Per una rivista come la nostra che segue il mondo della casa, come non segnalare la mostra fotografica che si tiene a palazzo Braschi sugli scatti di Evans, che riportano indietro nel tempo, all’essenzialità della miseria, sia l’uomo comune che il progettista urbano e d’interni dei tempi attuali, abituati a disegnare e proporre “il bello” in una civiltà dei consumi come la nostra. I visi, le case, gli ambienti di queste foto ci riportano nell’America di un tempo che fu; immagini purtroppo ancora attuali per molti paesi del mondo. Il clich di un fotografo ed ecco immortalati gli Stati Uniti del 1935, quelli del Sud e del Centro, aree rurali maggiormente colpite dalla miseria della“Grande Depressione” del 1929. Il 29 ottobre di tale data, un colossale crack coinvolse la borsa di New York, mandando sul lastrico milioni di persone e la crisi che ne seguì interessò tutti gli strati sociali e tutte le professioni. Ci separano da quella data solo settanta anni, ma guardando le foto presentate alla mostra pare che si tratti di un altro mondo. Evans viaggiò per tre anni monitorando con le sue foto le condizioni di vita dei contadini, le architetture essenziali, le case spoglie e deserte, gli ambienti di lavoro e di studio miseri e desolanti.
La mostra sottotitolata “Argento e Carbone” è un chiaro riferimento alle tecniche fotografiche, rappresentando un invito per tutti gli appassionati di fotografia.
Le opere presentate in mostra, alcune delle quali realizzate sotto la supervisione dell’artista, vanno dalle emulsioni tradizionali ai sali d’argento alla fotoincisione, dalla stampa litografica e la rilievografia fino alle rielaborazioni digitali al nerofumo. Per fortuna (a differenza di Brett Weston che ha formalmente bruciato i suoi negativi) come Paul Strand e Ansel Adams che hanno dato il loro assenso a far stampare le loro immagini a titolo postumo, invitando a una nuova riflessione sul loro lavoro, come costoro Walcher Evans ha lasciato i suoi negativi, certo dei propri numi tutelari: Sven Martson e John T. Hill, curatore della mostra.
Perché una mostra di fotografia al Museo di Roma?
Non tutti sanno che il Museo di Roma possiede un archivio fotografico comunale di notevole valore storico. Già alla creazione del museo, nel 1930, si raccolsero documentazioni riferite agli interventi urbanistici legati alla realizzazione di Roma capitale a partire dal 1870. Fotografie eseguite durante i lavori di attuazione del Piano Regolatore del 1883 e quelle dei fratelli D’Alessandri per la costruzione degli argini del Tevere. Sono state raccolte poi le fotografie degli anni ’30 e ’40, altro periodo di fervido lavoro edilizio, riguardanti gli sventramenti e le trasformazioni del tessuto urbano. L’accrescimento della collezione fotografica si ebbe nel 1953 dopo la mostra.”La fotografia a Roma dal 1840 al 1915”, in quanto le opere prestate entrarono a far parte dell’Archivio fotografico Comunale.Andando avanti con gli anni i cambiamenti del tessuto cittadino sono visibili grazie all’attività del fotografo Nello Ciampi, alle foto dell’urbanista Italo Insolera e alla collezione dello storico della fotografia Silvio Negro. Bisogna sottolineare che tale patrimonio non solo rappresenta un documento storico del tessuto urbanistico, ma inoltre permette di ricostruire l’attività dei più noti fotografi e di analizzarne le tecniche.
La Fratelli Alinari è la più antica azienda al mondo operante nel campo della fotografia (1852). Oggi Alinari custodisce un corpus fotografico con pochi eguali nel mondo, formato da oltre 3.500.000 fotografie di proprietà.