltanto un semplice frutto da servire affettato.

Il melone Helios calabrese: un “giallo d’estate” dal finale sorprendentemente gustoso…..…sempre!!!

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Il peperoncino fresco calabrese ha imparato a navigare in rete!!

Il peperoncino calabrese, praticamente l’icona della gastronomia della regione: una verità inconfutabile, considerando l’utilizzo che in Calabria se ne fa e, da solo e/o unito ad altre eccellenze tipiche del territorio, da vita ad innumerevoli sperimentazioni gastronomiche portate sul mercato per tener alto il buon nome della cucina di queste terre. 

Inconfutabile, ancora, perché non manca famiglia calabrese che non dispone sul proprio balcone di casa di una piantina (pur minima!!) di peperoncino, alla quale far rifornimento alla “bisogna”, quasi fosse una botte di vino. 

Inconfutabile, infine, perché in suo nome è stato creata l’Accademia Italiana del peperoncino, organizzazione nata nel 1994 proprio in Calabria con l’intento di approfondire e diffondere in Italia – e non solo – la “cultura piccante“: lo dimostrano le tante delegazioni presenti in importanti città estere quali New York, Tokyo, Parigi, Monaco, ecc. Nel buon nome e nel logo di questa associazione la sua immagine spicca in bella mostra, incuriosendo ed ammaliando gli appassionati del buon cibo. 

Il suo gusto schietto e sincero, la sua forza e nel contempo la sua delicatezza, le sue alte qualità aromatiche, terapeutiche e non solo,  sono racchiuse in questo prezioso baccello che in Calabria ritrova un sapore unico ed esclusivo, visto che il suo utilizzo ha dato qui vita a referenze sempre nuove, diverse ed accattivanti: così ha partorito la confettura o il miele al peperoncino, la bomba calabrese, la pasta tipica e già di suo “rossa”, la marmellata di agrumi piccante, oltre a contraddistinguere, come da tradizione regionale, gli esclusivi salumi prodotti in loco: salsicce, soppressate, capicolli, lavorati in tutta la regione, e la regina incontrastata del piccante, la “nduja”!! 

E sarebbe interessante poter disporre, in “ogni dove” e proprio nel momento di coltivazione e raccolta ottimale di questa spezia (…praticamente in estate!!), di un po’ di prodotto fresco “di orto”, da utilizzare in cucina per gli usi più opportuni, gustandone così il suo limpido sapore naturale; ovvero essiccarlo, congelarlo….insomma farne “conserva” per i mesi a venire.  

Impossibile?? Assolutamente no: internet, a tal proposito, supera ogni frontiera, visto che vi sono siti di vendita di prodotti tipici calabresi che da agosto in poi propongono il prodotto fresco ed appena raccolto sulle loro vetrine virtuali, e per i quantitativi ottimali alla bisogna dei veri estimatori del “gusto piccante”. 

E ciò senza assoluto bisogno di farne magazzino!! Tali aziende sono infatti in convenzione con contadini del luogo i quali, amorevolmente ed in tempo adeguato, hanno pensato alla coltivazione delle relative piantine: ad essi commissionano quindi “la relativa bisogna” quotidiana giusto e solo in proporzione agli ordinativi pervenuti sul portale.  

Ecco quando si può parlare di vendita “a km zero” anche laddove le distanze sono di centinaia, anzi talvolta di migliaia di chilometri: il bello di internet è anche questo!! 

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La nduja calabrese lancia la sfida al gusto con nuove ed allettanti ricette.

 
 

La nduja è dai più riconosciuta come una delle eccellenze tipiche della gastronomia calabrese, fiore all’occhiello dei prodotti tipici della regione: un gusto unico, una schiettezza esclusiva che difficilmente si ritrova in altri prodotti artigianali delle nostra Italia.

Elaborata sapientemente e secondo antica ricetta da mani esperte, con un trito finissimo di carni di suino scelte ed adeguatamente aromatizzate, ha un sapore che spiega tutta la sua naturalità, trovando il suo acume nella forza del peperoncino, utilizzato in adeguate dosi, si da renderlo gustoso oltre la sua vena piccante. E’ importantissimo, per non dire vitale, che si crei un connubio ed equilibrio di dosi e di sapori, affinché la forza del peperoncino non nasconda tutti gli altri aromi eccezionali nascosto nel salume.

Disponibile su portali di vendita on line di prodotti tipici calabresi, viene solitamente proposta nella versione in budello naturale, originale ricetta, visto che questo salume, dopo la sua preparazione va opportunamente affumicata naturalmente; oppure in vasetto, versione molto più innovativa e pratica nei vari usi della referenza.

Ecco, abbiamo toccato un tasto dolente e, ancora per poco, limitativo di questa magnificenza gastronomica: l’uso gastronomico!!

Infatti se in tanti parlano e riconoscono nella nduja uno dei più rinomati prodotti tipici calabresi, se in molti la apprezzano per la sua schiettezza ed il suo sapore esclusivo ed originale, in pochisanno però come utilizzarla oltre l’uso più scontato: spalmata su pane, crostini e/o bruschette!!

Un lavoro intenso dei menzionati portali che propongono on line la referenza, e che hanno capito che la propria missione è quella di consigliare, oltre che vendere, ha partorito nella specifica scheda del prodotto almeno una decina di nuove idee e ricette su come poter gustare in modo nuovo ed alternativo, deliziandosi in modo veramente diverso con questa meraviglia di Calabria.

Un motivo in più per il quale la ‘nduja è stata introdotta fra i prodotti dell’Arca del Gusto di Slow Food, progetto nato per il recupero e la salvaguardia di piccole produzioni di eccellenza gastronomica, minacciate dall’agricoltura industriale, dal degrado ambientale e dall’omologazione.

Ecco cosa significa quando si lavora per il prodotto e per il cliente!!

 

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